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86Strumenti della rete e processo formativoGli obiettivi dell’ergonomia non sono necessariamente quelli della <strong>di</strong>dattica. Se l’ergonomiamira, infatti, a semplificare, a rendere “meno faticoso” lo sforzo (in questo caso:) mentale,arrivando cioè ad alleggerire il compito dello studente, magari cercando <strong>di</strong> rendere l’oggetto<strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o anche piacevole da utilizzare, gli obiettivi richiesti dalla formazione, ovvero quelli<strong>di</strong> un appren<strong>di</strong>mento efficace potrebbero venire <strong>di</strong>sattesi.Come evidenzia Pea (1993, p.242) molti strumenti, come ad esempio quelli elettronicialtamente sofisticati – dai conta battiti per lo jogging, ai localizzatori <strong>di</strong> strade, o ai <strong>di</strong>zionarie calcolatori cambia-valute – sono stati progettati per risolvere problemi <strong>di</strong> interesse comune.Questi strumenti incorporano una grande quantità <strong>di</strong> conoscenze e abilità <strong>di</strong> ragionamento,ma possono benissimo essere usati anche senza alcuna consapevolezza della loro complessitàimplementativa. Gli artefatti in generale possono facilitare l’esecuzione <strong>degli</strong> aspetticognitivi dei compiti per cui essi vengono impiegati e, del resto, gli ambienti in cui viviamosono pieni <strong>di</strong> artefatti che, usati costantemente e <strong>di</strong> solito automaticamente, contribuiscono aridurre l’ammontare dello sforzo mentale richiesto per perseguire specifici obiettivi. Le“attività me<strong>di</strong>ate dagli artefatti”, come le chiamano Cole ed Engeström (1993), hanno quin<strong>di</strong>la caratteristica <strong>di</strong> “spostare” sullo strumento buona parte del carico cognitivo.L’appren<strong>di</strong>mento richiede invece, e soprattutto, un coinvolgimento attentivo e riflessivo chespesso comporta impegno e fatica mentale, ovvero – riprendendo Salomon (1992, p.62) – ènecessario che si sviluppino conoscenze <strong>di</strong> alto livello nello specifico campo <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o, la cuicosa non è pensabile possa essere con<strong>di</strong>visa né con le tecnologie, ma neppure con altrepersone. Per questo gli obiettivi dell’ergonomia si affiancano a quelli della <strong>di</strong>datticanell’alleggerimento del carico cognitivo in alcune specifiche fattispecie, <strong>di</strong>vergendo invecesostanzialmente in altre. Naturalmente molto <strong>di</strong>pende anche dall’oggettodell’appren<strong>di</strong>mento. Se ad esempio la conoscenza è finalizzata prevalentemente all’azione,come nel caso dell’imparare a fare qualcosa, più semplice è l’azione – ovvero maggiore è ilcompito incamerato dagli strumenti (svolto dalle macchine) e minore conoscenza saràrichiesta. Si tratti <strong>di</strong> guidare un veicolo, come un aeroplano, o <strong>di</strong> fare delle sofisticatericerche <strong>di</strong> chimica farmaceutica, più sofisticati sono gli strumenti capaci <strong>di</strong> affiancarel’uomo nel suo lavoro e meno sforzo verrà richiesto nell’uso. Se l’appren<strong>di</strong>mento fosseinfine finalizzato all’uso <strong>di</strong> questi strumenti, magari attraverso interfacce semplici, ancorchésofisticate, allora potremmo ritenere che l’aver spostato il compito sullo strumento, anche dalpunto dell’appren<strong>di</strong>mento, non avrebbe danneggiato il soggetto. In questo caso il cerchio sichiuderebbe: strumenti più potenti (ovvero maggiori capacità incorporate) assieme ad unaminore necessità <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento per il loro uso equivarrebbero ad un minore sforzogenerale richiesto durante l’appren<strong>di</strong>mento. Ma questo solo se lo strumento tecnologicoutilizzato per apprendere contiene (incorpora) il fine. Se invece è un mezzo per raggiungereun <strong>di</strong>verso scopo, come nel caso dell’uso del computer per conoscere una nuova tecnica <strong>di</strong>ven<strong>di</strong>ta o imparare il tedesco, allora lo strumento nonostante possa essere semplificato, inquanto a specifiche modalità <strong>di</strong> utilizzo, non può contribuire più <strong>di</strong> tanto al semplificarel’appren<strong>di</strong>mento. L’equazione strumenti più efficaci uguale migliore appren<strong>di</strong>mento non ècosì <strong>di</strong>retta. Ed anzi, il rischio maggiore sta proprio nel primo caso in cui, come conseguenzain<strong>di</strong>retta del fatto che lo strumento abbia incorporare le parti complesse del compito, siassiste ad un corrispondente depauperando delle attività e delle capacità cognitive umane. Ilproblema <strong>di</strong> fondo, nel rapporto con gli artefatti tecnologici, è che la loro presenza ristrutturacomunque il modo <strong>di</strong> eseguire i lavori e <strong>di</strong> risolvere i problemi. Pensiamo alla calcolatriceutilizzata in ambito scolastico: semplifica la modalità <strong>di</strong> svolgimento del compito, ma sottraealla mente la possibilità e la flessibilità <strong>di</strong> raggiungere il risultato per altre strade. Il connubiotra mente e me<strong>di</strong>a pertanto deve essere adeguatamente gestito. Il fatto che uno strumentocome la calcolatrice porti ad esempio uno sgravio nello svolgimento <strong>di</strong> determinate funzioninon è necessariamente controproducente. Perkins (1993), ad esempio, nell’ambito dellericerche sulla “<strong>di</strong>stributed cognition” insiste sull’esigenza <strong>di</strong> insegnare a sfruttareadeguatamente anche gli apporti del contesto ambientale alla risoluzione dei problemi. Ilcontesto esterno all’in<strong>di</strong>viduo (ambiente, strumenti, persone) può infatti fornire un completosupporto alla cognizione fornendo o aiutando a strutturare, rappresentare o recuperare in

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