Visualizza/apri - ART - Università degli Studi di Roma Tor Vergata

vv. 100-101: kºpe… k£ nin Ònta m£q+j mÒnon, ¤suca neàson, /
kœif’ Óti Sima…qa tu kale‹, kaì ¢f£geo te‹de. Simeta definisce tale
discorso Þlaqéa mûqon. L’ aggettivo ÞlaqÔς viene dunque qui, come
spesso, utilizzato in relazione a un atto di parola. Esso indica la
franchezza d’ animo con la quale Simeta si rivolge alla sua schiava
comunicandole la propria sofferenza e i propri desideri. Trovo pertanto
pertinente la traduzione “aperto discorso” che B. Palumbo Stracca 166
propone a proposito di Þlaqéa mûqon, poiché esso si configura come
vera e propria confessione, uno sfogo “sincero” che promana dall’
animo della donna 167 . La definizione di Þlaqéa mûqon si attaglia così
in particolar modo ai vv. 95-96, premessa al seguito del discorso che si
prolunga fino al v. 101, e nell’ ambito del quale le indicazioni fornite
da Simeta a Testili per conseguire il suo obiettivo si configurano come
proiezioni del desiderio e del conseguente malessere della donna. Il
sintagma ÞlaqÕj mûqoς viene dunque qui riferito a un discorso
coincidente con l’ esternazione di uno stato d’ animo, e dunque di una
realtà interiore e del tutto soggettiva, cosicché esso indica una
veridicità che si contraddistingue come “sincerità” nell’ esprimere il
proprio sentire.
166 1995.
167 L’ aggettivo non si riferisce all’ adaequatio con una realtà esterna, ma appunto alla franchezza, cioè
ad una realtà interna.
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