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pietro genesini appunti e versioni di letteratura italiana

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le mammelle <strong>di</strong> una tigre persiana ti nutrirono! Che<br />

cos’altro <strong>di</strong>mentico? L’uomo spietato [che è in te] non<br />

<strong>di</strong>ede neppure un segno <strong>di</strong> umanità [nei miei confronti].<br />

Forse egli cambiò colore [per compassione verso<br />

<strong>di</strong> me]? Forse davanti al mio dolore bagnò almeno gli<br />

occhi [<strong>di</strong> lacrime] o sparse [anche] un solo sospiro?<br />

58. Che cosa taccio o che cosa ri<strong>di</strong>co? Si offre come<br />

mio cavaliere, [ma] mi fugge e mi abbandona; e, come<br />

un vincitore generoso, <strong>di</strong>mentica le offese e perdona<br />

i gravi errori del nemico malvagio (=Armida<br />

stessa)! Ascolta come mi consiglia! Ascolta come il<br />

pudìco Senocrate parla dell’amore! O Cielo, o Dei,<br />

perché sopportate che questi empi [cristiani] <strong>di</strong>struggano<br />

poi le torri e i vostri templi? 59. Vàttene pure, o<br />

crudele, con quella pace che lasci a me. Vàttene, o iniquo,<br />

ormai. Mi avrai alle spalle subito come uno<br />

spirito che ha lasciato il corpo, come un’ombra che<br />

t’insegue implacabilmente. [Come] una nuova Furia<br />

con i serpenti e con le fiaccole io ti tormenterò tanto,<br />

quanto ti amai. E, se è destino, che tu esca dal mare,<br />

che tu schivi gli scogli e le onde e che tu giunga in<br />

battaglia; 60. là, giacendo ferito in mezzo al sangue e<br />

ai morti, sconterai le pene [che mi fai soffrire], o<br />

guerriero crudele e <strong>di</strong>sumano. Armida per nome<br />

chiamerai spesso negli ultimi rantoli dell’agonia. Spero<br />

<strong>di</strong> u<strong>di</strong>rli!”. A questo punto lo spirito venne meno<br />

alla [donna] angosciata, che non riuscì ad esprimere<br />

interamente queste ultime parole. Ella cadde tramortita,<br />

si ricoprì <strong>di</strong> un sudore gelido e chiuse gli occhi.<br />

Commento<br />

1. Il giar<strong>di</strong>no ripropone la primavera eterna dell’età<br />

dell’oro e gli stessi ideali dell’Aminta: la giovinezza e<br />

l’amore, che sono destinati a passare e che vanno colti<br />

prima che sfioriscano. Il pappagallo espone una visione<br />

edonistica e paganeggiante della vita, in un ambiente<br />

lussureggiante e armonioso: il giar<strong>di</strong>no è artificiale,<br />

ma la maga ha imitato la natura tanto perfettamente<br />

che è riuscita a superare la natura stessa. Il testo<br />

rimanda alle <strong>di</strong>scussioni sui rapporti tra arte e natura,<br />

alla progettazione e alla realizzazione dei giar<strong>di</strong>ni<br />

che risalivano all’Umanesimo del Quattrocento. Il<br />

giar<strong>di</strong>no è il locus amoenus, il nuovo para<strong>di</strong>so terrestre,<br />

progettato interamente dall’uomo, la cui arte è<br />

capace <strong>di</strong> superare la natura.<br />

1.2. La visione sensuale della vita proclamata dal<br />

pappagallo (“Cogliamo la rosa nel bel mattino...”) è<br />

messa subito in pratica – e con maggiore intensità –<br />

dagli uccelli, dagli alberi, infine anche da Rinaldo e<br />

Armida. Con fantasia sfrenata, che non ha precedenti<br />

né imitatori, il poeta immagina anche rapporti erotici<br />

tra piante e ad<strong>di</strong>rittura tra piante <strong>di</strong> specie <strong>di</strong>verse! La<br />

dura quercia e il casto alloro, ma anche la terra e<br />

l’acqua esalano “dolcissimi sentimenti e sospiri<br />

d’amore”...<br />

1.3 Nel giar<strong>di</strong>no – il nuovo para<strong>di</strong>so terrestre – Armida<br />

e Rinaldo si abbandonano totalmente alla gioia dei<br />

sensi. La donna si abbandona tra le braccia dell’uomo<br />

che ama. Rinaldo ha <strong>di</strong>menticato tutto e si proietta anima<br />

e corpo sulla maga. Ma la felicità è minacciata<br />

dall’arrivo <strong>di</strong> Carlo e Ubaldo, che richiamano il pala-<br />

Genesini, Appunti e <strong>versioni</strong> <strong>di</strong> Letteratura <strong>italiana</strong> 97<br />

