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pietro genesini appunti e versioni di letteratura italiana

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impara chi son io”; E torna in<strong>di</strong>etro poi come un prepotente.<br />

Quando io lo vi<strong>di</strong> con il coltello in mano, Con la bava<br />

alla bocca e gli occhi rossi Corrermi addosso per venirmi<br />

all’assalto,<br />

Mi piazzai ben fermo come un cerchio [con un sasso<br />

in mano] e non mi mossi. Gli feci fare altri tre passi, e<br />

al quarto Lo centrai in fronte, e gli feci scricchiolare<br />

le ossa.<br />

S.P.Q.R.<br />

Quell’esse, pi, qu, erre, inalberate Sul portone <strong>di</strong> quasi<br />

ogni palazzo, Quelle son quattro lettere del cazzo,<br />

Che non vogliono <strong>di</strong>re niente, se pronunciate una alla<br />

volta.<br />

Mi ricordo però che da ragazzo, Quando leggevo a<br />

forza <strong>di</strong> frustate, Me le trovavo sempre appiccicate<br />

Dentro l’abbecedario tutte insieme.<br />

Un giorno infine mi venne la curiosità Di domandare<br />

un po’ la spiegazione A don Fulgenzio, che era il mio<br />

maestro.<br />

Ecco che cosa mi rispose don Fulgenzio: “Queste lettere<br />

vogliono <strong>di</strong>re, signor somarone, Soli Preti Qui<br />

Regnano; e silenzio (=sta zitto)”.<br />

La vita da cane<br />

Ah si chiama ozio il suo, brutte marmotte? Non fa mai<br />

niente il Papa, eh?, non fa niente? Così vi pigliasse un<br />

accidente Come lui si strapazza giorno e notte.<br />

Chi parla con Dio padre onnipotente? Chi assolve tanti<br />

figli <strong>di</strong> mignotte? Chi manda in giro le indulgenze a<br />

botti? Chi va in carrozza a bene<strong>di</strong>re la gente?<br />

Chi gli conta i suoi quattrini? Chi l’aiuta a creare i<br />

car<strong>di</strong>nali? Le gabelle, per Dio, non le fa lui?<br />

[Pensate] soltanto alla fatica da facchino <strong>di</strong> strappare<br />

tutto l’anno memoriali (=suppliche) e buttarli a pezzetti<br />

nel cestino!<br />

Le risate der Papa<br />

Il Papa ride? Male, amico! È segno Che a momenti il<br />

suo popolo ha da piangere. Le risatine <strong>di</strong> questo buon<br />

patrigno Per noi figliastri sono sempre uguali.<br />

Queste brutte facce che portano il triregno (=il copricapo<br />

con tre corone, segno del potere papale) Assomigliano<br />

tutte alle castagne: Belle <strong>di</strong> fuori, e poi, per<br />

Dio, <strong>di</strong> legno, Muffe <strong>di</strong> dentro e piene <strong>di</strong> magagne. Il<br />

Papa ghigna? Ci sono guai per aria, tanto più che il<br />

suo ridere <strong>di</strong> questi tempi Non mi pare una cosa necessaria.<br />

Figli miei cari, state bene attenti. Sovrani in allegria<br />

sono (=vogliono <strong>di</strong>re) tempi brutti. Chi ride che cosa<br />

fa? Mostra i denti.<br />

Er Papa novo<br />

Che ci vuoi fare? È un gusto mio, fratello: Sui gusti,<br />

lo sai, non ci si sputa. Questo Papa che c’è ora (=Pio<br />

Genesini, Appunti e <strong>versioni</strong> <strong>di</strong> Letteratura <strong>italiana</strong> 151<br />

