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pietro genesini appunti e versioni di letteratura italiana

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ché l’amore si fonda su un vincolo morale, il quale,<br />

poiché gli uomini sono tristi, è infranto ogni volta che<br />

contrasta con il proprio interesse, mentre il timore è<br />

tenuto ben saldo dalla paura della pena, che non abbandona<br />

mai.<br />

3. Tuttavia il principe deve farsi temere in modo che,<br />

se non acquista l’amore [dei sud<strong>di</strong>ti], almeno fugga<br />

l’o<strong>di</strong>o, perché si possono ben conciliare il fatto <strong>di</strong> essere<br />

temuto ed il fatto <strong>di</strong> essere non o<strong>di</strong>ato. Ciò avverrà<br />

sempre, quando il principe si astenga dalla roba dei<br />

suoi citta<strong>di</strong>ni e dei suoi sud<strong>di</strong>ti, e dalle loro donne. E,<br />

se proprio deve uccidere qualcuno, deve farlo quando<br />

ci sia una giustificazione conveniente e una causa<br />

manifesta. Ma, soprattutto, deve astenersi dalla roba<br />

altrui, perché gli uomini <strong>di</strong>menticano più facilmente<br />

la morte del padre piuttosto che la per<strong>di</strong>ta del patrimonio.<br />

E poi i motivi per togliere la roba non mancano<br />

mai; e sempre colui, che incomincia a vivere <strong>di</strong> rapina,<br />

trova motivo per appropriarsi della roba altrui.<br />

Al contrario i motivi per uccidere sono più rari, e<br />

vengono meno più presto [cioè non appena lo Stato è<br />

consolidato].<br />

4. Ma quando il principe è con l’esercito, e comanda<br />

migliaia <strong>di</strong> soldati, allora è necessario soprattutto non<br />

preoccuparsi del nome <strong>di</strong> crudele, perché senza questo<br />

nome non si tenne mai un esercito unito né pronto ad<br />

alcuna impresa. Tra le mirabili azioni <strong>di</strong> Annibale si<br />

annovera questa: pur avendo un esercito grossissimo,<br />

composto da infinite razze <strong>di</strong> uomini, condotto a<br />

combattere in terre straniere, non vi scoppiasse mai<br />

alcun contrasto, né tra i soldati, né contro il generale,<br />

sia nella cattiva sia nella buona sorte. Ciò <strong>di</strong>pese soltanto<br />

dalla sua inumana crudeltà, la quale, insieme<br />

con le sue infinite capacità militari, lo rese sempre<br />

venerabile agli occhi dei suoi soldati. E senza <strong>di</strong> essa<br />

le altre capacità militari non sarebbero riuscite ad ottenere<br />

quel risultato. Gli storici poco avveduti [come<br />

Tito Livio] da una parte ammirano la compattezza<br />

dell’esercito, dall’altra condannano la principale causa<br />

<strong>di</strong> essa.<br />

Commento<br />

1. Continua la riflessione <strong>di</strong> Machiavelli: il principe<br />

dovrebbe essere contemporaneamente amato e temuto,<br />

cioè rispettato; ma, poiché è molto <strong>di</strong>fficile anche<br />

per il principe farsi contemporaneamente amare e rispettare-temere,<br />

è meglio che si faccia temererispettare,<br />

perché soltanto così avrà i suoi sud<strong>di</strong>ti dalla<br />

sua parte nella buona come nella cattiva sorte. Il principe<br />

però non deve farsi o<strong>di</strong>are; e si fa o<strong>di</strong>are quando<br />

insi<strong>di</strong>a le donne e le ricchezze dei sud<strong>di</strong>ti. L’autore<br />

commenta pessimisticamente e realisticamente che si<br />

<strong>di</strong>mentica più facilmente la morte del padre, ucciso,<br />

che la per<strong>di</strong>ta del proprio patrimonio.<br />

2. Il segretario fiorentino parla indubbiamente male<br />

dei sud<strong>di</strong>ti, che sono sleali e ingrati, e bene del principe,<br />

che sarebbe generoso. Non è detto che le cose<br />

stiano così; anzi, se si ascolta Ariosto, i principi sfruttano<br />

i loro <strong>di</strong>pendenti e sono ben poco generosi.<br />

L’autore è tuttavia giustificato: il manuale che sta<br />

Genesini, Appunti e <strong>versioni</strong> <strong>di</strong> Letteratura <strong>italiana</strong> 81<br />

