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Teorie, modelli e artefatti per la costruzione sociale e contestuale della conoscenza 43importante guardare alla conoscenza come ad un sistema composito ed all’intelligenza comead una capacità <strong>di</strong> utilizzarlo in maniera adeguata. La “<strong>di</strong>stributed cognition”, che secondoPea “non è una teoria della mente, ma piuttosto una infrastruttura euristica per sollevare e<strong>di</strong>n<strong>di</strong>rizzare questioni teoretiche ed empiriche” (Pea, 1993, p.48), suggerisce <strong>di</strong> guardare nonsolo ad un piano intrain<strong>di</strong>viduale ma, piuttosto, su un piano interin<strong>di</strong>viduale ed interattivo adun appren<strong>di</strong>mento come prodotto composito e collettivo. Se l’appren<strong>di</strong>mento viene intesocome una realtà “<strong>di</strong>stribuita” esso lo sarà, quin<strong>di</strong>, anche tra i <strong>di</strong>versi soggetti in formazioneed i formatori il cui ruolo, in quanto agenti cognitivi riveste un’ importanza centrale.“L’attenzione della riflessione pedagogica si sposterà, pertanto anche a) sull’articolazionedel processo appren<strong>di</strong>tivo e sui ruoli giocati in esso dai <strong>di</strong>versi agenti cognitivi che vi sonoimplicati; b) sulla natura delle relazioni cognitive che facilitano e/o inibiscono l’articolazionee lo sviluppo del processo in questione; c) sulle modalità <strong>di</strong> partecipazione alla costruzionedell’appren<strong>di</strong>mento che ciascun soggetto mette in atto. Su queste basi, quin<strong>di</strong>, anche leprocedure <strong>di</strong> analisi e <strong>di</strong> valutazione dei processi <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento saranno orientatesull’evoluzione della processualità in questione oltre che sugli esiti e sui prodotti che nederivano, e non si focalizzeranno unicamente sulle responsabilità in<strong>di</strong>viduali, ma sulcomplesso gioco <strong>di</strong> con<strong>di</strong>visione e <strong>di</strong> costruzione della responsabilità appren<strong>di</strong>tivanell’ambito dei <strong>di</strong>versi contesti <strong>di</strong> formazione in cui si producono nuovi appren<strong>di</strong>menti econoscenze” (Santoianni, Striano, 2003, p.92).2.5 L’appren<strong>di</strong>mento come azione sociale. La teoria dell’attivitàI principi della teoria dell’attività, sviluppata da Leont’ev (1981) nell’ambito dellaprospettiva storico culturale sovietica, sono strettamente connessi con quelli della prospettivacontestualista. Alcuni autori che hanno recentemente rielaborato questi spunti, comeDavydov, Wertsch, Cole ed Engeström compaiono spesso all’interno delle opere collettaneeche si occupano <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento in prospettiva situata e <strong>di</strong>stribuita (cfr. ad esempio:Salomon, 1993; Liverta Sempio, Marchetti, 1995; Pontecorvo, Ajello, Zucchermaglio,1995). Oggi la teoria <strong>di</strong> attività viene sviluppata in una prospettiva inter<strong>di</strong>sciplinare,prendendo avvio ed estendendo quelli che erano spunti già presenti nel pensiero marxiano 19 .In particolare si considera l’attività come unità <strong>di</strong> analisi all’interno della quale sono presentisia le funzioni <strong>di</strong> me<strong>di</strong>azione svolte dagli artefatti, sia le determinazioni derivanti dellestrutture sociali.Leont’ev (1981), evidenziando che la <strong>di</strong>visione del lavoro è parte <strong>di</strong> un processo storico,<strong>di</strong>stingue tre livelli nelle attività umane: le attività, le azioni e le operazioni. Viene quin<strong>di</strong>operata, in questi livelli, una <strong>di</strong>stinzione fra attività collettiva ed azione in<strong>di</strong>viduale.L’attività è l’unità sopra or<strong>di</strong>nata, sociale per sua natura e svolta per motivi <strong>di</strong> cui spesso gliin<strong>di</strong>vidui non sono completamente consapevoli. A causa della <strong>di</strong>visione del lavoro, infatti, lamaggior parte <strong>degli</strong> in<strong>di</strong>vidui partecipa alle attività senza essere pienamente cosciente <strong>degli</strong>oggetti delle attività e dei motivi che le spingono; la conseguenza è che l’attività nel suocomplesso sembra controllare i singoli, piuttosto che esserne controllata (Engeström, 1987).L’attività si manifesta attraverso azioni orientate ad uno scopo, <strong>di</strong> cui il soggetto èperfettamente consapevole. Le azioni sono dunque il livello interme<strong>di</strong>o e mentre le attivitànon hanno una connotazione in<strong>di</strong>viduale, collocandosi sempre ad un livello collettivo, leazioni sono eminentemente in<strong>di</strong>viduali. Le azioni sono a loro volta sono fatte <strong>di</strong> operazioniautomatiche, in<strong>di</strong>pendenti dalle caratteristiche dell’attività. Le operazioni quin<strong>di</strong>, che sono i19 Marx, nelle tesi su Feuerbach, ha formulato l’idea dell’attività umana orientata oggettivamente come pratica rivoluzionariache oltrepassa sia l’idealismo (“gli in<strong>di</strong>vidui hanno volontà libera”) che il materialismo meccanicista (“gli in<strong>di</strong>vidui sonoriproduzioni pure delle circostanze sociali”). Inoltre ha precisato che l’attività ha a che fare con le contrad<strong>di</strong>zioni fra il valore <strong>di</strong>uso ed il valore <strong>di</strong> scambio che pervade tutte le attività umane, in particolare nella prospettiva storica capitalistica.

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