IX) ride, saluta, È giovane, è alla mano, è buono, è<br />

bello...<br />

Eppure, il genio mio, se non si muta, Sta più per<br />

(=preferisce) il Papa morto, poverello!, Non fosse altro<br />

per aver messo in castello (=in prigione a Castel<br />

Sant’Angelo), Senza pietà, quella genìa fottuta (=i<br />

prigionieri politici).<br />

Poi vi pare da Papa, a questo paese, Il dar contro a<br />

prelati e a car<strong>di</strong>nali, E l’uscire a pie<strong>di</strong> e tagliare le<br />

spese?<br />

Guarda la sua cucina e il suo refettorio: son proprio<br />

un pianto (=una tristezza). Ah quei bravi sprechi,<br />

Quelle belle mangiate <strong>di</strong> Gregorio!<br />

Commento<br />

1. Nell’introduzione ai sonetti Belli in<strong>di</strong>ca i suoi scopi:<br />

egli vuole innalzare un “monumento <strong>di</strong> quello che<br />

oggi è la plebe romana”. E riesce a portare a termine<br />

il proposito: descrive le dure con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> vita della<br />

popolazione, ma vede anche l’impossibilità <strong>di</strong> uscire<br />

da quella situazione. Cambiano i papi, possono cambiare<br />

anche i regimi. I nuovi regimi fanno anche promesse<br />

<strong>di</strong> cambiamento, in buona o in mala fede non<br />

importa. Ma le con<strong>di</strong>zioni della plebe rimangono le<br />

stesse. Se la speranza nel futuro è una pura illusione,<br />

resta allora soltanto il presente, la vita nel presente,<br />

con le sue piccole cose, i piccoli fatti, i piccoli pensieri,<br />

le piccole violenze, fatte e subite. Resta questo<br />

straor<strong>di</strong>nario “monumento” innalzato alla plebe <strong>di</strong><br />

Roma.<br />

2. Belli si inserisce nella <strong>letteratura</strong> <strong>di</strong> opposizione,<br />

una <strong>letteratura</strong> che non ha mai trovato consensi nella<br />

critica ufficiale. Egli per <strong>di</strong> più ha l’audacia <strong>di</strong> scrivere<br />

in <strong>di</strong>aletto e <strong>di</strong> prendere le <strong>di</strong>fese della plebe romana.<br />

Ancora peggio! Perciò è relegato con un giu<strong>di</strong>zio<br />

negativo tra gli autori <strong>di</strong>alettali: il <strong>di</strong>aletto non è una<br />

lingua, è qualcosa da lasciare alle classi inferiori...<br />

Anche un Cecco Angiolieri scriveva da popolano per<br />

i popolani, ma almeno scriveva in italiano! Il rifiuto e<br />

l’emarginazione della poesia <strong>di</strong> Belli mostrano<br />

l’origine <strong>di</strong> classe, la povertà intellettuale e la limitatezza<br />

<strong>di</strong> orizzonti della concezione dell’arte normalmente<br />

professata dalla critica <strong>italiana</strong>. Si deve cantare<br />

il bello, forse anche il vero, al limite anche l’utile, ma<br />

il popolo no!<br />

3. In realtà il linguaggio è soltanto uno strumento, il<br />

<strong>di</strong>aletto è soltanto uno strumento, che il poeta sceglie<br />

<strong>di</strong> proposito e che usa per i suoi fini. Il problema non<br />

è se egli canta una donna angelicata (e irreale) o se<br />

canta il popolo e la sua vita miserabile (e reale). Il<br />

problema è se riesce oppure se non riesce a dare una<br />

formulazione linguistica e fantastica adeguata, capace<br />

<strong>di</strong> colpire l’immaginario del lettore – appunto, una<br />

formulazione artistica – a ciò che ha deciso <strong>di</strong> cantare.<br />

Resta in ogni caso il fatto (dal Dolce stil novo a Belli<br />

ai nostri giorni) che la cultura ha un’origine <strong>di</strong> classe<br />

e che cerca <strong>di</strong> <strong>di</strong>fendere interessi <strong>di</strong> classe. Il Dolce<br />

stil novo proponeva la gentilezza d’animo contro la<br />

nobiltà che tirava fuori i documenti e parlava <strong>di</strong> nobiltà<br />

<strong>di</strong> sangue...

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