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32Strumenti della rete e processo formativo2.3 La cultura e l’educazioneIn un recente libro <strong>di</strong> Bruner (2004), contenente una raccolta <strong>di</strong> saggi sull’educazione, vieneproposta una lettura dei motivi che hanno determinato la svolta culturalista in educazione. Edè particolarmente significativo che sia uno <strong>degli</strong> artefici della svolta cognitivista e<strong>di</strong>sciplinarista, seppure sotto la pressione della competizione con il sistema educativosovietico nel clima della guerra fredda, a riconoscere oggi l’importanza <strong>di</strong> assunti che eranopresenti nella stessa pedagogia deweyana a cui si contrappose. Il celebre congresso <strong>di</strong> WoodsHole del 1959, che spostò l’interesse della pedagogia nordamericana sull’istruzione, suicurricoli e sulle <strong>di</strong>scipline scientifiche, presupponeva un controllo ed uno sviluppo asetticodel processo formativo: “Si assumeva che gli studenti vivessero in una sorta <strong>di</strong> vuotoeducativo, senza essere minimamente toccati dai problemi della cultura <strong>di</strong> cui facevanoparte” (ibidem, p. 11). Erano soprattutto le premesse ad essere errate, ovvero l’idea che sipotesse “fare scuola” a prescindere dall’esistenza <strong>di</strong> problemi sociale e culturale. Fenomenicome la povertà, il razzismo, l’emarginazione, ma anche le <strong>di</strong>fferenze minori, rappresentanoinfatti le con<strong>di</strong>zioni all’interno delle quali le persone trovano o meno le motivazioni e lerisorse per accedere all’appren<strong>di</strong>mento scolastico. Bruner ricorda in particolare gli incontricon Alexander Luria, vivace sostenitore delle teorie ‘storico-culturali’ <strong>di</strong> Lev Vygotskij sullosviluppo: “I suoi entusiastici argomenti a favore del ruolo del linguaggio e della cultura nelfunzionamento della mente finirono presto per far vacillare la mia fede nelle teorie piùautonome e formalistiche del grande Jean Piaget, teorie che lasciavano pochissimo spazio alruolo qualificante della cultura nello sviluppo mentale” (ibidem).La prospettiva culturalista, pur non rinnegando livelli <strong>di</strong> elaborazione cognitiva impegnati suco<strong>di</strong>ci e sistemi simbolici, sposta l’attenzione sui contesti socio-culturali in cui si realizza losviluppo cognitivo. Questo approccio prende ispirazione da un dato evolutivo, il fatto cioèche la mente non potrebbe esistere senza la cultura. “La configurazione intellettuale umana –intesa come insieme articolato <strong>di</strong> funzioni mentali, viene perciò sempre più <strong>di</strong>ffusamenteinterpretata come processo che si evolve nell’ambito delle relazioni prodotte in strettorapporto con le configurazioni contestuali e gli elementi <strong>di</strong> me<strong>di</strong>azione culturale in essepresenti” (Santoianni, Striano, 2003, p.94). In questo senso è centrale il sistema simbolicocon<strong>di</strong>viso dai membri <strong>di</strong> una comunità culturale. Tale sistema contribuisce siaall’organizzazione della società e dei suoi stili <strong>di</strong> vita, sia al passaggio longitu<strong>di</strong>nale verso legenerazioni successive. I sistemi simbolici, le trame <strong>di</strong> significato che vi si producono,“rappresentano un elemento essenziale e costitutivo nello sviluppo della mente umana. Lacrescita cognitiva in<strong>di</strong>viduale si determina, infatti, me<strong>di</strong>ante l’uso e la con<strong>di</strong>visione <strong>di</strong>linguaggi e <strong>di</strong> strumenti intellettuali prodotti nell’ambito <strong>di</strong> una determinata cultura. E’proprio attraverso questi linguaggi e strumenti, inoltre, che si realizzano l’appren<strong>di</strong>mento e lacostruzione <strong>di</strong> strutture <strong>di</strong> conoscenza sempre più articolate e complesse” (ibidem). Daquesto punto <strong>di</strong> vista “nessuna conoscenza sta in pie<strong>di</strong> da sola, in<strong>di</strong>pendentemente da chi laproduce”, ma la conoscenza cambia “se stessa e il mondo attorno con il cambiare <strong>degli</strong>uomini che la producono, la legittimano e se ne servono per formare se stessi e per costruire iloro sistemi <strong>di</strong> vita” (Orefice, 2001, p. 205).“La cultura in questo senso è superorganica. Ma modella anche la mente dei singoliin<strong>di</strong>vidui. La sua espressione in<strong>di</strong>viduale è legata al fare significato, all’attribuzione <strong>di</strong>significati alle cose in situazioni <strong>di</strong>verse e in occasioni concrete. Fare significato implicasituare gli incontri con il mondo nel loro contesto culturale appropriato, al fine <strong>di</strong> sapere ‘<strong>di</strong>cosa si tratta in definitiva’. Benché i significati siano ‘nella mente’, hanno origine e rilevanzanella cultura in cui sono stati creati. È questa collocazione culturale dei significati che negarantisce la negoziabilità e, in ultima analisi, la comunicabilità. Il punto non è se esistano omeno dei ‘significati privati’; quello che conta è che i significati costituiscono la base delloscambio culturale. In quest’ottica il conoscere e il comunicare sono per loro stessa naturaprofondamente inter<strong>di</strong>pendenti, <strong>di</strong>rei anzi praticamente inseparabili. Infatti, per quanto possa

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