<strong>di</strong>no alla realtà e al dovere. Per il poeta la felicità è<br />

quin<strong>di</strong> destinata a durare poco. Egli riba<strong>di</strong>sce la conclusione<br />

del coro dell’Aminta: “Amiam, ché ‘l Sol si<br />

muore e poi rinasce...”.<br />

2. Armida è la donna passionale, che vive intensamente<br />

i suoi sentimenti. È donna e maga, e si lascia<br />

andare ai suoi desideri e alle sue passioni. È innamorata<br />

<strong>di</strong> Rinaldo, che la ricambia. Ma il suo amore entra<br />

in conflitto con i doveri del guerriero cristiano, che<br />

la abbandona. Ella però cerca tutti i mo<strong>di</strong> per costringerlo<br />

a restare: prima con le sue arti magiche, poi con<br />

la sua bellezza <strong>di</strong> donna. Ma invano. Infine lo male<strong>di</strong>ce<br />

e sviene, mentre il guerriero, <strong>di</strong>venuto insensibile<br />

al suo fascino, lascia il giar<strong>di</strong>no. Quando lo scopre<br />

che se ne sta andando alla chetichella senza nemmeno<br />

ringraziarla per i servizi ricevuti, la donna capisce <strong>di</strong><br />

averlo perduto, ma non si dà per vinta; e, una volta<br />

risultate vane le sue arti magiche, ricorre alle sue arti<br />

femminili. La donna parla con consumata abilità artistica<br />

e con consumata retorica: per il poeta come per<br />

il suo tempo anche i sentimenti dovevano essere espressi<br />

con arte e secondo le modalità ufficialmente<br />

riconosciute. Ciò che conta non è tanto la sincerità o<br />

meno del sentimento, ma il fatto che sia espresso in<br />

una forma esteriormente riconosciuta valida e perciò<br />

apprezzata. La vita è spettacolo; e se non si sa recitare,<br />

se intorno non si ha un pubblico attento e capace<br />

<strong>di</strong> apprezzare, non si vive affatto. Tutto, la comme<strong>di</strong>a<br />

come la trage<strong>di</strong>a, la vita come la morte, deve <strong>di</strong>ventare<br />

spettacolo per se stessi e per gli altri. Verso la fine<br />

del Cinquecento, quando il poeta è ancora in vita,<br />

Giambattista Marino (1569-1625) propone la sua estetica<br />

barocca, incentrata sulla meraviglia: il fine del<br />

poeta è quello <strong>di</strong> meravigliare; chi non sa farlo può<br />

cambiare mestiere.<br />

3. Rinaldo è il guerriero che ha doveri verso l’esercito<br />

in cui milita e verso la sua fede. Ma si lascia andare<br />

anche alla passione e all’amore. Poi si vergogna <strong>di</strong><br />

quel che ha fatto. Rispecchia e riproduce in sé i valori<br />

della Controriforma: la sfasatura tra ideologia religiosa<br />

e vita dei sensi. Egli si abbandona alla vita dei sensi,<br />

ma, quando è richiamato, ritorna al “dovere”, rinnega<br />

ipocritamente quel che sino a quel momento ha<br />

fatto ed ha apprezzato. Si preoccupa anche <strong>di</strong> scaricare<br />

su altri – in questo caso su Armida – le sue colpe.<br />

Nel drammatico colloquio con la donna, nega il piacere<br />

e l’amore provati con lei, incolpa la donna <strong>di</strong> quanto<br />

è successo, e liquida la loro storia d’amore accusandola<br />

<strong>di</strong> essere troppo giovane e troppo focosa,<br />

mentre egli ha soltanto errato.<br />

4. Il pappagallo propone una visione edonistica e paganeggiante<br />

della vita: invita a cogliere la rosa e la<br />

giovinezza, prima che il tempo le faccia appassire.<br />

Tale visione si intreccia e contrasta con la fede religiosa<br />

del poeta ma anche con la ricerca <strong>di</strong> fama, gloria<br />

e onori. Da qui derivano i conflitti interiori che<br />

sconvolgono la vita <strong>di</strong> Tasso. Eppure questi tre ideali<br />

<strong>di</strong> vita erano vissuti come sostanzialmente compatibili<br />

dall’Umanesimo del Quattrocento, sensibile all’equilibrio<br />

e alla misura, e che rifiutava programmaticamente<br />

le posizione estreme ed esasperate.

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