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pietro genesini appunti e versioni di letteratura italiana

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usare l’impeto, non lo sa fare, perciò rovina; invece,<br />

se mutasse natura in relazione [al mutare] dei tempi e<br />

delle cose, manterrebbe la fortuna.<br />

7. Papa Giulio II procedette impetuosamente in ogni<br />

sua cosa; e trovò i tempi e le cose conformi a questo<br />

suo modo <strong>di</strong> procedere a tal punto, che ottenne sempre<br />

buoni risultati. Considerate la prima impresa che<br />

fece a Bologna [1506], quando era ancora vivo messer<br />

Giovanni Bentivogli (=il signore della città). I veneziani<br />

non approvavano l’impresa e nemmeno<br />

l’approvava il re <strong>di</strong> Spagna. Con la Francia egli era in<br />

trattative. E tuttavia con la sua ferocia (=determina<br />

zione) e con il suo impeto prese parte personalmente a<br />

quell’impresa. Questa sua mossa fece stare incerti e<br />

fermi (=li aveva colti <strong>di</strong> sorpresa) sia gli spagnoli sia i<br />

veneziani; questi per paura, quelli per il desiderio che<br />

avevano <strong>di</strong> rioccupare il regno <strong>di</strong> Napoli. Inoltre egli<br />

si tirò pure <strong>di</strong>etro il re <strong>di</strong> Francia, il quale, vedendolo<br />

in azione e desiderando farselo amico per abbattere i<br />

veneziani, giu<strong>di</strong>cò <strong>di</strong> non potergli negare il suo aiuto<br />

senza offenderlo in modo esplicito. Perciò Giulio II<br />

con la sua azione impetuosa ottenne un risultato che<br />

nessun altro pontefice con tutta la sua umana prudenza<br />

avrebbe mai ottenuto; perché egli, se aspettava <strong>di</strong><br />

partire da Roma con gli accor<strong>di</strong> fatti e con le cose or<strong>di</strong>nate,<br />

come qualunque altro pontefice avrebbe fatto,<br />

non avrebbe mai ottenuto quei risultati: il re <strong>di</strong> Francia<br />

avrebbe avuto mille scuse e gli altri [gli] avrebbero<br />

messo mille paure. Io voglio lasciar stare le altre<br />

sue imprese, che sono state tutte simili a questa. La<br />

brevità della sua vita non gli ha fatto provare il contrario,<br />

perché, se fossero giunti tempi che richiedessero<br />

<strong>di</strong> procedere con cautela, avrebbe conosciuto la sua<br />

rovina. Né mai avrebbe deviato da quei mo<strong>di</strong> [<strong>di</strong> procedere]<br />

ai quali la natura lo inclinava.<br />

8. Concludo dunque che gli uomini, poiché la fortuna<br />

cambia e poiché essi restano attaccati ostinatamente ai<br />

loro mo<strong>di</strong> [<strong>di</strong> procedere], ottengono buoni risultati,<br />

finché concordano con la fortuna (=le circostanze);<br />

non li ottengono più, quando non concordano più con<br />

essa. Io giu<strong>di</strong>co bene questo: è meglio essere impetuosi<br />

che cauti, perché la fortuna è donna ed è necessario,<br />

volendola sottomettere alla propria volontà, batterla<br />

e spingerla. E si vede che essa si lascia vincere<br />

più facilmente da questi che non da coloro che procedono<br />

con la fredda ragione. Perciò sempre, come<br />

donna, è amica dei giovani, i quali sono meno cauti e<br />

più feroci (=risoluti, decisi) [degli uomini maturi e<br />

perciò più cauti e meno ar<strong>di</strong>ti] e con più audacia la<br />

comandano.<br />

Commento<br />

1. Il tema della fortuna è uno dei motivi più importanti<br />

del Principe. La fortuna ha una lunga storia. È la<br />

Necessità dei greci, che pensano alle tre vecchie –<br />

Cloto, Làchesi, Àtropo – che nell’Averno filano, tessono<br />

e interrompono la vita umana e il cui potere è<br />

superiore alla volontà degli dei. È la dea Fortuna (o il<br />

Fato, cioè il destino, la sorte, le circostanze) dei romani,<br />

che è cieca e che, in<strong>di</strong>fferentemente, ora è favorevole,<br />

ora avversa agli uomini. È la Provvidenza cri-<br />

84<br />

stiana, che per Dante è la ministra <strong>di</strong> Dio ed esegue la<br />

volontà imperscrutabile <strong>di</strong> Dio (ciò però non gli impe<strong>di</strong>sce<br />

