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pietro genesini appunti e versioni di letteratura italiana

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gli resta. Quando sarà morto, si augura che le sue ossa<br />

siano consegnate a sua madre mesta.<br />

Commento<br />

1. Per Foscolo l’eroe romantico non è responsabile<br />

delle sue scelte, ma è vittima <strong>di</strong> un destino avverso.<br />

Gli stessi vizi e le stesse passioni sembrano essere esterne<br />

e con<strong>di</strong>zionare dall’esterno l’in<strong>di</strong>viduo romantico.<br />

Ciò vale per lo stesso poeta, per il fratello, per<br />

Ulisse.<br />

2. Foscolo considera il punto <strong>di</strong> vista e il dolore <strong>di</strong> tutti<br />

e tre i protagonisti: il fratello, loro madre, egli stesso.<br />

E riesce a stabilire un rapporto affettivo intenso (e<br />

drammatico) fra i tre protagonisti.<br />

3. Nel sonetto è presente anche l’ideale <strong>di</strong> patria, dalla<br />

quale gli “avversi numi” tengono lontano il poeta. Si<br />

tratta in ogni caso <strong>di</strong> una patria ideale, nella quale il<br />

poeta non può più tornare.<br />

4. Questo sonetto <strong>di</strong> Foscolo sulla morte <strong>di</strong> un congiunto<br />

può essere confrontato con altre poesie che<br />

trattano la stessa situazione; ad esempio con Pianto<br />

antico (1871) <strong>di</strong> Giosue Carducci (1835-1907) o con<br />

le numerose poesie che Giovanni Pascoli (1855-1912)<br />

de<strong>di</strong>ca alla morte del padre.<br />

Il carme De’ Sepolcri (1807) è scritto in seguito alle<br />

<strong>di</strong>scussioni provocate dall’e<strong>di</strong>tto napoleonico <strong>di</strong> Saint<br />

Cloud (1804), che viene esteso all’Italia nel 1806. Tale<br />

e<strong>di</strong>tto imponeva che le tombe fossero allontanate<br />

dall’abitato per motivi igienici e che fossero tutte uguali<br />

per motivi <strong>di</strong> uguaglianza. In un primo momento<br />

Foscolo, che professa posizioni atee e materialistiche,<br />

con<strong>di</strong>vide l’e<strong>di</strong>tto e critica l’amico Ippolito Pindemonte,<br />

che nel poemetto I cimiteri (1807) lo accusava<br />

<strong>di</strong> scristianizzare la morte. In un secondo momento<br />

però, approfondendo il suo pensiero, giunge a conclusioni<br />

<strong>di</strong>verse, che fa confluire nel carme. Il testo si<br />

può così riassumere:<br />

Riassunto. La ragione ci <strong>di</strong>ce che le tombe sono inutili<br />

sia ai morti sia ai vivi. Il sentimento però si ribella a<br />

queste conclusioni e cerca una funzione per esse: le<br />

tombe permettono una “corrispondenza d’amorosi<br />

sensi” tra i vivi ed i morti; inoltre le tombe dei gran<strong>di</strong><br />

spingono gli animi forti a compiere gran<strong>di</strong> imprese.<br />

Tuttavia il tempo <strong>di</strong>strugge le tombe fin nelle rovine.<br />

Interviene allora la poesia, che vince il silenzio dei<br />

secoli, per tramandare ai posteri il ricordo delle gran<strong>di</strong><br />

imprese compiute nel passato, “finché il Sole risplenderà<br />

su le sciagure umane”.<br />

Nel carme è vivissimo l’ideale romantico-rivoluzionario<br />

<strong>di</strong> patria, che viene poi proiettato sulla cultura<br />

greca: per il poeta in Santa Croce a Firenze c’è lo<br />

stesso nume protettore della patria che spingeva i greci<br />

a combattere contro i persiani a Maratona; lo stesso<br />

nume che abitava il cimitero <strong>di</strong> Troia, dove le donne<br />

piangevano i loro mariti morti in battaglia a <strong>di</strong>fesa<br />

della città. È anche vivissimo l’ideale <strong>di</strong> poesia, desunto<br />

dal mondo classico e proiettato sulla cultura<br />

contemporanea, e le funzioni civili che esso svolge:<br />

come Omero ha cantato la guerra <strong>di</strong> Troia e il sangue<br />

130<br />

troiano versato per la patria, così il poeta canta i<br />

gran<strong>di</strong> italiani che riposano in Santa Croce. Dalle loro<br />

tombe trarranno forza e buoni auspici <strong>di</strong> vittoria i patrioti<br />

