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Dai Luoghi pii alla pubblica assistenza in Terra di Lavoro

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200<br />

offerte <strong>in</strong> grano, granone, fave ecc. Quell’anno i contenitori, due sacchi e due bisacce<br />

gran<strong>di</strong>, furono forniti da Francesco Iavarone, detto Puti Puti, al prezzo <strong>di</strong> due ducati e<br />

due grani. Per la questua <strong>in</strong> contanti <strong>in</strong>vece si utilizzavano dei cesti adornati con cuoio,<br />

cucitura e centrelle costruiti da don Benedetto Cappuccio, che nel 1817 ne fornì due<br />

gran<strong>di</strong> e uno piccolo al prezzo <strong>di</strong> un ducato e 14 grani. I collettori guadagnavano molto<br />

se si considera che Antimo Buonanno ricevette 32 ducati “per le fatighe sofferte per<br />

raccogliere le vettovaglie per conto della Cappella <strong>in</strong> <strong>di</strong>versi paesi, più ducati 10 per lo<br />

spesato dal medesimo portato”. Le vettovaglie raccolte, erano depositate <strong>in</strong> casa del<br />

cassiere che fittava un t<strong>in</strong>accio ove riporle. Nel 1817 per un contenitore <strong>di</strong> 90 tomoli <strong>di</strong><br />

granaglie furono pagati un ducato e venti grani a Luigi Campanile. Un’altra botte fu<br />

acquistata da don Silvestre Iavarone al prezzo <strong>di</strong> 98 grani. Le vettovaglie andavano poi<br />

stese al sole e cernite per evitare che, riposte umide, emanassero calore che favoriva la<br />

formazione <strong>di</strong> <strong>in</strong>setti.<br />

Nei giorni della festa la statua del santo era portata <strong>in</strong> processione per le strade del<br />

paese, accolto dalle famiglie che donavano sol<strong>di</strong>, gioielli o prodotti agricoli. Col<br />

ricavato d<strong>alla</strong> ven<strong>di</strong>ta degli animali (puledri, maiali ecc.), dei <strong>di</strong>versi prodotti (grano,<br />

granone, canapa, l<strong>in</strong>o, fave, v<strong>in</strong>o ecc.) e dei preziosi (cannacche <strong>di</strong> zennaccoli, bottoni e<br />

fibbie d’argento, crocette, anelli d’oro ecc.) si pagavano gli oneri della festa.<br />

Probabilmente la processione era aperta da Pasquale Milo, capo trombettiere, con sei<br />

compagni che suonavano per le strade del paese anche <strong>in</strong> altri giorni durante la questua.<br />

Complessivamente nel 1818 suonarono nei giorni 11, 15, 16 e 17 maggio. Il loro<br />

compenso fu <strong>di</strong> 13 ducati. Altri tre trombettieri, nello stesso anno, suonarono “per<br />

devozione” il 16 e il 17 percependo 60 grani <strong>di</strong> regalia. Alla processione partecipavano,<br />

oltre ai sacerdoti secolari, anche i monaci del locale convento <strong>di</strong> S. Francesco, ai quali si<br />

davano tre ducati “per l’<strong>in</strong>comodo soffrono i Padri del sudetto Convento, sì per la<br />

processione, che per altre funzioni si fanno <strong>in</strong> occasione della festività del suddetto<br />

Santo”. Poiché il simulacro del Santo rientrava dopo l’imbrunire, il Corpo <strong>di</strong> guar<strong>di</strong>a<br />

municipale era fornito <strong>di</strong> torce, delle quali, <strong>in</strong> genere, se ne consumavano otto ed erano<br />

fornite da don Antonio Campanile, al costo <strong>di</strong> circa nove ducati.<br />

Chi faceva offerte consistenti al Santo era ricompensato con maccheroni o torrone. Nel<br />

1817 si consumarono circa 17 qu<strong>in</strong>tali <strong>di</strong> maccheroni, per un importo <strong>di</strong> 250 ducati,.<br />

forniti da Pasquale Milo (forse lo stesso che suonava la tromba), da V<strong>in</strong>cenzo<br />

d’Arienzo, Gabriele Borzacchiello e Gaetano Poscia. Il loro prezzo oscillava<br />

probabilmente tra un ducato e un ducato e mezzo per rotolo (il rotolo corrisponde 0,891<br />

grammi). Il torrone era offerto “a quelli che davano le offerte <strong>di</strong> vettuvaglie, a quelli che<br />

han dato le oblazioni, a tutti quelli che si sono prestati ed hanno travagliato sì <strong>in</strong><br />

occasione della festività che <strong>in</strong> tutto l’anno per il detto Santo, alli apparatori della<br />

Chiesa, <strong>alla</strong> Municipalità ed altro”. Era donato ancora “al Clero della Parrocchia del<br />

Santo come a quelli dell’Annunziata e dello Spirito Santo giusta nota esibita dal<br />

cellarario don Silvestre Javarone”. Complessivamente nel 1817 ne furono <strong>di</strong>stribuiti<br />

circa 200 rotoli, forniti al costo <strong>di</strong> 100 ducati da Pietro d’Arienzo <strong>di</strong> S. Antimo e Pascale<br />

de Angelis <strong>di</strong> S. Elpi<strong>di</strong>o. Di questi, <strong>di</strong>ciannove rotoli furono <strong>di</strong>stribuiti al clero locale.<br />

Le vettovaglie offerte erano la canapa <strong>in</strong> Frasca, il grano Mesca, il grano comune, il<br />

granone, le fave, il v<strong>in</strong>o, il lardo ecc.; i fedeli offrivano anche altro, <strong>in</strong>fatti, veniva<br />

portata una “sporta <strong>di</strong>etro la processione del protettore per raccogliere i voti <strong>di</strong> cera”.<br />

L’offerta <strong>in</strong> natura, che creava più problemi agli amm<strong>in</strong>istratori, era il grano che spesso<br />

era mangiato dai topi e qu<strong>in</strong><strong>di</strong> <strong>di</strong>m<strong>in</strong>uiva <strong>di</strong> peso. Se era fresco, doveva essere esposto al<br />

sole e crivellato. Le entrate dell’anno 1818 consistettero <strong>in</strong> 170 tomoli <strong>di</strong> grano, 122 <strong>di</strong>

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