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pietro genesini appunti e versioni di letteratura italiana

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TORQUATO TASSO (1544-1595)<br />

La vita. Torquato Tasso nasce a Sorrento nel 1544.<br />

Segue il padre in varie corti d’Italia. Nel 1559 è a Venezia;<br />

quin<strong>di</strong> si sposta a Padova, dove conosce il<br />

grande letterato Sperone Speroni e scrive un poema, il<br />

Rinaldo. Tra il 1562 e il 1565 è a Bologna, dove entra<br />

in contatto con i maggiori letterati. Nel 1565 è a Ferrara,<br />

dove entra al servizio del car<strong>di</strong>nale Luigi d’Este<br />

e poi del duca Alfonso II d’Este. Nel 1573 fa rappresentare<br />

una “favola boschereccia”, intitolata Aminta.<br />

In questi anni lavora al Goffredo, che finisce nel<br />

1575. Egli sottopone il poema al giu<strong>di</strong>zio dei maggiori<br />

letterati del tempo. Le critiche <strong>di</strong> tipo formale e morale<br />

che riceve e le invi<strong>di</strong>e provocate a corte gli procurano<br />

tormenti religiosi e, contemporaneamente, lo<br />

spingono a comportamenti che lo mettono in attrito<br />

con la corte. Il più grave <strong>di</strong> tutti è quello <strong>di</strong> sottoporsi<br />

all’esame del Tribunale dell’Inquisizione, cosa che<br />

spaventa il duca, che teme il coinvolgimento della<br />

corte. In questa situazione si manifestano le manie <strong>di</strong><br />

persecuzione e le crisi depressive, che nel 1577 portano<br />

il poeta a lanciare un coltello contro un servo,<br />

sentendosi spiato. Egli viene incarcerato, ma riesce a<br />

fuggire. Seguono due anni <strong>di</strong> peregrinazioni in tutta<br />

Italia. Nel 1579 ritorna a Ferrara in occasione del matrimonio<br />

del duca Alfonso. Sentendosi trascurato,<br />

prorompe in invettive contro il duca. Viene perciò<br />

imprigionato nell’Ospedale <strong>di</strong> sant’Anna e messo in<br />

catene, in quanto giu<strong>di</strong>cato “pazzo frenetico”. Nel<br />

1581 esce a sua insaputa la Gerusalemme liberata, il<br />

titolo che gli e<strong>di</strong>tori danno al Goffredo. L’opera ottiene<br />

grande successo e numerose e<strong>di</strong>zioni. Nel 1586 esce<br />

dal carcere per intervento <strong>di</strong> Vincenzo Gonzaga,<br />

duca <strong>di</strong> Mantova. Il poeta riprende a girovagare in tutta<br />

Italia, prima a Roma, poi a Napoli, a Firenze e ancora<br />

a Roma, ospite <strong>di</strong> amici e <strong>di</strong> ammiratori. Nel<br />

1593 pubblica il rifacimento del poema con il titolo <strong>di</strong><br />

Gerusalemme conquistata. A Roma gli viene concessa<br />

una pensione dal papa e promessa l’incoronazione<br />

poetica. Muore nel 1595.<br />

Le opere. Tasso scrive il Rinaldo (1562), la “favola<br />

boschereccia” Aminta (1573), la canzone Al Metauro<br />

(1578), la Gerusalemme liberata (1575, 1581), la trage<strong>di</strong>a<br />

Re Torrismondo (1586), le Rime (1591, 1593),<br />

la Gerusalemme conquistata (1593). Negli ultimi anni<br />

si de<strong>di</strong>ca anche a una produzione letteraria <strong>di</strong> carattere<br />

religioso, come il Monte Oliveto e il Mondo creato.<br />

Con le Rime Tasso supera il petrarchismo con un ampio<br />

ricorso a figure retoriche e con un ritmo più elaborato,<br />

in particolare con l’uso <strong>di</strong> enjambement. Il<br />

tema amoroso è il motivo prevalente.<br />

L’Aminta (1573, 1581) è una “favola boschereccia”,<br />

che segue le unità aristoteliche <strong>di</strong> luogo, tempo ed azione.<br />

