pietro genesini appunti e versioni di letteratura italiana
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L’aggettivo antico in<strong>di</strong>ca la perennità del dolore che<br />
colpisce da sempre gli uomini.<br />
2. Nell’o<strong>di</strong>cina manca senza alcuna giustificazione la<br />
moglie del poeta, che doveva essere ugualmente addolorata<br />
per la morte del figlio. Manca anche il comprensibile<br />
dolore degli altri tre figli. Il poeta è rinchiuso<br />
nel suo dolore, non vede il dolore dei suoi cari,<br />
né da capofamiglia si preoccupa <strong>di</strong> consolarli. Non<br />
vede neanche il punto <strong>di</strong> vista del figlio morto, che<br />
non può più dare affetto ai genitori e ai fratelli.<br />
3. Il poeta costruisce l’o<strong>di</strong>cina su facili contrasti cromatico<br />
(verde/vermiglio, sole/terra, luce/negro, calore/freddo)<br />
e concettuali (vita/morte, luce/oscurità,<br />
caldo/freddo), su facili rime (fiore/amore) e su una<br />
facile orecchiabilità. Ma nemmeno in questa o<strong>di</strong>cina<br />
riesce a controllare in modo sod<strong>di</strong>sfacente la rima:<br />
due quartine su quattro terminano con fior, che si trova<br />
pure nella terza quartina; i primi due versi della<br />
quarta sono ripetitivi, il secondo poi termina con un<br />
aggettivo letterario per esigenze <strong>di</strong> rima (negra/rallegra).<br />
Fior poi è un termine poetico abusato e<br />
per <strong>di</strong> più generico. Altri termini letterari (orto=giar<strong>di</strong>no,<br />
solingo=solitario) soffocano la sincerità<br />
del dolore: l’o<strong>di</strong>cina appare una esercitazione letteraria<br />
<strong>di</strong> modesta fattura. Mentre la scrive, il poeta sembra<br />
pensare alle reminiscenze letterarie, non al suo<br />
dolore <strong>di</strong> padre. Il titolo toglie intensità al sentimento<br />
che l’o<strong>di</strong>cina vuole esprimere, perché il poeta vuole<br />
collegare intellettualisticamente il suo dolore al dolore<br />
che da sempre è provato da chi perde un proprio congiunto:<br />
quando si è colpiti da una <strong>di</strong>sgrazia, non si ha<br />
né tempo né voglia <strong>di</strong> pensare alle <strong>di</strong>sgrazie altrui (o<br />
<strong>di</strong> consolarci con il pensiero che anche gli altri hanno<br />
avuto la nostra stessa <strong>di</strong>sgrazia). Il metro, composto<br />
da quartine <strong>di</strong> settenari, non sembra quello più adatto<br />
ad esprimere il dolore a causa della musicalità dei<br />
suoi versi.<br />
4. Questa poesia, autobiografica ed intimistica, può<br />
essere opportunamente confrontata con il Canzoniere<br />
(1373-74) <strong>di</strong> Petrarca; con l’epice<strong>di</strong>o alla figlia <strong>di</strong><br />
Giovanni Pontano (1422-1503); o, ancor meglio, con<br />
il sonetto In morte del fratello Giovanni (1802-03) e il<br />
carme De’ Sepolcri (1807) <strong>di</strong> Foscolo, con l’i<strong>di</strong>llio<br />
L’infinito (1819) e il Canto notturno <strong>di</strong> un pastore errante<br />
dell’Asia (1829-30) <strong>di</strong> Leopar<strong>di</strong>. Foscolo spera<br />
<strong>di</strong> potersi sedere sulla tomba del fratello a piangere la<br />
sua gioventù recisa; e pensa alla loro vecchia madre,<br />
che ha un figlio morto e un altro lontano. In tal modo<br />
tiene presente anche il punto <strong>di</strong> vista dei suoi cari e i<br />
loro sentimenti. Nel carme il poeta pensa che le tombe<br />
permettano la “corrispondenza d’amorosi sensi” tra i<br />
vivi e i morti; e che le tombe dei gran<strong>di</strong> spingano il<br />
forte animo a compiere gran<strong>di</strong> imprese. Leopar<strong>di</strong> pensa<br />
a ciò che si trova <strong>di</strong>etro la siepe e si immagina “interminati<br />
spazi <strong>di</strong> là da quella, e sovrumani silenzi”,<br />
che gli fanno pensare “l’eterno, e le morte stagioni, e<br />
