pietro genesini appunti e versioni di letteratura italiana
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to, che è come un dovere, <strong>di</strong> piegarli alle esigenze dello<br />
Stato, perché senza lo Stato non c’è pace né vita<br />
civile. E tutto ciò che egli fa – l’inganno, come la frode,<br />
come la violenza – deve essere giustificato, cioè<br />
deve essere funzionale allo scopo prioritario, che è la<br />
salvezza e il consolidamento dello Stato.<br />
Nel Principe l’autore affronta anche un problema<br />
drammatico, quello della fortuna. Egli non ha più la<br />
fiducia dell’Umanesimo quattrocentesco, secondo cui<br />
l’uomo è artefice del suo destino. Ma non ha nemmeno<br />
il pessimismo rassegnato <strong>di</strong> chi crede che non si<br />
possa fare niente contro la sorte avversa. Egli propone<br />
la virtù, cioè il valore, il coraggio, la previdenza,<br />
l’audacia, come strumenti capaci <strong>di</strong> opporsi alla cattiva<br />
sorte. E fa l’esempio del fiume: il fiume in piena<br />
rompe gli argini e allaga la campagna; ma, se si costruivano<br />
argini quando era in secca, non sarebbe straripato<br />
o, almeno, avrebbe fatto meno danni. Quando<br />
la fortuna è favorevole, bisogna quin<strong>di</strong> prendere<br />
provve<strong>di</strong>menti per quando essa non lo sarà più. In ogni<br />
caso la fortuna è donna, ed è amica dei giovani,<br />
che sono audaci e che amano rischiare. Essa va presa<br />
con la forza e, sempre con la forza, costretta a sottostare<br />
alla nostra volontà.<br />
Machiavelli ha ancora una concezione rinascimentale<br />
dello Stato: l’uomo politico è il principe, quasi un superuomo,<br />
capace <strong>di</strong> fondare, <strong>di</strong>fendere e mantenere lo<br />
Stato-principato, cioè uno Stato che si estende su un<br />
territorio limitato. Contemporaneamente in Europa<br />
esistevano ormai Stati nazionali <strong>di</strong> enorme estensione,<br />
che funzionavano grazie ad una complessa burocrazia<br />
e che avevano un forte esercito.<br />
La sua ricerca vuole in<strong>di</strong>viduare le leggi della politica,<br />
ma vuole anche spingere un principe italiano – alla<br />
fine un esponente della casa de’ Me<strong>di</strong>ci –, a prendere<br />
in mano la ban<strong>di</strong>era del riscatto nazionale per cacciare<br />
gli stranieri fuori dell’Italia. Il pensiero politico e le<br />
in<strong>di</strong>cazioni <strong>di</strong> Machiavelli cercano quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> rispondere<br />
alla situazione <strong>italiana</strong> del tempo: l’Italia è ricca e<br />
in<strong>di</strong>fesa, perciò è terra <strong>di</strong> conquista per gli eserciti<br />
stranieri.<br />
Nel corso del Cinquecento il pensiero politico <strong>di</strong> Machiavelli<br />
suscita numerose <strong>di</strong>scussioni e numerose<br />
prese <strong>di</strong> posizione tra gli intellettuali. Esso è formalmente<br />
condannato, ma sotto il nome <strong>di</strong> tacitismo è sostanzialmente<br />
accolto dalla cultura politica e cortigiana,<br />
che in genere lo riduce alla tesi semplicistica che<br />
il fine giustifica i mezzi, e lo applica ad ogni circostanza<br />
della vita. Viene condannato anche dalla Chiesa<br />
in quanto immorale. Ma è un gesuita, Giovanni<br />
Botero (1544-1617), il suo maggiore prosecutore. Egli<br />
pubblica un’opera, Della ragion <strong>di</strong> Stato (1589), in<br />
cui espone in modo sistematico i princìpi brutali e cinici<br />
della “scienza” politica, senza illuminarli <strong>di</strong> quella<br />
spinta razionale e ideale che aveva costantemente<br />
animato il segretario fiorentino.<br />
Il Principe viene scritto in pochissimi mesi tra il 1512<br />
e il 1513, quando Machiavelli viene rimosso dalla sua<br />
carica in seguito al ritorno a Firenze dei Me<strong>di</strong>ci. Esso<br />
