66Strumenti della rete e processo formativomodalità umane <strong>di</strong> denotare significati rappresentano un settore <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o particolarmentedelicato per la scienza cognitiva. Attraverso i risultati derivanti da questo campo sonopossibili continui progressi nella progettazione <strong>di</strong> prodotti “usabili” ed “accessibili” da ampiefasce <strong>di</strong> utenza. Nell’ambito della ricerca sull’usabilità dei sistemi, il problema della“referenzialità” <strong>di</strong>venta in particolare una questione <strong>di</strong> “mapping”, ovvero <strong>di</strong> correttasovrapposizione <strong>di</strong> configurazioni. Un qualsiasi artefatto dotato <strong>di</strong> coman<strong>di</strong>, come pulsanti,interruttori, icone, ecc. separati dalle unità <strong>di</strong> sistema deputate allo svolgimento dellefunzioni, necessariamente dovrà offrire un sistema per comprendere quali coman<strong>di</strong> sonoassociati a quali funzioni. Norman (1997, p.12) definisce il mapping come l’insieme <strong>di</strong>“correlazioni logico-spaziali fra quello che l’utente vuol fare e ciò che appare (od è)fattibile”, da cui consegue la prescrizione per il progettista del rispetto sia <strong>di</strong> vincoli culturali(“logico” nel senso <strong>di</strong> ciò che in un determinato contesto può essere ritenuto tale) sia <strong>di</strong>quelli percettivo/spaziali. Naturalmente per consentire un facile utilizzo dello strumento lacollocazione logico-spaziale dei coman<strong>di</strong> deve essere il più possibile chiara e rimandare inmaniera analogica agli elementi rappresentati o attivati. I coman<strong>di</strong>, dal cui azionamentoconsegue il risultato, devono cioè sfruttare sia analogie fisiche, sia modelli culturali. Unesempio classico <strong>di</strong> mapping scadente è spesso rappresentato dal design dei fornelli e dellemanopole per il loro azionamento: quando la posizione delle manopole non riportacorrettamente la <strong>di</strong>sposizione dei fornelli, questa rallenta o rende problematica l’accensione<strong>di</strong> quello giusto. Chiaramente questi concetti sono strettamente interrelati tra loro. Dal punto<strong>di</strong> vista del design, nella prospettiva <strong>di</strong> “invitare” ad una certa modalità d’uso dell’oggetto ilconcetto <strong>di</strong> mapping è collegato a quello <strong>di</strong> affordance, ma anche a quello <strong>di</strong> constraint(vincoli o funzioni obbliganti). La possibilità che una persona ha <strong>di</strong> utilizzare con successoun determinato artefatto è infatti legata alle caratteristiche progettuali (fisiche e logiche) <strong>di</strong>cui questo è dotato. Secondo Norman (1997), i principi per il buon design, prevedono oltreall’esigenza <strong>di</strong> fornire un buon mapping altre quattro esigenze: 1) che gli artefatti sianodotati <strong>di</strong> inviti (affordance) e vincoli (constraint) che ne governino l’uso, 2) che il feedbacksia gestito correttamente, 3) che tutte le parti funzionali siano visibili e, 4) che all’utente siaofferto un buon “modello concettuale”.Il “feedback” è gestito correttamente quando lo strumento comunica in maniera adeguata glieffetti conseguenti alle azioni svolte. Viceversa, se all’utente non viene fornita alcunainformazione <strong>di</strong> “ritorno” egli si trova nell’impossibilità <strong>di</strong> valutare le proprie scelte e puòessere indotto a fermarsi o a proseguire anche davanti ad un errore. Lo stesso problema sipuò verificare anche in altri ambiti. Nell’appren<strong>di</strong>mento, ad esempio, se uno studente nonviene correttamente seguito può finire per sistematizzare in maniera erronea i concettiacquisiti 26 . Il continuo processo <strong>di</strong> intuizione-azione-valutazione-del-feedback permetteall’utente, come vedremo presentando il modello della “teoria del controllo delle azioni”, <strong>di</strong>operare efficacemente nel mondo.Norman, come anticipato, presenta inoltre altri due requisiti per un corretto <strong>di</strong>segno <strong>degli</strong>strumenti e delle interfacce: la “visibilità delle funzioni” e il “modello concettuale”. Perl’utente avere la “visibilità” <strong>di</strong> tutte le parti funzionali <strong>di</strong> un artefatto (fisico o virtuale comeun’interfaccia software) significa poter conoscere quali sono le azioni <strong>di</strong>sponibili 27 e quin<strong>di</strong>operare adeguatamente. La visibilità può riguardare anche informazioni sullo stato delsistema, ovvero quelle fornite dal feedback a seguito <strong>di</strong> un’azione. In questo caso, si entra inuno specifico ambito <strong>di</strong> riflessione legato all’opportunità, non da tutti con<strong>di</strong>visa, che leinterfacce siano “non-modali” al fine <strong>di</strong> limitare l’effettuazione <strong>di</strong> errori, detti appunto26 Sul rapporto tra cibernetica e appren<strong>di</strong>mento cfr. Trisciuzzi (1974).27 Il problema sottintende la <strong>di</strong>stinzione tra artefatti superficiali ed artefatti interni. Gli artefatti superficiali (come lemaniglie) mostrano tutto ciò che esiste, altri più complessi (come i computer) presentano più livelli <strong>di</strong> cui, ad un determinatocontesto operativo, per un utente è visibile solo una parte dell’informazione. In molti casi, infatti, negli artefatti interni esistonoinformazioni celate all’utente e che consentono, a livelli <strong>di</strong>versi, al sistema <strong>di</strong> funzionare.