<strong>di</strong> prendersela con lei, quando è sfavorevole)<br />

(If. VII, XV ecc.). È la Fortuna degli umanisti del<br />

Quattrocento, che la ritenevano interamente controllabile,<br />

quando affermavano che “ognuno è artefice del<br />

suo destino”. È il caso impreve<strong>di</strong>bile, incontrollabile,<br />

assurdo e paradossale, che domina le vicende dell’Orlando<br />

furioso, che fa impazzire Orlando, perché respinto<br />

da Angelica; che fa innamorare Angelica <strong>di</strong> un<br />

oscuro fante; e che fa intersecare a più riprese i destini<br />

incrociati dei protagonisti del poema.<br />

2. Machiavelli non ha più la fiducia umanistica, secondo<br />

cui l’uomo può controllare interamente il suo<br />

destino. Rifiuta però il fatalismo deterministico, che<br />

toglierebbe all’uomo qualsiasi merito e qualsiasi responsabilità<br />

per ciò che fa. E inserisce le azioni umane<br />

all’interno delle circostanze, ora favorevoli ora<br />

sfavorevoli, in cui avvengono. Nel primo caso le cose<br />

vanno bene; nel secondo vanno male. Egli è convinto<br />

che la fortuna controlli la metà delle azioni umane<br />

(primo caso) e che lasci agli uomini il controllo<br />

dell’altra metà (o quasi) (secondo caso). La sua idea,<br />

per contrastare le circostanze sfavorevoli, è questa:<br />

quando le cose vanno bene e le circostanze sono favorevoli,<br />

l’uomo deve prendere provve<strong>di</strong>menti per<br />

quando le cose vanno male e le circostanze sono sfavorevoli.<br />

Con la prudenza e la prevenzione non è detto<br />

che l’uomo riesca a piegare la fortuna secondo le<br />

sue intenzioni; ma almeno ci prova, così non può rimproverarsi<br />

<strong>di</strong> non aver tentato. Oltre alla prudenza e<br />

alle precauzioni l’uomo però può fare intervenire<br />

un’altra variabile: la virtù, l’impeto, il coraggio,<br />

l’audacia, la passione, la decisione, la determinazione.<br />

Essi certamente esulano dall’ambito della ragione,<br />

che in genere non si contrappongono alla ragione e<br />

che possono intervenire positivamente, quando la ragione<br />

ha esaurito le sue risorse ed i suoi mezzi <strong>di</strong> intervento.<br />

L’autore punta proprio su questi interventi<br />

irrazionali, quando la ragione (propria ed altrui, cioè<br />

degli avversari) entra in stallo. E, come <strong>di</strong> consueto, a<br />

sostegno della sua tesi porta come prova la “realtà effettuale”<br />

<strong>di</strong> un fatto concreto preciso: la presa <strong>di</strong> Bologna<br />

ad opera del papa Giulio II, che con il suo comportamento<br />

deciso e impreve<strong>di</strong>bile sorprende gli avversari<br />

e li mette davanti al fatto compiuto.<br />

3. Il testo svolge alcune interessanti riflessioni sulla<br />

abitu<strong>di</strong>ne: ognuno <strong>di</strong> noi si abitua ad operare in un<br />

certo modo, cioè in quel modo verso cui si sente più<br />

pre<strong>di</strong>sposto e che gli ha procurato successo e sod<strong>di</strong>sfazioni.<br />

Ciò però può essere pericoloso: le cose continueranno<br />

ad andarci bene soltanto se continueranno<br />

a presentarsi circostanze che richiedano quello specifico<br />

modo <strong>di</strong> affrontarle; altrimenti ci aspetta la rovina.<br />

D’altra parte – nota giustamente l’autore – ognuno<br />

ha un carattere specifico che lo spinge a comportarsi<br />

in un certo modo; e oltre tutto non si può cambiare<br />

facilmente un modo <strong>di</strong> operare che ormai è <strong>di</strong>venuto<br />

la nostra natura. Anche in questo caso l’autore respinge<br />

l’ottimismo umanistico, che attribuiva all’uomo la<br />

capacità <strong>di</strong> imporre la sua volontà al destino. Egli mo-

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