costituisce il primo trattato <strong>di</strong> scienza politica nel sen-<br />
Genesini, Appunti e <strong>versioni</strong> <strong>di</strong> Letteratura <strong>italiana</strong> 79<br />
so moderno del termine. L’autore intende preparare<br />
un manuale per il principe. Le basi teoriche ed empiriche<br />
dell’opera sono: a) il richiamo costante alla “realtà<br />
effettuale”; b) una concezione pessimistica<br />
dell’uomo e della natura umana; c) l’esperienza politica<br />
<strong>di</strong>retta dell’autore; d) l’esperienza desunta dal<br />
comportamento dei sovrani e dei principi del tempo;<br />
ed e) l’esperienza desunta dagli avvenimenti del passato<br />
(la storia greca e latina), che viene astoricamente<br />
percepito come contemporaneo.<br />
Cap. XV: De his rebus quibus homines et praesertim<br />
principes laudantur aut vituperantur (Le azioni per le<br />
quali gli uomini e soprattutto i principi sono lodati<br />
oppure biasimati)<br />
1. Resta ora da vedere quali debbano essere i mo<strong>di</strong> e i<br />
comportamenti <strong>di</strong> un principe verso i sud<strong>di</strong>ti (=in<br />
pubblico) ed i collaboratori (=in privato). E, poiché io<br />
so che molti hanno scritto su questo argomento, temo,<br />
se lo tratto anch’io, <strong>di</strong> essere ritenuto presuntuoso,<br />
perché, affrontando la materia, mi allontano completamente<br />
dalle posizioni altrui. Ma, poiché il mio proposito<br />
è quello <strong>di</strong> scrivere cosa utile a chi la comprende,<br />
mi è parso più conveniente andare <strong>di</strong>etro alla realtà<br />
dei fatti (realtà effettuale) in <strong>di</strong>scussione, che a ciò<br />
che si immagina su <strong>di</strong> essi. E molti si sono immaginati<br />
repubbliche e principati che non si sono mai visti né<br />
riconosciuti esistenti nella realtà. E c’è tanta <strong>di</strong>fferenza<br />
tra come si vive da come si dovrebbe vivere, che<br />
colui che lascia quello che si fa per quello che si dovrebbe<br />
fare, impara a rovinarsi, piuttosto che a preservarsi.<br />
Un uomo che in ogni occasione voglia comportarsi<br />
bene, va inevitabilmente incontro alla rovina<br />
in mezzo a tanti che si comportano non bene (=male).<br />
Perciò è necessario che un principe, che voglia conservare<br />
il potere, impari a comportarsi non bene<br />
(=male) e a usare questa sua capacità quando serve.<br />
2. Pertanto, lasciando da parte le cose che su un principe<br />
sono state immaginate e <strong>di</strong>scutendo <strong>di</strong> quelle che<br />
sono vere, <strong>di</strong>co che tutti gli uomini (quando si parla <strong>di</strong><br />
essi, e soprattutto <strong>di</strong> principi, che sono posti più in alto)<br />
sono giu<strong>di</strong>cati per alcune <strong>di</strong> queste qualità, che recano<br />
loro o biasimo o lode. Così qualcuno è ritenuto<br />
generoso, qualcuno misero (=taccagno) (usando un<br />
termine toscano, perché avaro nella nostra lingua è<br />
colui che cerca <strong>di</strong> arricchirsi anche con la rapina, invece<br />
misero è colui che risparmia eccessivamente);<br />
qualcuno è ritenuto generoso nel far doni, qualcuno<br />
rapace; qualcuno crudele, qualcun altro pietoso; uno<br />
che rompe i patti, l’altro che mantiene la parola data;<br />
l’uno debole e vigliacco, l’altro deciso e coraggioso;<br />
l’uno affabile, l’altro superbo; l’uno lussurioso, l’altro<br />
casto; l’uno sincero, l’altro astuto; l’uno ostinato,<br />
l’altro <strong>di</strong>sponibile; l’uno fermo nelle sue decisioni,<br />
l’altro volubile; l’uno credente, l’altro non credente, e<br />
così via. Ed io so che ognuno ammetterà che sarebbe<br />
molto lodevole che, <strong>di</strong> tutte queste qualità, un principe<br />
avesse quelle che sono ritenute buone. Ma, poiché<br />
non si possono avere tutte né osservare interamente,<br />
perché le con<strong>di</strong>zioni umane non lo permettono, è ne-