La didattica dell'italiano a studenti cinesi e il progetto Marco Polo ...
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Massimo Vedovelli<br />
ci crede, cerchi di ricordarsi delle parole presenti nelle insegne dei negozi o nei<br />
manifesti pubblicitari di un paio di decenni fa e le confronti con quelle di oggi: oggi,<br />
parole arabe, <strong>cinesi</strong>, russe, turche e di tante altre delle almeno 130 nuove lingue entrate<br />
nel nostro spazio idiomatico tappezzano le nostre città, e non c’è assessore al<br />
commercio che tenga, nel volerle limitare: esistono i parlanti e le loro lingue, e i<br />
parlanti le usano, ce le propongono, le propongono a fasce di popolazione, di locutori<br />
che in tali lingue riconoscono la propria identità.<br />
6. Immigrati, testi di lingua, certificazioni<br />
Un altro fatto – o misfatto – della nostra non-politica linguistica riguarda gli immigrati<br />
stranieri, ma si allarga al campo più generale della diffusione dell’italiano nel mondo. Il<br />
D.M. 4 giugno 2010 prescrive che gli immigrati stranieri richiedenti <strong>il</strong> permesso di<br />
lungo soggiorno devono dimostrare la conoscenza dell’italiano. Come? Sostanzialmente,<br />
o già sono in possesso di un titolo di studio italiano o di una certificazione di<br />
competenza in italiano L2 (ricordiamo che gli enti certificatori sono le Università per<br />
Stranieri di Siena e di Perugia, l’Università di Roma Tre, la Società Dante Alighieri),<br />
oppure si devono sottoporre a un test linguistico gestito dalle Prefetture e svolto concretamente<br />
presso i CTP, Centri Territoriali Permanenti per l’educazione degli adulti.<br />
Diversi elementi limitano tale approccio.<br />
Innanzitutto, <strong>il</strong> quadro generale che ha delineato <strong>il</strong> test – dal livello individuato alle<br />
ab<strong>il</strong>ità da sottoporre a verifica – non è né rigoroso, né coerente; semmai, profondamente<br />
segnato da un’approssimazione che si fonda – questo è <strong>il</strong> nostro sospetto – sull’idea che<br />
sia sufficiente essere parlante nativo italiano per esprimere un giudizio valido sulla<br />
competenza di uno straniero. Le cose non stanno così, e la branca di studi sul testing<br />
linguistico, con la sua sterminata bibliografia, sta a testimoniarlo. Eppure, un approccio<br />
puramente amministrativo ha generato una vera e propria mostruosità valutazionale priva<br />
di fondamenti teorici, nonché di diffic<strong>il</strong>issima gestione pratica. Per questo secondo<br />
aspetto, si noti che per legge <strong>il</strong> numero di CTP sarà diminuito nei prossimi tempi!<br />
Con un solo atto amministrativo, dunque, si ignorano le competenze maturate nello<br />
specifico campo della valutazione dell’italiano L2 dagli enti certificatori; si propone<br />
una verifica che nelle intenzioni sarebbe stata quasi ‘a quiz’, come per la patente di<br />
guida, e che solo l’intervento deciso dei rappresentanti degli enti certificatori ha tentato<br />
di riportare entro un quadro di rigore teorico e metodologico. Ecco un altro esempio,<br />
dunque, di quella non-politica linguistica fatta di azioni amministrative, circolari,<br />
decreti che sono funzione di un approccio centralistico, normativo sul piano linguistico,<br />
peraltro senza che ci sia consapevolezza tecnica sulla materia; un approccio che vive di<br />
atti amministrativi che perpetuano una visione burocratica del rapporto fra lo Stato e le<br />
dinamiche linguistiche, le esigenze di sv<strong>il</strong>uppo espressivo, comunicativo e linguistico<br />
della società.