L’azione è in cinque atti e dura un solo giorno.<br />

Le azioni più drammatiche vengono raccontate sia per<br />

Genesini, Appunti e <strong>versioni</strong> <strong>di</strong> Letteratura <strong>italiana</strong> 89<br />

la <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> rappresentarle, sia in considerazione<br />

del pubblico a cui l’opera è rivolta.<br />

Riassunto. Il pastore Aminta ama la ninfa Silvia, ma<br />

questa, seguace della dea Diana, lo respinge. Si sparge<br />

la voce che Silvia è stata <strong>di</strong>vorata dai lupi. A questa<br />

notizia Aminta si getta giù da una rupe. Ma Silvia<br />

non è morta, e, quando sente che Aminta si è ucciso<br />

per lei, scopre <strong>di</strong> amarlo. Ma nemmeno Aminta è<br />

morto, perché un cespuglio ha attutito la sua caduta. I<br />

due giovani possono così coronare il loro amore.<br />

Aminta, atto I, coro<br />

1. O età dell’oro, tu fosti bella non perché i fiumi<br />

scorsero pieni <strong>di</strong> latte e gli alberi stillarono miele; non<br />

perché la terra détte frutti senza essere arata ed i serpenti<br />

strisciarono senza aggressività e senza veleno;<br />

non perché le nuvole fosche non velarono il cielo; ma<br />

perché in una primavera eterna (ora ci sono le estati e<br />

gli inverni) il cielo sorrise luminoso e sereno. Né la<br />

nave pellegrina portò guerra o merci in terre straniere.<br />

2. Ma soltanto perché quel nome vano e senza contenuto,<br />

quell’idolo falso ed ingannevole, che poi fu<br />

chiamato Onore dagli uomini stolti (essi lo resero tiranno<br />

della nostra vita), non mescolava i suoi affanni<br />

alle gioie delle schiere degli innamorati. Né la sua dura<br />

legge fu conosciuta da quelle anime abituate alla<br />

libertà. Esse conoscevano una legge aurea e felice,<br />

scolpita dalla Natura nei loro cuori: “Una cosa, se piace,<br />

è lecita”.<br />

3. Allora tra i fiori e le acque chiare danzavano dolcemente<br />

gli Amorini senza archi e senza fiaccole. I<br />

pastori e le ninfe sedevano mescolando alle parole carezze<br />

e sussurri ed ai sussurri i baci intensi ed appassionati.<br />

Le fanciulle mostravano scoperte le loro fresche<br />

bellezze (ora le tengono nascoste sotto le vesti) e<br />

i pomi acerbi e immaturi dei seni. E spesso nella fonte<br />

e nel lago si vide l’amante scherzare con l’amata.<br />

4. Tu, o Onore, per primo velasti la fonte dei piaceri,<br />

negando l’acqua alla sete d’amore. Tu ai begli occhi<br />

insegnasti a restare in sé raccolti. Tu raccogliesti in<br />

una reticella i capelli sparsi all’aria. Tu i dolci atti<br />

d’amore facesti ritrosi e schivi. Tu ponesti un freno<br />

alle parole ed imponesti la <strong>di</strong>sciplina ai passi. O Onore,<br />

è soltanto opera tua se ora si deve rubare ciò che fu<br />

donato dall’Amore.<br />

5. E i tuoi atti più egregi sono l’averci dato le pene ed<br />

i pianti. Ma tu, che domini l’Amore e la Natura; tu,<br />

che domini sui sovrani, che cosa fai in mezzo a queste<br />

selve, che non possono contenere la tua grandezza?<br />

Vàttene, e turba il sonno agli uomini illustri e ai potenti.<br />

Noi qui, gente ignorata e umile, senza <strong>di</strong> te lascia<br />

vivere secondo gli usi delle genti antiche. Amiamo,<br />

perché la vita umana non conosce tregua<br />

dall’assalto degli anni e si <strong>di</strong>legua.<br />

6. Amiamo, perché il Sole muore e poi rinasce. A noi<br />

egli nasconde la sua breve luce ed il sonno ci porta<br />

una notte eterna.

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