U S M F L P u bblicazion i della Facoltà di Lettere e Filosofia La ...
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40 CAPITOLO 1<br />
<strong>La</strong> coscienza dell'ambiguità <strong>di</strong> Ermogene a proposito <strong>di</strong> concetti chiave<br />
come quello <strong>di</strong> gravita e <strong>di</strong> decoro è netta nello Scaligero, che svolge<br />
la sua critica nei termini <strong>di</strong> « confusio virtutum cum generibus » e argo<br />
menta così a favore <strong>della</strong> sua tesi <strong>di</strong> una stilistica tripartita, ma accom<br />
pagnata da un'ampia casistica <strong>di</strong> « virtutes » o « affectus » <strong>di</strong>stinti, <strong>di</strong><br />
cevo, in « communes » a tutti gli stili e in « proprii » <strong>di</strong> ciascuno dei tre<br />
stili. Tuttavia, se la coscienza è netta nello Scaligero, non accade cosi in<br />
altri e non pochi teorici che viceversa sentono il fascino <strong>della</strong> duttile<br />
teoria ermogeniana, adottandola: il sistema del retoré greco farà così<br />
sentire il suo influsso anche in negativo.<br />
Se ora consideriamo — ampliando uno schema <strong>della</strong> Patterson —<br />
il quadro delle principali traduzioni rinascimentali delle « ideai », tro<br />
veremo conferma sia alle osservazioni dello Scaligero, sia anche alle in<br />
certezze con cui alcuni concetti, e soprattutto quello <strong>di</strong> « gravitas », ven<br />
nero acquisiti dalla teoria rinascimentale. (Cfr. le tabelle <strong>di</strong> pagina 41).<br />
Risulta evidente dal confronto delle traduzioni che vi è una note<br />
vole omogeneità e concordanza fra gli autori rinascimentali nella ver<br />
sione e, <strong>di</strong>rei, nell'identificazione <strong>della</strong> maggior parte dei termini e dei<br />
concetti ermogeniani. È altrettanto evidente, però, che a proposito <strong>di</strong><br />
« ideai » quali la semnòtes e la deinòtes — quelle esaminate con spirito<br />
critico dallo Scaligero — l'incertezza è notevole: lo Sturai, lo Scaligero,<br />
il Delminio traducono « semnòtes » con « gravitas » o « gravita », il<br />
Min turno preferisce « forma magnifica », il Cavalcanti « <strong>di</strong>gnità », il<br />
Barbaro « maestà »; tutti, ad eccezione dello Sturai e del Barbaro (che<br />
usa « gravita » come sinonimo <strong>di</strong> « grandezza »), riservano poi a « dei<br />
nòtes » il termine <strong>di</strong> « gravita ». Lo Scaligero adottando per entrambe le<br />
categorie lo stesso termine mette in luce l'ambiguità <strong>della</strong> fonte. Il<br />
Delminio, se non erro, non se ne accorge. Il Barbaro significativamente<br />
risolve il problema sopprimendo l'ultima e più imbarazzante categoria.<br />
Analogamente si comporta un altro trattatista che qui non ho contem<br />
plato, il Tomitano. Il Cavalcanti — in un contesto peraltro confuso — si<br />
cautela affermando che « l'ultima delle forme generali è la gravita, il<br />
qual nome, benché non corrisponda bene alla parola Greca, io non<strong>di</strong><br />
meno l'ho usato, non ne trovando per hora uno più accomodato » 46 .<br />
46 Cavalcanti 1560, pp. 357-358. Il contesto — si <strong>di</strong>ceva — è confuso anche<br />
perché l'autore sembra risolvere l'ambiguità <strong>della</strong> fonte circa il concetto <strong>di</strong> « dei-<br />
nètes » (forma specifica / uso appropriato <strong>di</strong> tutte le altre forme) <strong>di</strong>stinguendo,<br />
dopo aver trattato <strong>della</strong> « verità », tra « aggravamento » (« il quale non ha né le