italiani quando decideranno <strong>di</strong> combattere per<br />

liberare la patria. Qui, come altrove, il paragone con<br />

Omero è esplicito.<br />

De’ Sepolcri (vv. 1-22, 151-295)<br />

1. Sotto l’ombra dei cipressi e dentro le tombe confortate<br />

dal pianto [dei propri cari] è forse il sonno della<br />

morte meno duro? Quando il Sole non feconderà più<br />

per me questa bella famiglia d’erbe e <strong>di</strong> animali, 5. e<br />

quando le ore future non danzeranno davanti a me,<br />

piene <strong>di</strong> lusinghe; né da te, o mio dolce amico<br />

(=Ippolito Pindemonte) udrò più il verso e la triste<br />

armonia che lo pervade, né più nel cuore mi parlerà lo<br />

spirito 10. delle vergini Muse e dell’amore (=sentirò<br />

l’ispirazione poetica e la passione amorosa), l’unico<br />

compagno della mia vita raminga, quale ricompensa<br />

sarà per i giorni passati una lapide, che <strong>di</strong>stingua le<br />

mie ossa dalle infinite 15. ossa che la morte <strong>di</strong>ssemina<br />

in terra e in mare? È ben vero, o Pindemonte! Anche<br />

la Speranza, l’ultima dea, fugge i sepolcri, e l’oblio<br />

avvolge tutte le cose nella sua notte; e una forza continua<br />

le consuma 20. con un movimento senza tregua;<br />

ed il tempo trasforma [e annienta] l’uomo, le sue<br />

tombe e l’estremo ricordo, e ciò che resta della terra e<br />

del cielo. [...]<br />

151. Le tombe dei gran<strong>di</strong> uomini, o Pindemonte,<br />

spingono l’animo forte a compiere gran<strong>di</strong> imprese; e<br />

fanno per il pellegrino bella e santa la terra che le accoglie.<br />

Io, quando vi<strong>di</strong> la tomba <strong>di</strong> quel grande (=N.<br />

Machiavelli), 155. che, rafforzando il potere ai regnanti,<br />

toglie ad esso gli ornamenti esteriori e svela<br />

alle genti <strong>di</strong> quante lacrime e <strong>di</strong> quanto sangue esso<br />

gron<strong>di</strong>; e quando vi<strong>di</strong> il sepolcro <strong>di</strong> colui (=M. Buonarroti),<br />

che 160. costruì un nuovo Olimpo in Roma<br />

agli dei; e quando vi<strong>di</strong> il sepolcro <strong>di</strong> colui (=G. Galilei),<br />

che vide sotto la volta celeste più mon<strong>di</strong> ruotare<br />

ed il sole, immobile, illuminarli (perciò egli sgombrò<br />

per primo le vie del cielo all’inglese, che le illuminò<br />

con il suo grande genio); 165. gridai che tu sei beata<br />

(=felice, fortunata), per le felici arie piene <strong>di</strong> vita e per<br />

i corsi d’acqua che dai suoi colli a te versa l’Appennino!<br />

Lieta della tua aria, la luna riveste con una<br />

luce limpi<strong>di</strong>ssima le tue colline, 170. in festa per la<br />

vendemmia; e le vallate, piene <strong>di</strong> case e <strong>di</strong> oliveti,<br />

mandano al cielo mille profumi <strong>di</strong> fiori. E tu per prima,<br />

o Firenze, u<strong>di</strong>vi il poema (=la Divina comme<strong>di</strong>a),<br />

che alleviò l’ira al ghibellino fuggiasco (=D. Alighieri);<br />

175. e tu desti i cari genitori e la lingua a quel<br />

dolce poeta (=F. Petrarca), che, adornandolo con un<br />

velo can<strong>di</strong><strong>di</strong>ssimo, poneva in grembo a Venere celeste<br />

l’Amore, che era stato nudo in Grecia e nudo in Roma.<br />

180. Ma tu sei ancor più beata, perché in un tempio<br />

(=Santa Croce) conservi raccolte le glorie italiche,<br />

le uniche forse [rimaste] da quando le Alpi mal <strong>di</strong>fese<br />

e l’alterno destino umano ti usurpavano la forza militare,<br />

la ricchezza, la religione, 185. la patria e, tranne<br />

la memoria, tutto. E, quando una luminosa speranza

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