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pietro genesini appunti e versioni di letteratura italiana

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sione e la memoria hanno grande spazio: il poeta immagina<br />

<strong>di</strong> essere giunto alla fine della sua esistenza e<br />

<strong>di</strong> trarre le conclusioni: il passero sarà contento, perché<br />

ha seguito la sua natura solitaria; egli non lo sarà,<br />

e spesso, ma sconsolato, si volgerà in<strong>di</strong>etro.<br />

2. L’i<strong>di</strong>llio contiene la stessa parte riflessiva e gli<br />

stessi motivi (la giovinezza, l’amore, il dolore, la solitu<strong>di</strong>ne,<br />

la bellezza intensissima della natura) presenti<br />

nei Piccoli e nei Gran<strong>di</strong> i<strong>di</strong>lli precedenti. In genere il<br />

poeta struttura l’i<strong>di</strong>llio in due parti: la prima è descrittiva;<br />

la seconda è riflessiva.<br />

3. Il poeta mantiene lo stesso atteggiamento già espresso<br />

negli i<strong>di</strong>lli L’infinito e Alla luna: non si getta<br />

nella vita; ha un contatto riflessivo e memoriale con la<br />

vita. In questo caso egli ad<strong>di</strong>rittura immagina <strong>di</strong> essere<br />

ormai vecchio e <strong>di</strong> rivolgere il suo pensiero verso il<br />

passato, per esprimere la sua insod<strong>di</strong>sfazione verso le<br />

scelte che sta facendo.<br />

4. Il poeta descrive affascinato e con tenerezza il “natio<br />

borgo selvaggio” e il paesaggio che circonda il suo<br />

paese anche negli i<strong>di</strong>lli La quiete dopo la tempesta e<br />

Il sabato del villaggio. Le sue descrizioni sono antitetiche<br />

alla ricerca dell’orrido, <strong>di</strong> paesaggi cupi ed invernali,<br />

e delle notti illuminate dalla luna del Romanticismo<br />

inglese. Sono antitetiche anche a quelle <strong>di</strong> Foscolo<br />

e alle interpretazioni eroiche del Romanticismo,<br />

che proiettano sulla natura passioni sconvolgenti ed<br />

impetuose. Leopar<strong>di</strong> ha un rapporto <strong>di</strong> contemplazione<br />

con la natura; non la sovraccarica con i suoi sentimenti:<br />

si abbandona ad essa e alle dolcissime sensazioni<br />

che gli fa provare.<br />

Canto notturno <strong>di</strong> un pastore errante dell’Asia (1829-<br />

30)<br />

1. Che fai tu, o luna in cielo? <strong>di</strong>mmi che fai, o silenziosa<br />

luna? Sorgi alla sera e vai, contemplando le<br />

steppe deserte; quin<strong>di</strong> tramonti. Tu non sei ancora sazia<br />

<strong>di</strong> ripercorrere sempre le stesse vie? Non ti sei ancora<br />

annoiata, ancora sei desiderosa <strong>di</strong> guardar queste<br />

valli? Assomiglia alla tua vita la vita del pastore. Si<br />

alza all’alba; conduce il gregge per la pianura; vede<br />

greggi, fontane ed erbe; poi, stanco, si riposa alla sera:<br />

non spera mai nient’altro. Dimmi, o luna, a che vale<br />

al pastore la sua vita, a che vale la vostra vita a voi?<br />

<strong>di</strong>mmi: dove tende questo mio breve cammino, dove<br />

tende il tuo corso immortale?<br />

2. Un vecchierello bianco, infermo, mezzo vestito e<br />

mezzo scalzo, con un pesantissimo fardello sulle spalle,<br />

per montagne e per valli, per strade sassose, per<br />

sabbioni profon<strong>di</strong> e per macchie <strong>di</strong> pruni, sotto il vento,<br />

sotto la pioggia, quando la stagione è rovente e<br />

quando poi gela, corre via, corre, ansima, oltrepassa<br />

torrenti e stagni, senza riposo o senza ristoro, lacero,<br />

insanguinato; finché arriva là dove fu rivolta la sua<br />

gran fatica: abisso orribile, immenso (=la morte), dove<br />

egli, precipitando, <strong>di</strong>mentica tutto. O vergine luna,<br />

questa è la vita umana.<br />

3. Nasce l’uomo a fatica, ed è rischio <strong>di</strong> morte la sua<br />

nascita. Prova pene e tormenti come prima cosa; e fin<br />

dall’inizio la madre e il padre prendono a consolarlo<br />

136<br />

<strong>di</strong> essere nato. Via via che cresce, l’uno e l’altro genitore<br />