scrivendo deve andare in mano ai principi, perciò è<br />

opportuno parlar bene <strong>di</strong> loro.<br />

3. Machiavelli continua a proporre una concezione<br />

strumentale della violenza e, in genere, delle azioni: la<br />

violenza, se serve, si usa; se non serve, non si usa. In<br />

se stessa essa non ha alcun valore; lo acquista nella<br />

misura in cui riesce o non riesce a raggiungere il fine<br />

prefissato. In questo paragrafo il ragionamento è arricchito<br />

da un’altra precisazione: è meglio uccidere<br />

pochi in<strong>di</strong>vidui e subito, piuttosto che lasciare che la<br />

situazione degeneri. Se degenera, le violenze e le <strong>di</strong>struzioni<br />

aumentano e il conflitto si allarga nello spazio<br />

e si allunga nel tempo.<br />

4. Il principe <strong>di</strong> Machiavelli è ancora il principe italiano<br />

del Trecento e del Quattrocento, che ha un piccolo<br />

Stato; che ha consiglieri e segretari umanistici e<br />

che è circondato da artisti. Anzi egli stesso è un artista,<br />

e, come è il suo compito, crea uno Stato che è<br />

un’opera d’arte. L’autore non vede ancora che nel<br />

Cinquecento il principe illuminato ed umanista, il<br />

principe mecenate circondato dagli artisti e abbastanza<br />

vicino ai suoi sud<strong>di</strong>ti – come poteva essere Lorenzo<br />

de’ Me<strong>di</strong>ci – è ormai definitivamente scomparso.<br />

Ci sono monarchi assoluti, lontani, a capo <strong>di</strong> gran<strong>di</strong><br />

eserciti e <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> burocrazie, che cercano non la costruzione<br />

o il mantenimento dello Stato (nessuno glielo<br />

insi<strong>di</strong>a), ma l’allargamento dello Stato al fine <strong>di</strong> ottenere<br />

altro potere, altra fama, altra gloria, altra ricchezza.<br />

Gli orizzonti umanistici e ideali del segretario<br />

fiorentino sono completamente ignorati, a favore dei<br />

brutali rapporti <strong>di</strong> potere che lega il monarca ai suoi<br />

sud<strong>di</strong>ti e ogni monarca agli altri monarchi.<br />

5. L’autore scrive quin<strong>di</strong> facendo riferimento soltanto<br />

alla situazione <strong>italiana</strong>, che lo interessa e che aveva<br />

bisogno <strong>di</strong> una maggiore unità per fermare le invasioni<br />

degli eserciti stranieri e per cessare <strong>di</strong> essere terra<br />

<strong>di</strong> conquista e <strong>di</strong> sfruttamento. Da questa situazione<br />

non si allontana mai.<br />

6. Machiavelli <strong>di</strong>stingue tra il comportamento che il<br />

principe deve tenere nella vita politica normale e<br />

quello che deve tenere quando è a capo dell’esercito.<br />

In questo caso dev’essere sempre crudele, perché soltanto<br />

così può tenere uniti i soldati. Il principe si deve<br />

de<strong>di</strong>care alla guerra, per ottenere fama, gloria e ricchezza,<br />

e per ampliare lo Stato.<br />

Cap. XVIII: Quomodo fides a principibus sit servanda<br />

(In che modo la parola data debba essere mantenuta<br />

dai principi)<br />

1. Ciascuno intende quanto sia lodevole un principe<br />

che mantenga la parola data e che viva con integrità e<br />

non con astuzia. Tuttavia si vede per esperienze recenti<br />

che hanno fatto gran<strong>di</strong> cose quei principi che<br />

hanno tenuto poco conto della parola data e che hanno<br />

saputo con l’astuzia aggirare i cervelli degli uomini; e<br />

che alla fine hanno superato coloro che si sono fondati<br />

sulla lealtà.<br />

2. Dovete dunque sapere che ci sono due mo<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

combattere: l’uno con le leggi, l’altro con la forza. Il<br />

primo è proprio dell’uomo, il secondo è delle bestie.

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