la presente”, cioè il mondo esterno a lui, e quin<strong>di</strong> si<br />
abbandona alla dolcezza <strong>di</strong> queste sensazioni. Nel<br />
Canto notturno <strong>di</strong> un pastore errante dell’Asia Leopar<strong>di</strong><br />
pensa non tanto al suo piccolo dolore, quanto al<br />
dolore <strong>di</strong> tutti gli uomini, anzi al dolore <strong>di</strong> tutti gli es-<br />
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seri viventi. Tutti questi poeti presentano un mondo<br />
interiore molto più ricco, complesso ed articolato <strong>di</strong><br />
quello <strong>di</strong> Carducci.<br />
5. La rima, qui come altrove, si percepisce facilmente<br />
e soffoca il contenuto dell’o<strong>di</strong>cina. In Pascoli e in<br />
D’Annunzio invece il contenuto riempie e si <strong>di</strong>lata nei<br />
suoni dei versi e la rima sembra scomparire. In<br />
D’Annunzio anzi il contenuto perde qualsiasi importanza,<br />
trasformato nelle variegate sonorità del verso.<br />
Il bove (1872)<br />
Ti amo, o pio bove; e infon<strong>di</strong> nel mio cuore un mite<br />
sentimento Di vigore e <strong>di</strong> pace, Sia che tu guar<strong>di</strong> i<br />
campi aperti e fertili Solenne come un monumento,<br />
Sia che tu, piegandoti contento sotto il giogo, Aiuti<br />
con la tua forza il lavoro operoso dell’uomo: Egli ti<br />
spinge e ti stimola, e tu gli rispon<strong>di</strong> Muovendo lentamente<br />
gli occhi pazienti.<br />
Il tuo fiato fuma dalle tue narici Umide e nere, e come<br />
una canzone lieta Il tuo muggito si <strong>di</strong>sperde nell’aria<br />
serena;<br />
E nell’austera dolcezza del tuo occhio Azzurro si rispecchia<br />
nella sua ampiezza e nella sua pace Il <strong>di</strong>vino<br />
silenzio della pianura verdeggiante.<br />
Riassunto. Il poeta prova un sentimento <strong>di</strong> amore verso<br />
il bue, che gli infonde un sentimento <strong>di</strong> pace sia<br />
quando l’animale guarda i campi aperti, sia quando<br />
aiuta l’uomo nelle sue fatiche. Il suo fiato fuma dalle<br />
narici umide e nere; il suo muggito si <strong>di</strong>sperde<br />
nell’aria come una canzone; e nel suo occhio si specchia<br />
il silenzio della pianura fertile.<br />
Commento<br />
1. Carducci, che nell’Inno a Satana (1863) aveva cantato<br />
la locomotiva come simbolo del progresso, ritorna<br />
ora (1872) a temi classici e agricoli, ed esalta i valori<br />
tra<strong>di</strong>zionali della laboriosità, della pazienza, della<br />
bontà e della pace. Questo recupero retorico dei valori<br />
conta<strong>di</strong>ni e classici viene ere<strong>di</strong>tato molti anni dopo<br />
dal Fascismo (1922-45): il tempo passa, ma la cultura<br />
ufficiale, la cultura <strong>di</strong> regime resta. Negli stessi anni<br />
Verga scrive la novella Nedda (1874), con cui passa<br />
al Verismo, e la raccolta <strong>di</strong> novelle Vita nei campi<br />
(1880), con cui pone le basi al Ciclo dei vinti (1881,<br />
1889).<br />
2. Le <strong>di</strong>sgiuntive “o che... o che...” hanno un precedente<br />
letterario: le correlative “e quando... e quando...”<br />
del sonetto Alla sera <strong>di</strong> Foscolo. La poesia carducciana<br />
è fortemente letteraria e non riesce a staccarsi<br />
da tale ambito. Anche la poesia del Canzoniere <strong>di</strong><br />
Petrarca era una poesia letteraria, costruita sulle citazioni<br />
<strong>di</strong> opere precedenti e sugli aggettivi. Tuttavia<br />
riusciva a raggiungere un respiro e un controllo della<br />
metrica e dei suoni molto più vasti.<br />
3. Il linguaggio rimanda alla tra<strong>di</strong>zione aulica e classica:<br />
l’aggettivo pio, l’agil opra, lo spirto (= soffio,<br />
fiato). Esso presenta <strong>di</strong>verse forzature: nell’Eneide<br />
pius è Enea; l’agil opra è un’espressione inadatta a<br />
in<strong>di</strong>care la fatica dell’aratura; lo spirto è riferito inso-