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pietro genesini appunti e versioni di letteratura italiana

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cessario che sia tanto prudente da saper fuggire<br />

l’infamia <strong>di</strong> quei vizi che gli farebbero perdere lo Stato,<br />

e astenersi da quelli che non glielo farebbero perdere,<br />

se vi riesce; ma, se non vi riesce, vi si può abbandonare<br />

con minore riguardo. E inoltre non si deve<br />

curare <strong>di</strong> cadere nell’infamia <strong>di</strong> quei vizi, senza i quali<br />

<strong>di</strong>fficilmente potrebbe conservare lo Stato, perché, se<br />

si considera bene tutta la questione, si troverà qualche<br />

qualità che appare virtù e, seguendola, lo porterà alla<br />

rovina; e qualcun’altra che appare vizio e, seguendola,<br />

gli darà sicurezza e benessere.<br />

Commento<br />

1. Il testo contiene l’espressione pregnante <strong>di</strong> “realtà<br />

effettuale”, cioè la realtà dei fatti, che <strong>di</strong>stingue recisamente<br />

i fatti dalle cose che sui fatti si sono immaginate.<br />

Come applicazione <strong>di</strong> questo concetto segue,<br />

subito dopo, il riscontro che c’è una frattura tra ciò<br />

che si dovrebbe fare e ciò che invece si fa; e il consiglio<br />

che si deve agire tenendo presente ciò che gli altri<br />

fanno, non ciò che dovrebbero fare. Se si agisce in<br />

base a come si dovrebbe agire, si causa inevitabilmente<br />

la propria rovina. Perciò il principe deve imparare<br />

ad essere anche non buono, e deve saper usare questa<br />

sua capacità, se è necessario, cioè se le circostanze lo<br />

richiedono.<br />

2. La <strong>di</strong>scussione su essere e dover essere continua<br />

quin<strong>di</strong> in questo modo: nell’opinione <strong>di</strong> tutti ci sono<br />

comportamenti valutati come buoni e comportamenti<br />

valutati come cattivi. A questo punto sono presentati<br />

binomi <strong>di</strong> comportamenti, che in<strong>di</strong>cano una virtù e il<br />

vizio contrapposto. Il ragionamento prosegue in questo<br />

modo: sarebbe opportuno che il principe avesse<br />

soltanto virtù ed evitasse i vizi. Ciò però non è sempre<br />

possibile, perché le circostanze non lo permettono<br />

sempre. Il principe perciò deve accettare <strong>di</strong> essere biasimato,<br />

ma evitare quelle virtù apparenti, che gli farebbero<br />

perdere lo Stato, e applicare quei vizi apparenti<br />

che gli permettono <strong>di</strong> conservare il potere.<br />

3. La valutazione delle virtù e dei vizi è quin<strong>di</strong> fatta<br />

non con un criterio morale, ma con un criterio politico:<br />

quale che sia l’opinione positiva o negativa su un<br />

certo comportamento, il principe deve evitare quelle<br />

virtù che gli farebbero perdere lo Stato ed applicare<br />

quei vizi che glielo fanno mantenere.<br />

4. In ambito politico Machiavelli propone una concezione<br />

strumentale delle azioni: una virtù va evitata, se<br />

fa perdere lo Stato; un vizio va applicato se fa mantenere<br />

lo Stato. L’azione quin<strong>di</strong> non ha più un valore in<br />

sé, ma acquista un valore positivo o un valore negativo<br />

nella misura in cui è capace <strong>di</strong> raggiungere il fine<br />

prefissato. E, nel caso del principe, il fine supremo,<br />

per il quale tutto va sacrificato, è la <strong>di</strong>fesa e il consolidamento<br />

dello Stato.<br />

5. Il Principe conclude lo straor<strong>di</strong>nario rapporto che si<br />

era stabilito nel Quattrocento tra intellettuali e principi:<br />

i primi fornivano gli ideali che i secon<strong>di</strong> attuavano.<br />

E prelude al nuovo e deludente rapporto in cui gli<br />

intellettuali <strong>di</strong>ventano cortigiani adulatori ed esecutori<br />

più o meno esperti <strong>di</strong> una volontà e <strong>di</strong> valori provenienti<br />

