U S M F L P u bblicazion i della Facoltà di Lettere e Filosofia La ...

30 CAPITOLO 1
la chiarezza, la brevità, la persuasività, il decoro e la gradevolezza 21 .
Quanto ad Aristotele, egli espressamente indicò come « aretè » la sola
« saphèneia », in un luogo della Retorica: « definiamo qui che la virtù
dell'elocuzione è la chiarezza » 22 . Tuttavia nel corso dell'opera egli trat­
ta anche di altre qualità del discorso oratorio — e specificamente di
quelle qualità che più tardi il discepolo Teofrasto indicherà come « are­
tài » — senza però definirle ancora con tale nome e senza attribuire ad
esse lo statuto di « valori ». Appunto Teofrasto, a quanto pare, si as­
sunse il compito di riformulare le osservazioni del maestro proponendo
uno schema di quattro virtù, che poi ebbe una certa fortuna: l'« helle-
nismòs » o purezza linguistica 2Ì ; il « prèpon » o congruenza tra elocu­
zione, contenuto e situazione comunicativa; il « kòsmos » o « katas-
keuè », cioè l'ornamento retorico e letterario; e la « saphèneia » o chia­
rezza, « virtus » aristotelica per eccellenza. La retorica stoica alle quattro
virtù teofrastee ne aggiunse una quinta, la « syntomìa » o « brevitas » 24 .
Nel corso dei secoli però la trattazione di questo aspetto dell'arte
retorica si complica e le « virtutes » si moltiplicano, anche confusamen­
te. Il Morpurgo Tagliabue rileva come « già nel I secolo a. C. le aretài
sono divenute uno sciame: uno sciame ordinato in Dionisio, disordinato
in Cicerone (gravitas, suavitas, varietas, redondantia, floridum, ardens,
vehemens, etc.)» 25 . In verità Cicerone nel De oratore distingue prin­
cipalmente, sulla base di Teofrasto, quattro « virtutes », che gli servono
per strutturare l'intero discorso sull'elocuzione 26 : esse sono appunto la
« latinitas » (anche « sermo purus » o « Latine dicere »); la « perspicui-
tas » (anche « diluciditas », « piane dicere »); l'« ornatus »; e l'« ap-
21 Cfr. Plebe 1988, p. 50; la fonte è Diogene Laerzio, Vite, V, 25.
22 Aristotele, Retorica, 1404 b, 1.
23 Si tratta di una « virtus grammaticale » secondo il Lausberg, che viceversa
definisce « perspicuitas » e « ornatus » « virtutes retoriche »; cfr. Lausberg 1969,
p. 69.
24 Cfr. Schenkeveld 1964, p. 73; la fonte è Diogene Laerzio, Vite, VII, 59.
25 Morpurgo Tagliabue 1980, p. 130 e pp. 78-79. Egli sostiene che nell'esten­
sione della dottrina delle « virtutes » un elemento di confusione fu l'attribuzione
dello statuto di valori a svariati procedimenti linguistici e qualità stilistiche pre­
esistenti: dei semplici mezzi divengono, insomma, dei fini.
26 Per il richiamo a Teofrasto cfr. Orator, 79. Da notare che nel De oratore
due rapidi accenni (III, 199 e 212) alle tre « figurae orationis », « plenior, tenuior,
mediocris », cadono come corollario della « virtus » delP« ornatus » e di quella
de!T« aptum ».