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U S M F L P u bblicazion i della Facoltà di Lettere e Filosofia La ...

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IL PROBLEMA DELLO STILE NELLA POETICA DEL TASSO 259<br />

•opposizioni contenute nella Stacciata prima, ciò riguarda la virulenza<br />

dell'attacco, le esagerazioni, le contrad<strong>di</strong>zioni e le « male<strong>di</strong>cenze », non<br />

le critiche ponderate e plausibili, che almeno in parte rispecchiano, con<br />

<strong>di</strong>versa incidenza e <strong>di</strong>versa intensità, quelle che egli stesso si era rivolto<br />

anni prima e, chissà, forse continuava a rivolgersi.<br />

Se ora ripercorriamo rapidamente, senza entrare nel dettaglio delle<br />

opposte argomentazioni, accuse e <strong>di</strong>fese inerenti allo stile riferite e for­<br />

mulate nell'Apologià troveremo chiare conferme <strong>di</strong> tutto ciò. A parte<br />

alcune obiezioni particolari <strong>di</strong>versamente spiegabili, quali ad esempio<br />

quelle inerenti all'uso <strong>di</strong> « mo<strong>di</strong> » e « versi bassi », contrari alla « pro­<br />

fessione <strong>di</strong> magnifico e gravissimo » che il poeta fa nel « Goffredo »<br />

(pp. 441-442), la maggior parte delle critiche investe in qualche modo<br />

(magari per l'abuso che egli ne avrebbe fatto) artifici elocutivi dal Tasso<br />

e dai suoi auctores contemplati fra quelli tipici del magnifico e del gra­<br />

ve. Così è forse già per la presenza <strong>di</strong> cacofonie e in particolare <strong>di</strong> allit­<br />

terazioni cacofoniche (pp. 443-444), che pure il Salviati riconduce alla<br />

bassezza <strong>di</strong> stile w . Così è per l'impoeticità <strong>della</strong> Liberata attribuita ad<br />

una « legatura <strong>di</strong>storta, aspra, sforzata e spiacevole » (p. 461), che cap­<br />

ziosamente si concretizza nei celebri esempi <strong>di</strong> parole « appiastricciate »<br />

e anch'esse in definitiva cacofoniche (checanuto, crinchincima, inculta-<br />

vene, ecc.), obiezione a cui il Tasso replica con moderazione osservando<br />

la pochezza dell'espe<strong>di</strong>ente <strong>di</strong> congiunger insieme parole <strong>di</strong>stinte e<br />

appellandosi ad un'autorità non sospetta — in quanto fiorentina — qual<br />

fu il Casa, che non <strong>di</strong>sdegnò gli artifici sintattici e fonici qui messi in<br />

stato <strong>di</strong> accusa. Così è anche per la « locuzione laconica » (p. 462), ov­<br />

vero all'incirca brevitas e « parlar <strong>di</strong>sgiunto », che il Pellegrino <strong>di</strong>ce<br />

« non universalmente lodata » e il Salviati <strong>di</strong>ce non esserlo « né anco<br />

particolarmente », a cui il Tasso — senza far riferimento ai passati dub­<br />

bi — replica con un'assai significativa <strong>di</strong>fesa, osservando che « peraven-<br />

tura non basta » la mancanza <strong>di</strong> « molte <strong>di</strong> quelle congiunzioni, che<br />

sono quasi legami del parlare »<br />

69 In certe occasioni la cacofonia è ammessa quale artificio <strong>della</strong> gravitas dagli<br />

autori che il Tasso tien presenti e segnatamente dallo pseudo-Demetrio. In questo<br />

caso però il Tasso replica sia adducendo ad esempio il « <strong>di</strong> me medesmo meco mi<br />

vergogno » petrarchesco, sia affermando che in taluni casi nei suoi versi la caco­<br />

fonia «non è tale [...] che non possa apportare anzi vaghezza che no» (p. 443).<br />

Non particolarmente degni <strong>di</strong> nota sono invece alcuni quasi incidentali giu<strong>di</strong>zi del<br />

Salviati sul poema, definito ora « asciutto e povero » (p. 444), ora « sterile e [...]<br />

smunto » (p. 451).

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