da altri, e a loro estranei.<br />

80<br />

Cap. XVII: De crudelitate et pietate; et an sit melius<br />

amari quam timeri, vel e contra (La crudeltà e la pietà;<br />

se è meglio essere amati o temuti, oppure il contrario)<br />

1. Passando poi a considerare le altre qualità sopra elencate,<br />

<strong>di</strong>co che ogni principe deve desiderare <strong>di</strong> essere<br />

ritenuto pietoso e non crudele. Deve tuttavia avere<br />

l’accortezza <strong>di</strong> non usare male questa pietà. Cesare<br />

Borgia era ritenuto crudele; e tuttavia quella sua crudeltà<br />

era servita a rior<strong>di</strong>nare la Romagna, a unirla, a<br />

pacificarla e a renderla leale [verso il governo]. E, se<br />

si considera bene ciò (=il risultato), si concluderà che<br />

egli è stato molto più pietoso del popolo fiorentino, il<br />

quale, per evitare il nome <strong>di</strong> crudele, lasciò che la lotta<br />

tra le fazioni <strong>di</strong>struggesse Pistoia [1501]. Pertanto<br />

un principe non deve curarsi dell’infamia <strong>di</strong> crudele,<br />

per mantenere i suoi sud<strong>di</strong>ti uniti e leali. In tal modo<br />

con pochissimi atti <strong>di</strong> crudeltà sarà più pietoso <strong>di</strong> coloro<br />

i quali, per troppa pietà, lasciano avvenire i <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ni,<br />

dai quali sorgono uccisioni e rapine. Queste<br />

ultime <strong>di</strong> solito offendono l’intera citta<strong>di</strong>nanza, mentre<br />

le esecuzioni che provengono dal principe offendono<br />

soltanto i singoli citta<strong>di</strong>ni. E, fra tutti i principi,<br />

il principe nuovo non può evitare il nome <strong>di</strong> crudele,<br />

perché gli Stati nuovi sono pieni <strong>di</strong> pericoli. Virgilio<br />

pone queste parole nella bocca <strong>di</strong> Didone (Eneide, I,<br />

563-564):<br />

“Le necessità politiche e la novità del mio regno<br />

mi spingono a tali cose, e a vigilare con cura<br />

su tutto il mio territorio”.<br />

E tuttavia il principe deve essere cauto nel credere<br />

[all’esistenza <strong>di</strong> pericoli] e nell’agire, né deve farsi<br />

paura da se stesso. Deve saper conciliare prudenza e<br />

umanità, affinché la troppa confidenza [in sé] non lo<br />

renda imprudente, e la troppa <strong>di</strong>ffidenza [negli altri]<br />

non lo renda intollerabile.<br />

2. Da ciò nasce una questione: se è meglio che il principe<br />

sia amato piuttosto che temuto, oppure il contrario.<br />

La risposta è questa: sarebbe opportuno che il<br />

principe sia amato e contemporaneamente temuto;<br />

ma, poiché è <strong>di</strong>fficile mettere insieme amore e timore,<br />

è molto più sicuro per il principe essere temuto che<br />

amato, quando fosse assente uno dei due. Perché, degli<br />

uomini si può <strong>di</strong>re in generale questo: che sono ingrati,<br />

volubili, simulatori e <strong>di</strong>ssimulatori, fuggitori dei<br />

pericoli, desiderosi <strong>di</strong> guadagno. E, mentre fai loro<br />

del bene, sono tutti tuoi, ti offrono il sangue, la roba,<br />

la vita, i figli (come <strong>di</strong>ssi più sopra), quando il bisogno<br />

[che tu hai <strong>di</strong> loro] è lontano; ma, quando esso si<br />

avvicina, essi si rifiutano e si ribellano. E il principe,<br />

che si è fondato sulla loro parola, trovandosi senza<br />

altra <strong>di</strong>fesa [nel momento del pericolo], va incontro<br />

alla rovina. Perché le amicizie, che si acquistano dando<br />

benefici e non con la propria grandezza e nobiltà<br />

d’animo, si comperano, ma non si hanno effettivamente,<br />

e al momento del bisogno non si possono<br />

spendere. E gli uomini si preoccupano meno <strong>di</strong> offendere<br />

uno che si fa amare che uno che si fa temere, per-

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