54Strumenti della rete e processo formativoriconosciute come pertinenti. Spesso ci si riferisce alle scuole come ai luoghi dove le personeapprendono ‘fuori contesto’, apprendono concetti generali o devono essere preparate per ilmondo fuori della scuola” (Lave, 1995, p. 165-166); fatto che determina molteplicicontrad<strong>di</strong>zioni a partire dall’impossibilità <strong>di</strong> rispondere con azioni specifiche ad obiettivigenerali (per farlo si deve necessariamente “evitare <strong>di</strong> chiarire gli obiettivi pratici perl’appren<strong>di</strong>mento”). Alla base <strong>di</strong> queste incoerenze ci sono obiettivi incompatibili tra loro(come “aiutare a determinare la rispettiva preparazione matematica <strong>di</strong> bambini checresceranno per occupare posizioni economiche e sociali <strong>di</strong>verse”) e applicazioni pratichealtrettanto contrad<strong>di</strong>ttorie come il presentare a scuola, sotto forma <strong>di</strong> scenari tratti dalla vitaquoti<strong>di</strong>ana, problemi matematici a cui si richiede un tipo <strong>di</strong> risoluzione (astratta e formale)<strong>di</strong>versa da quella solitamente adottata nella realtà. La Resnick (1995) sottolinea quattro<strong>di</strong>fferenze fondamentali che contrappongono il contesto scolastico a quello dei contesti <strong>di</strong>vita quoti<strong>di</strong>ana. La scuola valuta gli in<strong>di</strong>vidui singolarmente, tanto che anche le attività <strong>di</strong>gruppo risultano essere artificiose, mentre all’esterno le attività in<strong>di</strong>viduali sono semprevariamente interrelate con quelle <strong>degli</strong> altri. La scuola privilegia lo sforzo cognitivo “puro”,estromettendo specie nell’ambito delle prove <strong>di</strong> verifica l’uso <strong>degli</strong> strumenti (calcolatrici,<strong>di</strong>zionari, compagni <strong>di</strong> classe, ecc.), mentre nella realtà esterna, come quella professionale elavorativa, gli strumenti e le competenze dei colleghi sono continuamente utilizzate. Lascuola incoraggia l’appren<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> regole simboliche <strong>di</strong> vario tipo (i simboli dellamatematica ne sono un esempio) senza alcun legame con la loro utilizzabilità in attivitàsignificative, né con le reali modalità con cui vengono risolti i problemi nei contesti reali, nécon le competenze preesistenti ed acquisite informalmente dagli in<strong>di</strong>vidui. La scuola ha tra ipropri obiettivi principali quello <strong>di</strong> insegnare capacità e principi generali applicabili etrasferibili in ogni contesto. Per contro, nella vita, c’è una stretta inter<strong>di</strong>pendenza tra laconoscenza e lo specifico contesto in cui è stata appresa. Il problema della trasferibilità, inquesto caso, è comunque sia un problema della scuola (che spesso fallisce nel fornireconoscenze “generali” realmente applicabili a contesti esterni), che quellodell’appren<strong>di</strong>mento nei contesti “reali” che, analogamente, evidenziano limiti proprio sulfronte della trasferibilità delle competenze acquisite. L’analisi della Resnick,nell’evidenziare le <strong>di</strong>verse pratiche “dentro” e “fuori” le aule, mostra anche i limiti <strong>di</strong>entrambe: “mentre le prime sono pratiche che pur avendo la pretesa <strong>di</strong> esseredecontestualizzate, perdono proprio il contributo che un legame riconosciuto e valorizzatocon i contesti può dare alla crescita <strong>di</strong> nuove competenze, le seconde sono pratichecompletamente <strong>di</strong>pendenti dalle risorse e dai vincoli dei contesti d’uso” (Zucchermaglio,1996, p. 51). Portando alle estreme conseguenze queste riflessioni, in una prospettivaculturale e situata, la scuola fallisce proprio per l’incapacità ad accorgersi <strong>di</strong> essere a suavolta un “luogo <strong>di</strong> attività