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Visualizza/apri - ART - Università degli Studi di Roma Tor Vergata

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acconti mitici come tabù. L’ accecamento <strong>di</strong> Tiresia, la ferita inferta ad<br />

Artemide, nonché l’evirazione <strong>di</strong> Urano, rappresentano tutti exempla<br />

negativi, poiché <strong>di</strong>scre<strong>di</strong>tanti nei confronti della <strong>di</strong>vinità 491 . In tal modo<br />

l’attribuzione della matrice del mito ai predecessori costituisce una<br />

sorta <strong>di</strong> excusatio da parte del poeta, teso a giustificarsi<br />

fondamentalmente per ragioni <strong>di</strong> “convenienza poetica”, piuttosto che <strong>di</strong><br />

mancanza <strong>di</strong> verosimiglianza.<br />

Per Apollonio invece, in IV, 1381-82, la sanzione della verità della<br />

ricezione del màqoj libico dalle Muse – kaì t»nde panatrekèj œkluon<br />

Ñmf»n – implica fondamentalmente attribuire alla tra<strong>di</strong>zione precedente<br />

racconti mitici non congruenti all’impostazione e all’ideologia sottesa<br />

alla sua opera 492 . L’ episo<strong>di</strong>o relativo al trasporto della nave Argo sulle<br />

spalle <strong>degli</strong> Argonauti verrà infatti solo brevemente accennato da<br />

Apollonio, e la narrazione, sulla quale il poeta evita <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffondersi,<br />

verrà esposta tramite “un’ abile praeteritio 493 ”.<br />

Me<strong>di</strong>ante il lessema panatrekÔj il poeta mira dunque essenzialmente a<br />

fornire un’assicurazione enfatica sulla veri<strong>di</strong>cità della ricezione del<br />

màqoj da parte <strong>di</strong> una fonte autorevole, senza che questo in alcun modo<br />

implichi un giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> valore sulla sostanza, ovvero sul contenuto <strong>di</strong><br />

quanto si è recepito. La forma avverbiale panatrekèj non viene infatti<br />

impiegata in riferimento al mito, bensì viene associata al verbo –<br />

œkluon – al fine <strong>di</strong> caratterizzare la modalità della ricezione.<br />

Dunque il desiderio <strong>di</strong> conferire atten<strong>di</strong>bilità a un racconto che il poeta<br />

non giu<strong>di</strong>ca cre<strong>di</strong>bile viene sod<strong>di</strong>sfatto non tramite la constatazione<br />

della sua verità oggettiva, bensì per mezzo <strong>di</strong> un appello alla tra<strong>di</strong>zione,<br />

cui Apollonio acriticamente 494 qui si rimette per ragioni <strong>di</strong> necessità,<br />

facendosi garante della “realtà” della sua esistenza.<br />

Va infine osservato che vi è stato chi ha visto nell’appello alle Muse<br />

contenuto in IV, 1381-82, un atteggiamento <strong>di</strong>ssonante rispetto a quello<br />

491<br />

Va inoltre rilevata la tendenza alessandrina a ban<strong>di</strong>re dal racconto poetico scene violente, in linea con<br />

il gusto del pubblico; su questo argomento cfr. Fusillo, op. cit., pp. 371-72.<br />

492<br />

Cfr. Feeney, 1991, pp. 90-93.<br />

493<br />

Cfr. Fusillo, op. cit., p. 373.<br />

494<br />

Anche Paduano, op. cit., p. 679, percepisce un atteggiamento acritico da parte <strong>di</strong> Apollonio. Egli<br />

osserva infatti che “citando fonti della “storia vera” estranee alla verificabilità e alla responsabilità della<br />

coscienza razionale, Apollonio non intende tuttavia investire la tra<strong>di</strong>zione mitica <strong>di</strong> scetticismo né d’<br />

ironia.” A conclusioni simili giunge anche Fusillo, op. cit., p. 374, che sebbene non constati in<br />

Apollonio alcuna forma <strong>di</strong> scetticismo, vi rintraccia tuttavia “un leggero e ironico <strong>di</strong>sincanto”.<br />

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