lo sostengono, e senza sosta con atti e con parole<br />

cercano <strong>di</strong> fargli coraggio e <strong>di</strong> consolarlo della con<strong>di</strong>zione<br />

umana: nessun altro compito più gra<strong>di</strong>to è svolto<br />

dai genitori per la loro prole. Ma perché dare alla<br />

luce, perché mantenere in vita chi poi si deve consolare<br />

<strong>di</strong> esser vivo? Se la vita è una continua sventura,<br />

perché noi la sopportiamo? O intatta luna, questa è la<br />

con<strong>di</strong>zione umana. Ma tu non sei mortale, e forse poco<br />

t’importano le mie parole.<br />

4. Tu, o solitaria, eterna pellegrina, che sei così pensosa,<br />

tu forse compren<strong>di</strong> che cosa siano questa vita<br />

sulla terra, i nostri patimenti, i nostri sospiri; tu forse<br />

compren<strong>di</strong> che cosa sia questo estremo scolorirsi delle<br />

sembianze, questo andarsene dalla terra e questo venir<br />

meno ad ogni solita ed affettuosa compagnia. E tu<br />

certamente compren<strong>di</strong> il perché delle cose, e ve<strong>di</strong> il<br />

frutto (=lo scopo) del mattino, della sera, del silenzioso<br />

ed infinito procedere del tempo. Tu sai, tu sai certamente,<br />

a quale suo dolce amore sorrida la primavera,<br />

a chi giovi la calura estiva e che cosa procuri<br />

l’inverno con il suo freddo. Mille cose tu sai, mille<br />

cose tu scopri, che sono nascoste al semplice pastore.<br />

Spesso, quando io ti guardo stare così muta sulla pianura<br />

deserta, che nel lontano orizzonte confina con il<br />

cielo, oppure quando ti vedo seguirmi con il gregge e<br />

accompagnarmi passo dopo passo, e quando guardo in<br />

cielo arder le stelle; <strong>di</strong>co, pensando fra me e me: a<br />

quale scopo ci sono tante luci? che fa l’aria infinita?<br />

che significa questa immensa solitu<strong>di</strong>ne? ed io che<br />

sono? Così ragiono dentro <strong>di</strong> me: e non so indovinare<br />

nessun uso (=utilità), nessun frutto (=scopo) della<br />

stanza (=l’universo) smisurata e superba e della grande<br />

famiglia degli esseri viventi, delle continue trasformazioni<br />

della materia, <strong>di</strong> tanti movimenti <strong>di</strong> corpi<br />

celesti e <strong>di</strong> corpi terresti, che girano senza riposo per<br />

tornare sempre là donde si son mossi (=dalla materia<br />

informe e senza vita). Ma tu certamente, o giovinetta<br />

immortale, conosci tutto. Io invece conosco e sento<br />

questo, che forse qualcun altro avrà qualche bene o<br />

qualche sod<strong>di</strong>sfazione dalle eterne orbite percorse dagli<br />

astri e dalla mia fragilità; per me la vita è male.<br />

5. O mio gregge che riposi, oh te beato, perché non<br />

sai (io credo) la tua infelicità! Quanto io ti invi<strong>di</strong>o!<br />

Non soltanto perché vai quasi libero dagli affanni,<br />

perché ogni stento, ogni danno, ogni più grande timore<br />

tu scor<strong>di</strong> subito; ma ancor più perché non provi mai<br />

te<strong>di</strong>o. Quando tu sie<strong>di</strong> all’ombra, sopra l’erba, tu sei<br />

tranquillo e contento; e senza annoiarti trascorri gran<br />

parte dell’anno in quella con<strong>di</strong>zione. Anch’io siedo<br />

sopra l’erba, all’ombra, ed un fasti<strong>di</strong>o m’ingombra la<br />

mente, e una spina quasi mi punge, così che, stando<br />

seduto, sono più lontano che mai dal trovar pace o <strong>di</strong>stensione.<br />

Eppure non desidero nulla, e fino a questo<br />

momento non ho motivo <strong>di</strong> piangere. Non so <strong>di</strong>re quel<br />

che tu goda; ma sei fortunato. Ed io godo ancor poco,<br />

o mio gregge, né soltanto <strong>di</strong> ciò mi lamento. Se tu sapessi<br />

parlare, io ti chiederei: <strong>di</strong>mmi: perché, giacendo<br />

a suo agio e in ozio, ogni animale si sente appagato;<br />

io invece, se mi riposo, mi sento assalire dal te<strong>di</strong>o?

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