Visualizza/apri - ART - Università degli Studi di Roma Tor Vergata

I, 657-62
’W f…lai, e„ d’ ¥ge d¾ menoeikéa dîra pórwmen
¢ndr£sin, o%ia t’ œoiken ¥gein pì nhòj œcontaj,
½ia kaì méqu larón, †n’ œmpedon œktoqi pÚrgwn
m…mnoien, mhd’ ¥mme katà creië meqépontej
¢trekéwj gnÍwsi, kak¾ d’ pì pollòn †khtai
b£xij (…).
“Orsù, mie care, diamo a questi uomini doni graditi, / da portar via
sulla nave, cibi e vino soave, / in modo che restino fuori dalla città / e,
venuti da noi per bisogno, non sappiano / tutto, e una fama malvagia si
sparga su noi”.
Nel discorso che apre l’ assemblea delle donne di Lemno, la regina
Issipile esprime le sue riserve nell’ accogliere gli Argonauti all’ interno
della città, per timore che essi, venendo a conoscenza della strage degli
uomini, ne divulghino la notizia, gettando su di esse una kak¾ b£xij.
La regina si astiene dal menzionare il fónoj 462 , ed esprimendosi
genericamente 463 annuncia di voler tenere gli eroi fuori dalle mura
affinché essi mhd’…¢trekéwj gnÍwsi. L’ avverbio ¢trekéwj implica
così l’ idea di una conoscenza “esatta” dei fatti, ovvero di una
conoscenza della verità, la strage degli uomini, che Issipile intende
tenere celata agli Argonauti.
Poiché in Omero ¢trekéwj è sempre legato a un verbum dicendi,
Apollonio in questo caso si distacca dall’ uso epico, associando l’
avverbio a un verbo che indica una facoltà intellettiva.
Come si è constatato, a seguito dei verba sentiendi, per indicare una
conoscenza esatta o veridica Omero impiega genericamente la forma
462 Il fónoj viene infatti menzionato esclusivamente dal narratore; cfr. vv. 834-35: ”Isken,
¢maldÚnousa fÒnou téloj oŒon tÚcqh / ¢ndr£sin (…).
463 Successivamente, v. 662, la regina fa menzione del méga œrgon da esse compiuto, senza tuttavia
specificare l’ accaduto.
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