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U S M F L P u bblicazion i della Facoltà di Lettere e Filosofia La ...

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LE TEORIE DEGLI STILI E LA TEORIA DEI GENERI 151<br />

zione giral<strong>di</strong>ana che consentirebbe svariatissimi esempi e osservazioni e<br />

ci farebbe percorrere quasi per intero i precetti <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne stilistico che<br />

egli fornisce al lettore. Mi limiterò, <strong>di</strong> necessità, a qualche esempio, che<br />

consenta qualche confronto con la linea <strong>di</strong> gusto che abbiamo visto svi­<br />

lupparsi sulla scorta delle in<strong>di</strong>cazioni ermogeniane e pseudo-demetriane,<br />

e qualche riflessione sulle propensioni stilistiche globali del Giral<strong>di</strong><br />

Cinzie.<br />

Una serie <strong>di</strong> considerazioni <strong>di</strong> carattere generale riguardano il prin­<br />

cipio classico che « ars est celare artem » % . Proprio all'inizio <strong>della</strong> trat­<br />

tazione relativa all'elocuzione, avvertito che « dee il poeta porre molto<br />

ingegno e molto stu<strong>di</strong>o in questa parte che alle voci appartiene: che<br />

essendo eglino quelle che vestono i nostri concetti e gli portano agli<br />

occhi dell'intelletto, debbono essere ornate <strong>di</strong> tutta quella bellezza che<br />

loro può dare la industria <strong>di</strong> chi compone » (p. 92), il Giral<strong>di</strong> Cinzio<br />

ammonisce però che « si dee schivare la soverchia <strong>di</strong>ligenza, acciocché<br />

quello che vogliam far virtù non <strong>di</strong>venga vizio, e il troppo volere ab­<br />

bellire non rechi fasti<strong>di</strong>o. Che è meglio alle volte una negligenza accon­<br />

ciamente usata, che una soverchia <strong>di</strong>ligenza ». Così è possibile « dare<br />

<strong>di</strong> ciò una regola generale », che « il più bello dell'artificio è con tanta<br />

arte nasconderlo, che a pena vi si scorga » (p. 93). Il medesimo prin­<br />

cipio ricorre ancora come esplicito precetto più avanti, dopo che lo scrit­<br />

tore, in un passo sopra citato, aveva invitato a porre grande cura nella<br />

scelta, nel congiungimento delle voci e nel rapporto tra queste e la ma­<br />

teria trattata, e dopo aver tessuto un elogio del labor limae: « deve<br />

non<strong>di</strong>meno lo scrittore cercare con ogni cura che non si veda la fatica<br />

nella composizione, ma far sì ch'ella paia naturalmente fatta » (p. 134).<br />

Il <strong>di</strong>scorso, qui e altrove nel testo, si può allora <strong>di</strong>stendere nella<br />

definizione e nella <strong>di</strong>scussione <strong>della</strong> naturalezza e dei suoi modelli con­<br />

creti: il Petrarca è l'autore toscano che ha saputo eccellere in quest'arte<br />

<strong>della</strong> naturalezza, e una naturalezza e « facilità » paragonabile a quella<br />

petrarchesca deve almeno proporsi lo scrittore <strong>di</strong> romanzi, che il vizio<br />

dell'artificiosità, <strong>della</strong> <strong>di</strong>fficoltà elocutiva è quello in cui più frequente­<br />

mente sono occorsi i poeti dopo PAriosto (così a p. 135). In relazione<br />

a tale principio sono condotte le osservazioni sulla necessità <strong>di</strong> variare,<br />

<strong>di</strong>stanziare e regolare le rime nel corso dell'opera (pp. 114-118). E sem­<br />

pre a proposito delle rime si de<strong>di</strong>ca ampio spazio a mostrare come la<br />

% Sulla storia <strong>di</strong> questo precetto, cfr. D'Angelo 1986.

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