pietro genesini appunti e versioni di letteratura italiana
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<strong>di</strong> avere, gli ha fatto conoscere le ingiustizie del mondo<br />
verso <strong>di</strong> lui (egli non pensa mai alle ingiustizie che<br />
il mondo ha riservato agli altri in<strong>di</strong>vidui).<br />
Nebbia (1899)<br />
Nascon<strong>di</strong> le cose lontane, tu, o nebbia, impalpabile e<br />
scialba, tu fumo che ancora, all’alba, provieni dai<br />
lampi notturni e dai crolli <strong>di</strong> frane d’aria (=dalla <strong>di</strong>ssoluzione<br />
del temporale notturno)!<br />
Nascon<strong>di</strong> le cose lontane, nascon<strong>di</strong> quello che è morto<br />
(=il padre)! Che io veda soltanto la siepe dell’orto, il<br />
muro <strong>di</strong> cinta, che ha le crepe piene <strong>di</strong> valeriane.<br />
Nascon<strong>di</strong> le cose lontane: le cose sono piene <strong>di</strong> pianto!<br />
Che io veda i due peschi, i due meli soltanto, che<br />
danno la loro soave dolcezza al mio nero pane.<br />
Nascon<strong>di</strong> le cose lontane, che vogliono che io ami e<br />
che vada (=che mi comporti come tutti gli altri)! Che<br />
io veda là soltanto una strada bianca, che un giorno<br />
dovrò percorrere tra uno stanco suono <strong>di</strong> campane...<br />
Nascon<strong>di</strong> le cose lontane, nascon<strong>di</strong>le, portale lontane<br />
dai desideri del mio cuore! Che io veda il cipresso là,<br />
da solo, qui, soltanto questo orto, vicino al quale sonnecchia<br />
il mio cane.<br />
Riassunto. Il poeta invoca la nebbia affinché gli nasconda<br />
le cose lontane, gli nasconda i pericoli, il dolore,<br />
la morte, la vita che tutti conducono. Egli si accontenta<br />
<strong>di</strong> una pesca, <strong>di</strong> una mela e <strong>di</strong> un pezzo <strong>di</strong> pane<br />
nero. Non vuole provare desideri, che lo possono far<br />
soffrire. Si accontenta <strong>di</strong> vedere il cipresso, l’orto e il<br />
suo cane.<br />
Commento<br />
1. La nebbia invocata dal poeta è una nebbia fisica<br />
che però acquista subito un valore simbolico e una<br />
funzione analgesica: deve nascondergli la realtà, deve<br />
<strong>di</strong>ventare lo strumento e la barriera che <strong>di</strong>fende il poeta<br />
dalla realtà e dai suoi dolori. Deve separarlo dalle<br />
cose lontane: egli si accontenta delle piccole cose che<br />
ha a portata <strong>di</strong> mano. Due frutti, un pezzo <strong>di</strong> pane nero,<br />
la vista <strong>di</strong> un cipresso e dell’orto e la vicinanza del<br />
suo cane.<br />
2. Nascon<strong>di</strong> è un imperativo, un comando, ma anche<br />
una preghiera e un grido d’angoscia. Agli imperativi<br />
con cui inizia ogni strofa si collegano i congiuntivi<br />
che esprimono desideri <strong>di</strong> piccole gioie.<br />
3. Il poeta, sempre precisissimo nell’uso dei termini e<br />
nella descrizione della natura, ora sperimenta l’indeterminato:<br />
la nebbia e le cose lontane, che con la loro<br />
indeterminazione <strong>di</strong>sorientano il lettore, lo mettono a<br />
contatto con l’impalpabile, un impalpabile però che è<br />
pieno <strong>di</strong> pericoli e pieno <strong>di</strong> dolore.<br />
4. Le in<strong>di</strong>cazioni (pesco, melo, cipresso, orto, cane)<br />
in<strong>di</strong>cano che il poeta è dentro casa, nel suo nido, <strong>di</strong>feso<br />
dal cane e dalla siepe. L’unica speranza nel futuro<br />
è data dal pensiero che uscirà <strong>di</strong> casa dentro una bara,<br />
per andare al cimitero tra i suoi cari, in mezzo al suono<br />
stanco delle campane da morto.<br />