Strumenti e ambienti per la formazione in rete. Prospettive, limiti e potenzialità delle tecnologie 67modali. La problematica, molto specifica (e che quin<strong>di</strong> esula le finalità <strong>di</strong> questo lavoro), èlegata alla possibilità o meno che un’interfaccia manifesti sempre nello stesso modo leproprie risposte agli atti <strong>di</strong> un utente e quante <strong>di</strong>verse possibili azioni siano consentite dallostesso comando.Circa il “modello concettuale”, infine, si intende la possibilità che il progettista è riuscito adare all’utente <strong>di</strong> costruirsi un’idea, ancorché ingenua, dello scopo dell’artefatto e <strong>di</strong> qualiazioni siano da questo consentite. L’importanza del modello concettuale non è tanto legataall’esigenza <strong>di</strong> comprendere esattamente il meccanismo <strong>di</strong> funzionamento, quanto <strong>di</strong> avereun’idea sufficientemente precisa del funzionamento dell’artefatto. Il modello concettuale,che è una singolare fattispecie <strong>di</strong> modello mentale 28 , viene sviluppato dall’utente attraversol’interazione con il sistema. Un buon modello concettuale è ciò che nella vita quoti<strong>di</strong>anaconsente <strong>di</strong> prevedere gli effetti delle azioni, arrivando a guidare gli in<strong>di</strong>vidui allacomprensione dei <strong>di</strong>versi coman<strong>di</strong> e/o delle azioni <strong>di</strong>sponibili come pure le (eventuali)sequenze <strong>di</strong> passaggi. Attraverso un buon modello concettuale è possibile apprendere piùrapidamente e con minori problemi il funzionamento <strong>di</strong> un qualsiasi <strong>di</strong>spositivo. Molte delle<strong>di</strong>fficoltà che nascono nell’uso <strong>degli</strong> artefatti, ed in particolare delle tecnologie piùcomplesse come quelle informatiche, nascono proprio dall’incapacità per alcuni utenti <strong>di</strong>formarsi dei modelli concettuali sufficientemente adeguati per arrivare a svolgere il compitorichiesto. Molte persone, ad esempio, non riuscivano a crearsi un’idea che consentisse loro <strong>di</strong>operare correttamente con le <strong>di</strong>rectory fino a quando le interfacce grafiche non hannomostrato, attraverso la metafora delle cartelle, un modello concettuale sufficientementechiaro e comprensibile. Il modello concettuale dell’utente è quin<strong>di</strong> in buona parte guidato dacome il progettista, partendo dal suo modello progettuale, è riuscito ad informare l’artefatto(anche attraverso elementi esterni quali: documentazioni, etichette, istruzioni) circa il suoutilizzo. “Se l’immagine del sistema non rende chiaro e coerente il modello progettuale,l’utente finirà per formarsi un modello mentale sbagliato” (Norman, 1997, p. 24).3.1.2 La teoria del controllo della azioniUn modello particolarmente fecondo per comprendere l’insieme dei passaggi necessariall’interazione tra uomo e artefatti deriva dalla teoria del controllo delle azioni <strong>di</strong> Hutchins,Hollan e Norman (1985). Questo modello prevede l’interazione continua tra mente e corpo,tra percezione e azione, tenendo conto sia delle fasi <strong>di</strong> svolgimento del compito, sia dellepossibili <strong>di</strong>fficoltà (<strong>di</strong>stanze) <strong>di</strong> passaggio da una fase all’altra nel corso dello svolgimento. Ilmodello, per affermazione <strong>degli</strong> stessi autori, non rappresenta una teoria psicologicacompleta, né si presenterà sempre nello stesso modo o richiederà il