50Strumenti della rete e processo formativocontesti <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento, e non tutti le realizzazioni <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>stato sono ugualmenteefficaci”. All’interno dei contesti lavorativi “reali” e non ideali è infatti probabile che leconoscenze, almeno quelle strategiche, vengano accuratamente mantenute riservate. Lacollaborazione può quin<strong>di</strong> lasciare il campo alla competizione, all’accaparramento dellerisorse, all’ostracismo o al mobbing. Gli autori affrontano la questione riconoscendo che inquesti casi “piuttosto che la partecipazione si può sostituire una sottomissione involontariacapace <strong>di</strong> <strong>di</strong>storcere, parzialmente o completamente, le prospettive per l’appren<strong>di</strong>mento nellapratica” (Lave e Wenger, 1991, p.64). Sbrigativamente ci si limita quin<strong>di</strong> a <strong>di</strong>re che in questicasi quello che viene imparato sono le pratiche socio-culturali, al limite quelle <strong>di</strong> risposta allacoercizione (ibidem).Un ulteriore critica viene mossa sul fronte della possibilità <strong>di</strong> avere accesso alla conoscenzatacita, che determina la gran parte delle conoscenze che guidano i comportamenti <strong>degli</strong>esperti. L’esigenza <strong>di</strong> “esteriorizzare” processi che solitamente sono eseguiti in automatico,“internamente”, richiede una particolare attenzione, oltre che all’esplicita volontà, anche daparte <strong>di</strong> chi si colloca “al centro” della comunità. Per questo motivo Calvani (2003) èsoprattutto scettico rispetto al concetto <strong>di</strong> “comunità <strong>di</strong> pratica online”. Per Calvani le“comunità <strong>di</strong> pratica online rappresentano una sorta <strong>di</strong> limite, conseguibile in situazioni deltutto peculiari” (ibidem). Il problema sottolineato è che la “conoscenza tacita”, <strong>di</strong> cui in largaparte si basano le esperienze <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento per partecipazione, “nella sua accezione piùampia e completa è trasferibile solo in forma assai limitata nella rete; possiamo in sintesi <strong>di</strong>reche, tendenzialmente si possono avere anche comunità <strong>di</strong> pratica online in funzione dellalimitatezza <strong>di</strong> “conoscenza tacita” che è necessario che transiti in rapporto alle caratteristichedel dominio; le situazioni più propizie si hanno dunque laddove la transazione comporti ilmassimo <strong>di</strong> “conoscenza esplicita”; si pensi ad esempio alle comunità dei programmatori, lecui “pratiche” si incarnano nello stesso linguaggio <strong>di</strong> programmazione” (ibidem).Naturalmente la questione, come riconosce lo stesso Calvani, non è inequivocabile, tanto chelo stesso Wenger organizza attraverso la rete seminari per la costituzione <strong>di</strong> comunità <strong>di</strong>pratica 20 . Naturalmente nel CSCL, ma in generale anche nell’e-learning, la rete non è l’unicocontesto all’interno del quale si svolgono le azioni (si parla ormai comunemente <strong>di</strong> blendedlearning) e che quin<strong>di</strong> si possa pensare soprattutto alla rete come luogo a supporto “agentemetamorfico della comunità <strong>di</strong> pratica” (ibidem), laddove cioè le pratiche possanosoprattutto consolidarsi nella relazione presenziale.Il modello dell’appren<strong>di</strong>mento attraverso la “partecipazione” ha, secondo altri, (Paavola,Lipponen, Hakkarainen, 2002) anche il limite <strong>di</strong> non essere capace <strong>di</strong> descrivereadeguatamente i processi <strong>di</strong> innovazione e <strong>di</strong> prevedere lo sviluppo <strong>di</strong> conoscenze connessealla trasformazione dell’esistente. Le comunità <strong>di</strong> pratica sono spesso descritte in azioni voltealla risoluzione <strong>di</strong> problemi, azioni queste da cui può anche emergere una revisione dellepratiche esistenti, ma che <strong>di</strong>fficilmente potranno portare ad invenzioni ra<strong>di</strong>calmente nuove(che richiedono piuttosto un’interruzione delle pratiche correnti ed un deliberato lavoro <strong>di</strong>ricerca e sviluppo). Molti <strong>degli</strong> stu<strong>di</strong> sull’appren<strong>di</strong>mento come “partecipazione”, del resto,nascono e prendono spunti da antropologi ed etnografi impegnati nello stu<strong>di</strong>o delle praticheeducative in culture aborigene (o comunque tra<strong>di</strong>zionali) caratterizzate da una relativastabilità. Gli stessi Lave e Wenger (1991) riportano, come esempi, le ostetriche delloYucatan o i sarti della Costa D’Avorio. La metafora <strong>di</strong> partecipazione è quin<strong>di</strong> soprattuttoutile per esaminare come la conoscenza possa venire trasmessa da una generazione adun’altra senza riflettere su come si sviluppino i cambiamenti o le trasformazioni culturali.Nella contemporanea “società della conoscenza” i ruoli vengono messi spesso in <strong>di</strong>scussionee i “nuovi arrivati” possono detenere o avere accesso a conoscenze ed abilità più importanti.Sempre più spesso, infatti, le nuove generazioni riescono a sviluppare competenze chepossono risultare molto <strong>di</strong>fficili alle generazioni più vecchie (cfr. Bereiter e Scardamalia,20Il sito Internet è per altro denominato come la “community of practice on communities of practice”http://www.cpsquare.org/
Teorie, modelli e artefatti per la costruzione sociale e contestuale della conoscenza 511993). Una risposta volta a superare questa empasse è quella dell’integrazione <strong>di</strong> prospettive<strong>di</strong>verse, seppure compatibili tra loro, sfruttandone le peculiari specificità.La Rogoff (1995) propone una cornice particolarmente esaustiva per inquadrare, all’internodella prospettiva culturale e situata, forme e modalità <strong>di</strong>verse <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento perpartecipazione. Al concetto <strong>di</strong> “partecipazione guidata” viene affiancato quello <strong>di</strong>“appren<strong>di</strong>stato” e <strong>di</strong> “appropriazione partecipata”, come schemi <strong>di</strong>versi per l’appren<strong>di</strong>mento.Paavola, Lipponen, Hakkarainen (2002) propongono invece <strong>di</strong> espandere la prospettivadell’appren<strong>di</strong>mento per partecipazione integrandola con alcuni costrutti capaci <strong>di</strong>determinare meglio le modalità attraverso le quali le comunità epistemiche dovrebberoessere organizzate per facilitare l’avanzamento e la creazione <strong>di</strong> nuove conoscenza. Tra imodelli citati ci sono quello della creazione della conoscenza <strong>di</strong> Nonaka e Takeuchi (1997),quello dell’expansive learning <strong>di</strong> Yrjö Engeström (1987) o il modello del knowledgebuil<strong>di</strong>ng <strong>di</strong> Carl Bereiter (2002).È comunque necessario precisare che l’attenzione verso la prospettiva dell’appren<strong>di</strong>mentocome “partecipazione” si sviluppa a partire dal mondo della scuola dove l’interesse non ètanto volto alla creazione <strong>di</strong> conoscenze nuove in senso assoluto (per l’umanità), quantocome possibilità che il gruppo arrivi a dare, costruttivisticamente, un significato soggettivoagli argomenti proposti (ri-scoprire per appropriarsene). Chiaramente le esigenze nell’ambitodella formazione aziendale, e <strong>degli</strong> adulti in genere, possono trovare meno produttivo unmodello che si limiti a riproporre l’acquisizione dell’esistente. In ambito scolastico ilconcetto <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento come appren<strong>di</strong>stato è stato proposto a seguito della