La didattica dell'italiano a studenti cinesi e il progetto Marco Polo ...
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Atti del seminario «<strong>La</strong> <strong>didattica</strong> dell’italiano a <strong>studenti</strong> <strong>cinesi</strong>»<br />
Ordinamenti didattici riduzionistici, mancanza di un vero sistema di educazione<br />
permanente degli adulti, limitazione delle risorse per gli Atenei dove tali ‘lingue<br />
adottive’ potrebbero essere apprese, indifferenza sociale verso le lingue degli altri: tutti<br />
questi elementi si sorreggono reciprocamente, a dare <strong>il</strong> quadro di un Paese agli ultimi<br />
posti nella diffusione delle lingue in Europa. Qualcuno non è d’accordo? Prego,<br />
consulti le r<strong>il</strong>evazioni statistiche che periodicamente Eurobarometro fa anche su tale<br />
materia, e si ricrederà! Insomma, se consideriamo anche solo i fatti menzionati, si ha<br />
qualche dubbio che l’Italia si stia muovendo in sintonia con la politica linguistica<br />
europea.<br />
5. Il destino delle lingue immigrate in Italia<br />
A tali fatti ne possiamo aggiungere un altro: <strong>il</strong> destino delle lingue immigrate, cioè di<br />
quegli idiomi che, parlati dagli immigrati stranieri in Italia, sono entrati ormai a far<br />
parte del panorama linguistico quotidiano della nostra società, lasciando evidenze,<br />
segni, tracce di usi vivi e vitali là dove gli immigrati stranieri si sono radicati, nelle<br />
realtà locali delle quali ormai fanno parte stab<strong>il</strong>mente. Che cosa si sta facendo nei loro<br />
confronti? Praticamente niente, e poco ci sembra <strong>il</strong> fatto che da meno di due anni un<br />
gruppo di docenti rumeni sia entrato nelle scuole italiane a insegnare <strong>il</strong> rumeno ai<br />
giovani scolari di origine rumena. Poche e sporadiche iniziative riguardano le altre<br />
lingue: esperienze per l’arabo (si ricordi, per tutte, quella nelle scuole di Mazara del<br />
Vallo), per <strong>il</strong> cinese; Enti locali, scuole singole che si impegnano in tal senso, ma entro<br />
un terreno di sostanziale indifferenza, mascherata dal luogo comune che, stando gli<br />
immigrati e i loro figli in Italia, devono imparare l’italiano. Che fine fanno tali lingue?<br />
Che cosa fare nei loro confronti? Si tratta di un problema che rientra pienamente<br />
nell’ambito di responsab<strong>il</strong>ità istituzionale della politica linguistica, e che di fatto viene<br />
ignorato a livello ‘alto’ e nella società ‘civ<strong>il</strong>e’. Non abbiamo nemmeno lo spirito<br />
pragmatico che, in Baker – Eversley (2000), cioè nel lavoro che costituisce ancor oggi<br />
un modello paradigmatico di r<strong>il</strong>evazione della presenza delle lingue immigrate in una<br />
capitale europea, anima la riflessione britannica: «Siamo fortunati, perché Londra è la<br />
capitale europea con <strong>il</strong> maggior numero di istituti bancari e di lingue immigrate. In<br />
questo modo non dovremo investire troppe sterline per formare linguisticamente coloro<br />
che potranno impegnarsi a diffondere nel mondo <strong>il</strong> nostro sistema economico», ovvero<br />
gli immigrati stranieri, con le loro lingue. 5 In Italia non riusciamo a far nostro nemmeno<br />
questo approccio brutalmente pragmatico, e <strong>il</strong> patrimonio di neoplur<strong>il</strong>inguismo<br />
immesso dagli immigrati stranieri entro lo spazio linguistico nazionale vive e vivrà<br />
processi sempre ‘sommersi’, ma capaci di toccare nelle fondamenta gli assetti di tale<br />
spazio linguistico. <strong>La</strong> scuola, le istituzioni, la società potranno continuare a<br />
disinteressarsi o addirittura a sanzionare tali lingue, a farle ricadere entro la<br />
demonizzazione dell’altro: ma tali lingue vivranno e cambieranno i nostri modi di<br />
comunicare, come già hanno cambiato i panorami linguistici delle nostre città. Chi non<br />
5 Cfr. Baker, Ph. – Eversley, J., Mult<strong>il</strong>ingual Capital, Battlebridge, London, 2000.<br />
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