Genesini, Appunti e <strong>versioni</strong> <strong>di</strong> Letteratura <strong>italiana</strong> 173<br />
La mia sera (1899)<br />
1. Il giorno fu pieno <strong>di</strong> lampi; ma ora stanno per sorgere<br />
le stelle, le stelle silenziose. Nei campi si sente<br />
un breve gracidare <strong>di</strong> ranelle. Tra le foglie tremolanti<br />
dei pioppi passa una brezza leggera. Nel giorno, che<br />
lampi, che scoppi! Invece, che pace, la sera!<br />
2. Tra poco si apriranno (=sorgeranno) le stelle nel<br />
cielo così tenero e vivo. Là, vicino alle allegre ranelle<br />
singhiozza monotono un ruscello. Di tutto quel cupo<br />
temporale, <strong>di</strong> tutta quell’aspra bufera non resta che un<br />
dolce singhiozzo nell’umida sera.<br />
3. Tutto quell’interminabile temporale è finito in un<br />
ruscello rumoreggiante. Dei fulmini e dei tuoni restano<br />
soltanto nuvole sottili <strong>di</strong> porpora e d’oro. O mio<br />
stanco dolore, riposa! La nuvola che durante il giorno<br />
era più nera fu quella che ora vedo più rosa nella sera<br />
che ormai sta finendo.<br />
4. Quanti voli <strong>di</strong> ron<strong>di</strong>ni per tutto il cielo! quanti cinguettii<br />
nell’aria [ormai <strong>di</strong>venuta] serena! La fame che<br />
gli uccelli provarono durante il giorno fa prolungare e<br />
riempire <strong>di</strong> garriti la cena della sera.<br />
5. I ni<strong>di</strong> (=gli uccellini) durante il giorno non ebbero<br />
interamente la loro piccola parte <strong>di</strong> cibo. Non l’ebbi<br />
nemmeno io... e quanti voli, quanti gri<strong>di</strong>, o mia limpida<br />
sera!<br />
6. Don... Don... Le campane mi <strong>di</strong>cono, Dormi! mi<br />
cantano, Dormi! sussurrano, Dormi! bisbigliano, Dormi!<br />
là, [in lontananza, risuonano, e mi giungono come]<br />
voci <strong>di</strong> tenebra azzurra... Esse mi sembrano canti<br />
<strong>di</strong> culla (=ninne nanne), che fanno che io ritorni<br />
com’ero... quando sentivo mia madre... poi più nulla...<br />
sul far della sera.<br />
Riassunto. Il giorno fu pieno <strong>di</strong> lampi e <strong>di</strong> tuoni, ma<br />
ora stanno per sorgere le stelle. Di tutto il temporale<br />
ora è rimasto soltanto il rumore prodotto dall’acqua <strong>di</strong><br />
un ruscello e alcune nuvole color <strong>di</strong> porpora in cielo.<br />
Anche la vita del poeta è stata così drammatica, ma<br />
ora è <strong>di</strong>venuta tranquilla. Le ron<strong>di</strong>ni prolungano la<br />
cena, dopo il <strong>di</strong>giuno del mezzogiorno. Anche la vita<br />
del poeta è stata così. Il suono delle campane lo invita<br />
a dormire, lo fa ritornare bambino, quando sua madre<br />
gli rimboccava le coperte, ed egli si addormentava.<br />
Commento<br />
1. Il poeta continua ad usare termini e sintassi semplici<br />
e quoti<strong>di</strong>ani. Presta una cura particolare all’interpunzione<br />
ma anche all’ellissi del verbo, che gli permettono<br />
<strong>di</strong> ottenere risultati (e interruzioni dei versi)<br />
ipnotici e suggestivi. Continuano le onomatopee e le<br />
allitterazioni (i lampi, un breve “gre gre” <strong>di</strong> ranelle,<br />
le tremule foglie dei pioppi, un cupo tumulto, quell’aspra<br />
bufera, “Don... Don...” ecc.), ma anche le<br />
sinestesie (voci <strong>di</strong> tenebra azzurra) e le metonìmie (la<br />
fame del povero giorno, la garrula cena, i ni<strong>di</strong>, cioè<br />
gli abitanti del nido). Continuano i contrasti (il temporale<br />
pieno <strong>di</strong> lampi e <strong>di</strong> tuoni del giorno, la pace e i<br />
garriti gioiosi della sera); i colori (porpora, d’oro, nera,<br />
rosa, tenebra azzurra). Ed anche i rumori, spesso<br />
espressi con termini onomatopeici (che scoppi!, le ta-