constatazione<strong>degli</strong> insuccessi della scuola tra<strong>di</strong>zionale nel consentire agli studenti una piena padronanza<strong>degli</strong> utensili cognitivi. Uno dei modelli più noti, quello dell’”appren<strong>di</strong>stato cognitivo” <strong>di</strong>Collins, Brown e Newman (1995), recupera e valorizza il modello delle “botteghe artigiane”,attraverso l’assimilazione dell’allievo ad un appren<strong>di</strong>sta chiamato a svolgere, in modofunzionale, le pratiche osservate dall’insegnante visto come esperto 21 .Analoga attenzione all’appren<strong>di</strong>mento attivo e consapevole si ritrova nel progetto delle“Community of Learners” sviluppato già dal 1989 da Ann Brown e Joe Campione (Brown,Campione, 1990, 1994; Brown, 1996). Anche in questo caso l’enfasi è posta sullaconoscenza come processo partecipativo e costruttivo. Ed anche le esperienze CSILEelaborate da Bereiter e Scardamalia (1989; 1992; 1993; 1994) muovono dalle stesseconstatazioni (fallimento del modello <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento per “trasferimento”) e riscoperta delvalore della comunità <strong>di</strong> esperti come luogo definito per l’appren<strong>di</strong>mento per“partecipazione”.Molti <strong>di</strong> questi modelli uniscono agli spunti derivanti dalla prospettive storico culturali (oltreal concetto <strong>di</strong> “situatività”, anche quello <strong>di</strong> interazione sociale all’interno della vygotskijana“zona dello sviluppo prossimale”) elementi piagettiani (<strong>di</strong> costruzione soggettiva) edeweyani (attivistici, legati al <strong>di</strong>scovery learning). Lo studente viene solitamente posto nellecon<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> padroneggiare strategie <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento attivo, capaci quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> momentiautoriflessivi, interagendo con il gruppo dei pari.Solitamente ogni studente “è al tempo stesso appren<strong>di</strong>sta ed insegnante, con<strong>di</strong>videndo contutti gli altri le proprie conoscenze. Ciascun membro della comunità è considerato come21 Le strategie a <strong>di</strong>sposizione dell’appren<strong>di</strong>stato tra<strong>di</strong>zionale per promuovere la competenza esperta sono il modelling(l’appren<strong>di</strong>sta osserva ed imita il maestro che <strong>di</strong>mostra come fare), il coaching (il maestro assiste continuamente secondo lenecessità: <strong>di</strong>rige l’attenzione su un aspetto, dà feedback, agevola il lavoro), lo scaffol<strong>di</strong>ng (il maestro fornisce un appoggioall’appren<strong>di</strong>sta, uno stimolo, pre-imposta il lavoro, ecc.) e il fa<strong>di</strong>ng (il maestro elimina gradualmente il supporto, in modo dadare a chi apprende uno spazio progressivamente maggiore <strong>di</strong> responsabilità). L’appren<strong>di</strong>stato cognitivo si <strong>di</strong>fferenzia peròdall’appren<strong>di</strong>stato tra<strong>di</strong>zionale per la maggiore attenzione alla risoluzione <strong>di</strong> una generalità non definita <strong>di</strong> situazioni. Si trattacioè <strong>di</strong> sviluppare abilità <strong>di</strong> problem-solving trasferibili in contesti <strong>di</strong>versi da quello iniziale. L’appren<strong>di</strong>stato cognitivo entraquin<strong>di</strong>, attraverso l’esperienza guidata, a definire capacità e processi cognitivi e metacognitivi, piuttosto che fisici. Siintroducono allora altre strategie, quali: l’articolazione (si incoraggiano gli studenti a verbalizzare la loro esperienza), lariflessione (si spinge a confrontare i propri problemi con quelli <strong>di</strong> un esperto) e l’esplorazione (si spinge a porre e risolvereproblemi in forma nuova) (cfr. Calvani, 1995a, p. 132).
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