quoti<strong>di</strong>ana specializzata (come del resto lo sono per gli adulti icontesti <strong>di</strong> lavoro) e non un luogo privilegiato dove viene trasmessa una conoscenzagenerale, universale e trasferibile” (ibidem, p. 54). Tutti i sistemi <strong>di</strong> attività, comprese lascuola, l’università, i centri <strong>di</strong> ricerca scientifici, la formazione (in presenza o in rete) sono inquesto senso “situati”, ovvero “non esistono pratiche sociali decontestualizzate e perciò nonesiste una conoscenza decontestualizzata e un appren<strong>di</strong>mento decontestualizzato” (ibidem, p.54). Lo stesso contributo della Lave (1995) sui problemi matematici a scuola riba<strong>di</strong>sce ilconcetto che l’appren<strong>di</strong>mento è sempre situato, a scuola come fuori <strong>di</strong> essa. Situato nonimplica avere a che fare con cose necessariamente concrete o specifiche, o che non siapossibile affrontare questioni generalizzabili o immaginarie. “Implica che una data praticasociale è interconnessa in molteplici mo<strong>di</strong> con altri aspetti dei processi sociali in corso neisistemi <strong>di</strong> attività, a molti livelli <strong>di</strong> particolarità e generalità” (Lave, 1995, p. 176).Considerare l’appren<strong>di</strong>mento formale come specifica attività situata (dalla quale non è lecitoaspettarsi risposte universali) non autorizza a rinunciare al suo miglioramento, nécontrad<strong>di</strong>ce l’esigenza <strong>di</strong> avvicinare le pratiche dei sistemi <strong>di</strong> istruzione alle reali esigenzedella vita, anzi permette <strong>di</strong> indagare da una prospettiva <strong>di</strong>versa gli insuccessi. Una teoriadell’appren<strong>di</strong>mento situato richiede <strong>di</strong> partire dall’assunzione che il significato <strong>di</strong> una forma
Teorie, modelli e artefatti per la costruzione sociale e contestuale della conoscenza 55<strong>di</strong> azione sta in primo luogo nella sua collocazione all’interno del sistema <strong>di</strong> attività <strong>di</strong> cui faparte, sia questo la scuola, la vita domestica o lavorativa. Considerare il contestodell’appren<strong>di</strong>mento formale come peculiare e specifico porta così a riflettere sullasignificatività e la coerenza dei problemi proposti agli studenti (e dei sistemi <strong>di</strong> risoluzione)con le altre modalità. L’esigenza <strong>di</strong> istituire “ponti”, <strong>di</strong> creare raccor<strong>di</strong> tra i vari contesti <strong>di</strong>vita può partire, ad esempio, dalla valorizzazione delle capacità e le modalità spontanee <strong>di</strong>appren<strong>di</strong>mento possedute dagli in<strong>di</strong>vidui, invece che soppiantarle completamente connozioni e concetti slegati, per poi proseguire con la socializzazione culturale agli strumentied ai concetti prodotti all’interno delle prospettive <strong>di</strong>sciplinari (Gardner, 1991). In questosenso la prospettiva dell’appren<strong>di</strong>mento situato non esclude <strong>di</strong> prescindere o ignorareconsiderazioni <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne soggettivo, intese come <strong>di</strong>fferenze in<strong>di</strong>viduali o pre<strong>di</strong>sposizionibiologiche. La Resnick (1995b), elaborando il costrutto del “razionalismo situato”, propone<strong>di</strong> guardare all’appren<strong>di</strong>mento come sintonizzazione <strong>di</strong> strutture <strong>di</strong> conoscenza possedutedall’in<strong>di</strong>viduo con le situazioni in cui questo è coinvolto. Le relazioni tra struttureconoscitive pre<strong>di</strong>sposte biologicamente e domini culturali porta ad in<strong>di</strong>viduare due tipi <strong>di</strong>relazioni dalle quali non è possibile prescindere nella strutturazione <strong>di</strong> percorsi formativiformali: coerenza e contrad<strong>di</strong>zione. Esistono concetti scientifici che si accordano con lemodalità intuitive, pre<strong>di</strong>sposte biologicamente e sperimentate empiricamente dai soggettinelle loro esperienze <strong>di</strong> vita (l’esempio è quello dei principi matematici <strong>di</strong> ad<strong>di</strong>tività ecommutatività) e situazioni in cui, invece, i concetti non si raccordano con le modalitàumane <strong>di</strong> percepire i problemi (l’esempio è quello della fisica newtoniana). Nel primo caso ilcompito dell’insegnamento è quello <strong>di</strong> aiutare il soggetto ad elaborare ed estendere ilconcetto iniziale nelle forme culturalmente accettate, nel secondo caso è invece necessarioun compito <strong>di</strong> sostituzione delle credenze iniziali, anziché elaborarle. Come è stato suggeritonei precedenti paragrafi, l’approccio contestualistico alla cognizione comporta lariconcettualizzazione del funzionamento mentale, includendo in questa riformulazioneelementi interni ed esterni al soggetto. In questa attenzione all’interazione del soggettoepistemico con le altre persone e con l’ambiente fisico e culturale, i problemi dellaformazione devono fare i conti, anche, con la variabilità e mutevolezza <strong>di</strong> questi apportiesterni.Seguendo la prospettiva della cognizione situata e <strong>di</strong>stribuita, Brown, Collins, Duguid,(1989, p.33) fanno notare che i riman<strong>di</strong> referenziali, ovvero gli in<strong>di</strong>ci con i quali vengonoorganizzate le rappresentazioni delle azioni nei contesti hanno un ruolo <strong>di</strong> primo piano nellosvolgimento delle attività correnti e nello sviluppo delle successive. Le rappresentazioni cheemergono dalle attività non possono facilmente (e in alcuni casi, secondo gli autori, forse perniente) essere rimpiazzate dalle descrizioni. Le rappresentazioni sono in<strong>di</strong>cizzate(indexicalized) in maniera simile a come avviene con il linguaggio, ovvero sono <strong>di</strong>pendentidal contesto. Nella conversazione in presenza (face-to-face) le persone possono interpretareespressioni tipo “io, tu, qui, ora, quello” perchè hanno accesso alle funzionalità <strong>di</strong>in<strong>di</strong>cizzazione offerte dalla situazione. I riman<strong>di</strong> referenziali sono gli stessi tra chi parla e chiascolta, o quanto meno chi ascolta può comprendere – dalla situazione – a quali elementi,spesso fisici, egli si riferisce. Dell’importanza <strong>di</strong> questi riman<strong>di</strong> “indessicali” (indexical) edelle informazioni <strong>di</strong> cui sono portatori ci si può accorgere, ad esempio, nell’utilizzare mezzi<strong>di</strong> “comunicazione a <strong>di</strong>stanza” per dare informazioni dettagliate su come si risolve unproblema pratico. Usare il telefono per aiutare un amico a risolvere un problema con unprogramma, significa immaginare tutto il contesto situazionale (messaggi su monitorcompresi) nel quale l’amico si trova. Farlo per iscritto (ad esempio usando la e-mail) richiedeun impegno anche maggiore, perché senza un feed-back imme<strong>di</strong>ato da parte del lettore, ènecessario riprodurre interi frammenti operativi descrivendoli accuratamente (tipo: “dopoaver selezionato il testo con il mouse, dalla barra dei menu, seleziona la voce “Strumenti”,quin<strong>di</strong> la voce “Opzioni”). In generale è possibile <strong>di</strong>re che la comunicazione de-localizzatarichiede descrizioni più accurate, quin<strong>di</strong> tempi più lunghi, e non garantisce un risultatopermanendo consistenti elementi <strong>di</strong> ambiguità. Lavorare in rete, da questo punto <strong>di</strong> vista,richiede esattamente questo sforzo <strong>di</strong> adattamento e <strong>di</strong> immaginazione dei riman<strong>di</strong>
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