passaggio <strong>di</strong> tutti gli sta<strong>di</strong>o nello stesso or<strong>di</strong>ne. C’è infatti un continuo anello <strong>di</strong> retroazione tale per cui i risultati <strong>di</strong>un’attività possono essere usati per in<strong>di</strong>rizzarne altre, oppure per condurre a obiettivicollaterali e sussi<strong>di</strong>ari in una complessa fenomenologia in cui si intrecciano variamenteintenzioni consce e inconsce, come pure attività in cui gli scopi vengono scartati,<strong>di</strong>menticati, riformulati. Il merito <strong>di</strong> questo modello è senz’altro quello <strong>di</strong> essere una guidaefficace nell’analisi delle <strong>di</strong>fficoltà d’uso <strong>di</strong> strumenti, e <strong>di</strong> fornire un framework entro ilquale collocare molte delle conoscenze della psicologia cognitiva (Rizzo, Marti, Bagnara,2001). Le fasi del modello sono sette, una per gli obiettivi (1. Formazione dello scopo), treper l’esecuzione (2. Formazione dell’intenzione, 3. Specificazione dell’intenzione, 4.Esecuzione dell’azione) e tre per la valutazione (5. Percezione dello stato del mondo, 6.28 I modelli mentali, secondo la definizione riportata dallo stesso Norman (1997, p. 25) sono i modelli che le persone hanno <strong>di</strong>sé, <strong>degli</strong> altri, dell’ambiente e delle cose con le quali interagiscono. I modelli mentali vengono formati attraverso l’esperienzasia in situazioni <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento formale che informale.
- Page 1 and 2:
TESIUMANISTICA- 3 -
- Page 3 and 4:
Giovanni BonaiutiStrumenti della re
- Page 5 and 6:
Strumenti della rete e processo for
- Page 7 and 8:
Strumenti della rete e processo for
- Page 9 and 10:
Strumenti della rete e processo for
- Page 11 and 12:
Teorie, modelli e artefatti per la
- Page 13 and 14:
Teorie, modelli e artefatti per la
- Page 15 and 16:
Teorie, modelli e artefatti per la
- Page 17 and 18: Teorie, modelli e artefatti per la
- Page 19 and 20: Teorie, modelli e artefatti per la
- Page 21 and 22: Teorie, modelli e artefatti per la
- Page 23 and 24: Teorie, modelli e artefatti per la
- Page 25 and 26: Teorie, modelli e artefatti per la
- Page 27 and 28: Teorie, modelli e artefatti per la
- Page 29 and 30: Teorie, modelli e artefatti per la
- Page 31 and 32: Teorie, modelli e artefatti per la
- Page 34 and 35: 32Strumenti della rete e processo f
- Page 36 and 37: 34Strumenti della rete e processo f
- Page 39 and 40: Teorie, modelli e artefatti per la
- Page 41 and 42: Teorie, modelli e artefatti per la
- Page 43 and 44: Teorie, modelli e artefatti per la
- Page 45 and 46: Teorie, modelli e artefatti per la
- Page 47 and 48: Teorie, modelli e artefatti per la
- Page 49 and 50: Teorie, modelli e artefatti per la
- Page 51 and 52: Teorie, modelli e artefatti per la
- Page 53 and 54: Teorie, modelli e artefatti per la
- Page 55 and 56: Teorie, modelli e artefatti per la
- Page 57 and 58: Teorie, modelli e artefatti per la
- Page 59 and 60: Teorie, modelli e artefatti per la
- Page 61 and 62: Strumenti e ambienti per la formazi
- Page 63 and 64: Strumenti e ambienti per la formazi
- Page 65 and 66: Strumenti e ambienti per la formazi
- Page 67: Strumenti e ambienti per la formazi
- Page 71 and 72: Strumenti e ambienti per la formazi
- Page 73 and 74: Strumenti e ambienti per la formazi
- Page 75 and 76: Strumenti e ambienti per la formazi
- Page 77 and 78: Strumenti e ambienti per la formazi
- Page 79 and 80: Strumenti e ambienti per la formazi
