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Teorie, modelli e artefatti per la costruzione sociale e contestuale della conoscenza 15movimenti a cui va il merito <strong>di</strong> aver sottolineato l’importanza della <strong>di</strong>mensione sociale ecollaborativa nei processi appren<strong>di</strong>tivi e <strong>di</strong> costruzione delle conoscenze. In questaprospettiva il processo formativo non si ritiene caratterizzato esclusivamente datrasformazioni soggettive a livello cognitivo, ma viene visto nella rete delle complesse<strong>di</strong>namiche (e implicazioni) derivanti dall’interrelazione sociale. Non si tratta solo <strong>di</strong> unospostamento del focus <strong>di</strong> attenzione dalle tecnologie agli studenti ed al loro lavoro, quanto esoprattutto il fatto che la prospettiva teorica attraverso la quale inquadrare l’appren<strong>di</strong>mentonon è più quella esclusivamente psicologica. Tra<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> ricerca come quella antropologica,sociologica o linguistica forniscono, infatti, nuove e più utili modalità per investigare sulruolo svolto dalla cultura e dal contesto sociale nell’influenzare e determinare nello specificogli appren<strong>di</strong>menti (Koschmann, 1996, p.11). Il CSCL riconosce dunque, e in primo luogo, undebito nei confronti <strong>di</strong> quelle idee che, a partire dai lavori <strong>di</strong> Dewey (1965, 1967), hannoevidenziato l’importanza, nell’educazione della pratica e dell’esperienza attiva e <strong>di</strong>retta <strong>degli</strong>studenti (learning by doing). L’appren<strong>di</strong>mento collaborativo, a partire dall’attivismodeweyano, ha una lunga tra<strong>di</strong>zione sia negli Stati Uniti (soprattutto tra le due guerremon<strong>di</strong>ali), che in Europa. Nel vecchio continente, anche attraverso gli stimoli derivanti dalleampie trasformazioni sociali in atto nel corso del XX secolo sotto la spinta delleriven<strong>di</strong>cazioni sociali (<strong>di</strong>ritti politici, al lavoro, alla salute, all’istruzione, ecc.) edeconomiche, sono molti gli autori a caratterizzare e imprimere nuovo vigore alla ricercaeducativa strutturata su questi valori. In particolare, come noto, la cooperazione trova risaltonei lavori <strong>di</strong> Freinet e, in Italia, nel movimento <strong>di</strong> cooperazione educativa (MCE) 11 . Oggi, al<strong>di</strong> là dei modelli che vedono la centralità delle tecnologie per la realizzazione <strong>di</strong> esperienzeeducative basate sulla collaborazione, esistono svariati nuclei <strong>di</strong> ricerca impegnati nellavalorizzazione <strong>di</strong> questi principi. Tra questi sono senz’altro da menzionare i lavori sulcooperative learning svolti alla University of Minnesota <strong>di</strong> Minneapolis (Johnson e Johnson1989; Johnson e Johnson, Smith, 1991; Johnson e Johnson, Holubec, 1996), quelli elaboratialla Johns Hopkins University <strong>di</strong> Baltimora (Slavin, 1983, 1986, 1987) ed alla israeliana TelAviv University (Sharan e Sharan, 1998). A questi vanno aggiunte le ricerche che vannosotto il nome <strong>di</strong> Structural Approach (Kagan 1990, 1992), quelle sulla Complex Instruction(Cohen, 1991, 1994) e quelle italiane sull’appren<strong>di</strong>mento nei gruppi (Comoglio, Cardoso,1996). Seppure nella <strong>di</strong>versità dei modelli, tra i <strong>di</strong>versi autori c’è un sostanziale accordo sulvalore dell’interazione tra pari finalizzata all’attivazione <strong>di</strong> <strong>di</strong>namiche il cui risultato finalesia sostanzialmente superiore a quello ottenibile dagli stessi soggetti separatamente. Unabuona definizione <strong>di</strong> collaborative learning, che in parte chiarisce anche il rapporto train<strong>di</strong>viduo e gruppo, è quella proposta da Kaye (1994, p. 9) e che parla <strong>di</strong> “acquisizione daparte <strong>degli</strong> in<strong>di</strong>vidui <strong>di</strong> conoscenze, abilità ed atteggiamenti che sono il risultato <strong>di</strong>un’interazione <strong>di</strong> gruppo o, detto più chiaramente, un appren<strong>di</strong>mento in<strong>di</strong>viduale comerisultato <strong>di</strong> un processo <strong>di</strong> gruppo”. La collaborazione non è chiaramente un processoautomatico, e le <strong>di</strong>verse metodologie sono per lo più volte alla definizione dei presuppostioperativi capaci <strong>di</strong> promuovere la collaborazione ed aumentare la consapevolezza del suovalore all’interno della comunità. Secondo Schrage (1990, 1995) il successo <strong>di</strong>pende da<strong>di</strong>versi fattori tra cui l’esistenza <strong>di</strong> un obiettivo con<strong>di</strong>viso, il rispetto e la fiducia reciproci,una sostanziale eterogeneità all’interno del gruppo e la con<strong>di</strong>visone <strong>di</strong> regole che portino allacreazione e manipolazione <strong>di</strong> spazi conoscitivi. L’esigenza <strong>di</strong>venta quella <strong>di</strong> adeguare ilclima, anche attraverso un opportuno utilizzo dei <strong>di</strong>spositivi, in maniera da rendere possibileil raggiungimento <strong>di</strong> una “tensione conoscitiva” comune ai partecipanti. Da questo punto <strong>di</strong>vista è evidente che le tecnologie non siano né un elemento necessario alla collaborazione,né che la loro presenza comporti <strong>di</strong> per sé alcuna garanzia aggiuntiva (Salomon, 1992). Solouna chiara organizzazione del setting, dell’organizzazione complessiva, può valorizzare la11 Sulla scia dell’Ècole Moderne Française <strong>di</strong> Freinet, tra le varie esperienze <strong>di</strong> <strong>di</strong>dattica cooperativa, a partire dalla fine <strong>degli</strong>anni cinquanta, si afferma in Italia questa esperienza fortemente orientata ad una stretta fusione tra finalità pedagogiche esociali. Cfr. Ciari, 1961; Tamagnini, 1965; Eynard, 1973; Alfieri, 1976.

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