62Strumenti della rete e processo formativoFigura 8. Circuito <strong>di</strong> interazione uomo macchina dove anche il sistema umano viene caratterizzato da unsottosistema <strong>di</strong> input sensoriale, un sottosistema centrale per il “processamento” dell’informazione e unsottosistema motorio <strong>di</strong> output (immagine adattata da Mazzoni, 2002).Questo modello, che vedremo sviluppato in maniera più accurata nella “teoria del controllodelle azioni” (paragrafo 3.1.2), aiuta a determinare quali tipi <strong>di</strong> interazione avvengano train<strong>di</strong>vidui e sistemi artificiali. Nonostante la relativa semplicità, questo schema presenta dueimportanti vantaggi: offre una descrizione coerente dell’intero sistema interattivo uomoartefattoe struttura efficacemente lo spazio del problema permettendo <strong>di</strong> collocareagevolmente la presentazione dell’informazione all’utente, le sue percezioni, i suoi modellimentali e il controllo del sistema attraverso i <strong>di</strong>spositivi <strong>di</strong> input e output (Mazzoni, 2002,p.128). Ogni azione umana, in questa prospettiva, richiede la formulazione <strong>di</strong> un obiettivoastratto e la successiva trasformazione in strategie concrete (azioni). Il tutto considerato intermini <strong>di</strong> acquisizione, elaborazione e restituzione <strong>di</strong> informazioni in entrambe le <strong>di</strong>rezioni:dalla realtà ai modelli mentali e dai modelli mentali alla realtà. Il modello potrebbe ancheessere semplificato, come nel caso dell’interazione dell’uomo con un artefatto privo delsistema <strong>di</strong> elaborazione – un qualsiasi strumento tra<strong>di</strong>zionale, come un martello – , nonperdendo la sua vali<strong>di</strong>tà. In questo caso rimarrebbero presenti tutti i sistemi <strong>di</strong> input (lemodalità <strong>di</strong> accettazione delle azioni) e <strong>di</strong> output (le restituzioni), ma sarebbe operante il solosistema cognitivo umano impegnato a deco<strong>di</strong>ficare il significato delle proprie azioni sullostrumento.Il concetto <strong>di</strong> “interfaccia” è necessario approfon<strong>di</strong>rlo adeguatamente. Secondo unadefinizione sufficientemente ampia, infatti, si può parlare <strong>di</strong> interfaccia come del “modo incui si fa qualcosa con uno strumento: le azioni che dobbiamo eseguire e il modo in cui lostrumento risponde” (Raskin, 2003, p.2), definizione che non si limita quin<strong>di</strong> a descrivere ungenerico “pannello <strong>di</strong> controllo” <strong>di</strong> un sistema elettronico, come molti sarebbero portati aritenere, includendo invece ampie categorie <strong>di</strong> artefatti visti nella loro <strong>di</strong>mensionefunzionale. Il <strong>di</strong>zionario della lingua italiana Devoto-Oli (ed. 1990) definisce l’interfacciacome il “punto <strong>di</strong> contatto tra due <strong>di</strong>verse entità […] superficie tra due spazi… al tempostesso limite e connessione”, ovvero quell’elemento che consente sia lo scambiocomunicativo (il <strong>di</strong>alogo), che l’azione stessa. Per utilizzare efficacemente gli oggetti èeffettivamente necessario identificare il risultato delle azioni compiute; concetto che inambito cibernetico è stato definito come analisi del feedback (Wiener, 1966, 1968). Neisistemi regolati automaticamente si parla <strong>di</strong> feedback come quell’operazione che rinviaall’entrata <strong>di</strong> un processo un’informazione sull’andamento del processo stesso: percontrollarlo ed eventualmente correggerlo attraverso retroazione e controreazione. Leinterfacce consentono quin<strong>di</strong> una funzione comunicativa in ingresso, ovvero l’avviodell’azione, e restituiscono – attraverso il feedback – le informazioni relative al risultatodell’azione avviata, in modo da consentire il proseguimento dell’azione: in qualche modoconsentono <strong>di</strong> monitorare le fasi <strong>di</strong> input e <strong>di</strong> output. Sono chiamate interfacce anche i<strong>di</strong>spositivi che consentono <strong>di</strong> interconnettere apparati tecnologici tra <strong>di</strong> loro (ad esempio un
