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U S M F L P u bblicazion i della Facoltà di Lettere e Filosofia La ...

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232 CAPITOLO 5<br />

maticamente rivolti ad accogliere lo stile me<strong>di</strong>care x . Senza contare che,<br />

sul piano dei concetti, la vicenda amorosa, intensamente patetica e a<br />

lieto fine, si prestava a giustificare e a qualificare in senso appunto « li­<br />

rico » tali scelte elocutive.<br />

Tutta la delicata questione <strong>della</strong> materia amorosa e <strong>della</strong> vaghezza<br />

dello stile che investe l'episo<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Sofronia, ha numerosi addentellati<br />

con altre riflessioni svolte nelle lettere <strong>di</strong> questo periodo. In quella<br />

del 24 gennaio 1576 a Scipione Gonzaga, ad esempio, il Tasso scrive:<br />

« Io mi affatico intorno al quartodecimo; e veramente posso chiamar<br />

questa fatica, poich'è senza <strong>di</strong>letto. <strong>La</strong> musa non mi spira i soliti spiriti;<br />

sì che credo ch'in queste nuove stanze non vi sarà eccesso d'ornamento<br />

o d'arguzia: spero non<strong>di</strong>meno che ne' versi sarà chiarezza, e facilità sen­<br />

za viltà » 26 . Il problema <strong>della</strong> chiarezza senza viltà — che in termini<br />

aristotelici significa contemperare le due opposte esigenze <strong>della</strong> chia­<br />

rezza, il cui rischio è la banalità, e dell'ornamento, il cui rischio è l'o­<br />

scurità — e quello delle oscillazioni tassiane in merito già si sono af­<br />

frontati nel capitolo precedente 27 . Qui il pericolo intravisto dal Tasso<br />

o dai suoi corrispondenti non è tanto, <strong>di</strong>rei, quello <strong>di</strong> un'oscurità pro­<br />

dotta dagli artifici che lo pseudo-Demetrio attribuiva alla forma magni­<br />

fica o a quella grave, bensì più probabilmente quello <strong>della</strong> concettuo-<br />

sità prodotta da artifici, che potrebbero anche essere definiti manieri­<br />

stici e pre-barocchi, quali l'accumulo <strong>di</strong> antitesi concettuali, <strong>di</strong> paro­<br />

nomasie e <strong>di</strong> altre forme assimilabili, capaci <strong>di</strong> complicare al livello se­<br />

mantico la decifrazione del dettato poetico. Più ancora che l'oscurità,<br />

in quanto effetto, a preoccupare il Tasso pare che sia, infatti, la causa<br />

e cioè l'eccesso <strong>di</strong> ornamento (con ogni probabilità sempre quello per­<br />

tinente soprattutto allo stile me<strong>di</strong>ocre e al genere lirico) e <strong>di</strong> arguzia,<br />

che tra l'altro caratterizza il canto contestatissimo <strong>di</strong> Olindo e Sofronia,<br />

25 Un esempio potrebbe essere costituito dai versi centrali dell'ottava 31:<br />

•« Oh spettacolo grande, ove a tenzone / sono Amore e magnanima virtute! / ove<br />

la morte al vincitor si pone / in premio, e '1 mal del vinto è la salute! », in cui<br />

l'elaborata e concettuosa antitesi a tre termini si <strong>di</strong>spone simmetricamente e in<br />

figura chiastica, violando in questo caso anche il principio — formulato già nella<br />

Lezione — dell'introduzione <strong>di</strong> termini asimmetrici a temperamento <strong>della</strong> <strong>di</strong>ligente<br />

corrispondenza dei termini.<br />

26 <strong>Lettere</strong>, 51.<br />

27 Cfr. 4.5. Sul fatto che per Aristotele gli artifici che elevano il <strong>di</strong>scorso<br />

concorrono anche a <strong>di</strong>minuire la chiarezza, suprema aretè, cfr. sopra 3. 5 e nota 85.

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