- Page 81 and 82: Strumenti e ambienti per la formazi
- Page 83 and 84: Strumenti e ambienti per la formazi
- Page 85 and 86: Strumenti e ambienti per la formazi
- Page 87 and 88: Strumenti e ambienti per la formazi
- Page 89 and 90: Strumenti e ambienti per la formazi
- Page 91 and 92: Strumenti e ambienti per la formazi
- Page 93 and 94: Strumenti e ambienti per la formazi
- Page 95 and 96: Strumenti e ambienti per la formazi
- Page 97 and 98: Strumenti e ambienti per la formazi
- Page 99 and 100: Strumenti e ambienti per la formazi
- Page 101 and 102: Strumenti e ambienti per la formazi
- Page 103 and 104: Strumenti e ambienti per la formazi
- Page 105 and 106: Strumenti e ambienti per la formazi
- Page 107 and 108: Strumenti e ambienti per la formazi
- Page 109 and 110: Strumenti e ambienti per la formazi
- Page 111 and 112: Strumenti e ambienti per la formazi
- Page 113 and 114: Strumenti e ambienti per la formazi
- Page 115 and 116: Strumenti e ambienti per la formazi
- Page 117 and 118: Strumenti e ambienti per la formazi
- Page 119 and 120:
Strumenti e ambienti per la formazi
- Page 121 and 122:
Strumenti e ambienti per la formazi
- Page 123 and 124:
Strumenti e ambienti per la formazi
- Page 125 and 126:
Strumenti e ambienti per la formazi
- Page 127 and 128:
Strumenti e ambienti per la formazi
- Page 129 and 130:
L’indagine empirica e le verifich
- Page 131 and 132:
L’indagine empirica e le verifich
- Page 133 and 134:
L’indagine empirica e le verifich
- Page 135 and 136:
L’indagine empirica e le verifich
- Page 137 and 138:
L’indagine empirica e le verifich
- Page 139 and 140:
L’indagine empirica e le verifich
- Page 141 and 142:
L’indagine empirica e le verifich
- Page 143 and 144:
L’indagine empirica e le verifich
- Page 145 and 146:
L’indagine empirica e le verifich
- Page 147 and 148:
L’indagine empirica e le verifich
- Page 149 and 150:
L’indagine empirica e le verifich
- Page 151 and 152:
L’indagine empirica e le verifich
- Page 153 and 154:
L’indagine empirica e le verifich
- Page 155 and 156:
L’indagine empirica e le verifich
- Page 157 and 158:
L’indagine empirica e le verifich
- Page 159 and 160:
L’indagine empirica e le verifich
- Page 161 and 162:
L’indagine empirica e le verifich
- Page 163 and 164:
L’indagine empirica e le verifich
- Page 165 and 166:
L’indagine empirica e le verifich
- Page 167 and 168:
L’indagine empirica e le verifich
- Page 169 and 170:
L’indagine empirica e le verifich
- Page 171 and 172:
L’indagine empirica e le verifich
- Page 173 and 174:
L’indagine empirica e le verifich
- Page 175 and 176:
L’indagine empirica e le verifich
- Page 177 and 178:
Strumenti della rete e processo for
- Page 179 and 180:
Strumenti della rete e processo for
- Page 181 and 182:
Strumenti della rete e processo for
- Page 183 and 184:
Strumenti della rete e processo for
- Page 185 and 186:
Strumenti della rete e processo for
- Page 187 and 188:
Strumenti della rete e processo for
- Page 189 and 190:
Strumenti della rete e processo for
- Page 191 and 192:
Strumenti della rete e processo for
- Page 193 and 194:
Strumenti della rete e processo for
- Page 195 and 196:
Strumenti della rete e processo for
- Page 197 and 198:
Strumenti della rete e processo for
- Page 199 and 200:
Strumenti della rete e processo for
- Page 201 and 202:
Strumenti della rete e processo for
- Page 203 and 204:
Strumenti della rete e processo for
- Page 205 and 206:
Strumenti della rete e processo for
- Page 207 and 208:
Strumenti della rete e processo for
- Page 209:
RingraziamentiRingrazio nella perso