Strumenti e ambienti per la formazione in rete. Prospettive, limiti e potenzialità delle tecnologie 63computer ed un altro in una rete, o una routine software che richiami le funzioni <strong>di</strong> un’altra),perché anche in questo caso la loro funzione è <strong>di</strong> permettere la connessione, me<strong>di</strong>ante un“protocollo <strong>di</strong> comunicazione” con<strong>di</strong>viso, tra un apparato e l’altro. In tutti i casi, ovvero sianella relazione tra in<strong>di</strong>vidui (ad esempio attraverso i programmi <strong>di</strong> comunicazione me<strong>di</strong>atadal computer come la posta elettronica), sia nel rapporto tra in<strong>di</strong>viduo e macchina, sia che sitratti della connessione <strong>di</strong> apparati tecnologici <strong>di</strong>versi, <strong>di</strong>venta centrale la con<strong>di</strong>visione delsistema linguistico adottato. Sono dunque in gioco elementi lessicali (simboli/coman<strong>di</strong>),sintattici (con quali regole possono essere imputati i coman<strong>di</strong>) e semantici (il significatodella combinazione dei coman<strong>di</strong>, ovvero il risultato). Oggi i sistemi elettronici portano gliutenti a fare i conti con monitor e <strong>di</strong>splay dalle <strong>di</strong>mensioni sempre più contenute e dallecaratteristiche spesso inconsuete. In alcuni casi non si ha neppure la sensazione <strong>di</strong> avere ache fare con interfacce: i sistemi vocali con i quali molti servizi telefonici ci obbligano a<strong>di</strong>nteragire nascondono bene la loro natura <strong>di</strong> “interfaccia”, ma qualsiasi sia la forma, laddoveavviene trasferimento <strong>di</strong> informazioni, e quin<strong>di</strong> comunicazione, è presente un’interfaccia.Analogamente possiamo <strong>di</strong>re che i concetti che nel corso <strong>di</strong> questo lavoro sono riferiti aisistemi informatici o telematici, sono naturalmente trasponibili anche ad altri contesti e conaltri tipi <strong>di</strong> tecnologie, comprese quelle insospettabili come gli strumenti <strong>di</strong>dattici piùtra<strong>di</strong>zionali: dai libri, alle <strong>di</strong>spense, alle esercitazioni.Quali caratteristiche deve dunque avere una buona interfaccia? Un’interfaccia è a “misurad’uomo se è sensibile alle necessità <strong>degli</strong> esseri umani e rispettosa delle loro fragilità”(Raskin, 2003, p.7). Parlando <strong>di</strong> sistemi informatici, per creare un’interfaccia a misurad’uomo, “bisogna comprendere le basi del funzionamento sia <strong>degli</strong> esseri umani che dellemacchine; inoltre bisogna coltivare una sensibilità particolare per le <strong>di</strong>fficoltà dei priminell’usare le seconde” (Raskin, 2003, p.7). Molti autori sostengono che una buona tecnologiadovrebbe essere invisibile, nascosta alla vista, e possibilmente non inutilmente complessa(Norman, 2000; Cooper, 2000; Visciola, 2000; Calvani, 1995a). Naturalmente riuscire adesplicitare “cosa si intenda per facile da usare non è un compito facile. Inoltre, non semprefacile da usare vuol <strong>di</strong>re facile da apprendere”, come pure (molto probabilmente): “unsistema, se facile da usare, sarà probabilmente inefficiente” (Levial<strong>di</strong>, 1999). La nozione <strong>di</strong>usabilità <strong>di</strong> un’interfaccia è del resto un concetto recente, che deriva da una sensibilitàsviluppata negli ultimi anni grazie alla <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> massa <strong>di</strong> congegni inizialmente riservatia specialisti. Nell’informatica, ad esempio, fino a venti anni fa gli utenti erano informaticiche richiedevano prioritariamente la possibilità <strong>di</strong> sfruttare appieno le allora limitate potenze<strong>di</strong> calcolo <strong>degli</strong> elaboratori, anche a scapito della semplicità d’uso. Oggi, con la <strong>di</strong>sponibilità<strong>di</strong> computer domestici in grado <strong>di</strong> potenze <strong>di</strong> calcolo inimmaginabili allora, si sono potutesviluppare interfacce grafiche particolarmente intuitive, oltre che accattivanti, il cui sempliceutilizzo ne ha anche decretato un’ampia <strong>di</strong>ffusione.3.1.1 Simboli e processi mentaliNel cognitivismo HIP, l’uso del termine “informazione”, pur avendo a che fare conpercezioni, idee, immagini, credenze o ricor<strong>di</strong>, si riferisce prevalentemente al significato,inteso come la valenza simbolica ed informazionale contenuta all’interno dei “processimentali”. Vengono cioè prese in considerazione le potenzialità che i simboli hanno <strong>di</strong> fornirei meccanismi <strong>di</strong> rappresentazione ed esplicitazione delle informazioni <strong>di</strong> cui gli in<strong>di</strong>viduinecessitano “per muoversi con sicurezza nel mondo fornendo ai processi che governano lenostre azioni le informazioni su che cosa è dove” (Johnson-Laird, 1990, p.40). Il tipo <strong>di</strong>simboli che la mente elabora è naturalmente <strong>di</strong>verso rispetto a quelli <strong>di</strong> un computer, ma
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