Visualizza/apri - ART - Università degli Studi di Roma Tor Vergata
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detenuto dalla filosofia. Nella Repubblica il filosofo ban<strong>di</strong>sce la poesia<br />
dallo stato ideale. Dopo aver introdotto il concetto <strong>di</strong> mimesis, in Resp.<br />
596e, Platone osserva che il poeta 21 , alla stregua del pittore, può<br />
riprodurre fainómena, o÷ méntoi Ónta gé pou tÍ Þlhqeív, attaccando la<br />
poesia in quanto generatrice <strong>di</strong> “apparenza”, e pertanto priva <strong>di</strong> alcuno<br />
statuto <strong>di</strong> “verità”. Le critiche alla poesia, concentrate principalmente<br />
nel libro X della Repubblica 22 – ma presenti anche nei libri 23 II e III 24 –<br />
attestano l’ambizione platonica <strong>di</strong> trasferire il ruolo <strong>di</strong> maestro <strong>di</strong> verità<br />
dal poeta al filosofo 25 .<br />
La testimonianza platonica si fa pertanto specchio <strong>di</strong> una situazione<br />
culturale in cui l’autorità del poeta, in quanto fonte <strong>di</strong> insegnamento, e<br />
dunque <strong>di</strong> verità, non era ancora stata completamente scalfita. Con<br />
l’avanzare dell’epoca classica la prospettive iniziano tuttavia a mutare.<br />
Il maturare <strong>di</strong> un pensiero “razionale 26 ”, è certamente il primo fattore ad<br />
incrinare la fede nel poeta quale “maestro <strong>di</strong> verità”.<br />
La razionalizzazione del pensiero greco ravvisabile in campo<br />
storiografico con la nascita del criterio autoptico – per cui la verità<br />
viene ad identificarsi con la cronaca <strong>di</strong> fatti testimoniati e pertanto<br />
realmente accaduti -, nella letteratura me<strong>di</strong>ca – la quale giu<strong>di</strong>ca verità i<br />
dati esperibili, e dunque ciò che in base all’ æmpeiría risulta<br />
incontrovertibile –, nella filosofia – che arriva ad identificare la verità<br />
21<br />
Platone si scaglia essenzialmente contro la trage<strong>di</strong>a a ragione del fatto che, il ruolo paideutico<br />
detenuto dal poeta lirico in epoca arcaica, nel V secolo si trasferisce al poeta drammatico. Aristofane ce<br />
ne offre una testimonianza inequivocabile nelle Rane; cfr. in modo particolare vv. 1009-1010, ove<br />
Eschilo ed Euripide concordano nell’ affermare che il poeta, con i suoi insegnamenti, rende migliori i<br />
citta<strong>di</strong>ni: dexióthtoj kaì nouqesíaj, Óti beltíouj te poioàmen / toùj ¢nqrèpouj æn taîj pólesin;<br />
cfr. anche vv. 1054-55, ove Aristofane, per bocca <strong>di</strong> Eschilo, osserva che l’ insegnamento per i bambini<br />
viene impartito da un <strong>di</strong>dáskaloj, per i giovani dai poeti: toîj mèn gàr paidaríoisin / #esti<br />
<strong>di</strong>dáskaloj Óstij frázei, toîsin d’ ÓbÏsi pohtaí. D’ altra parte, come osserva M. G. Bonanno,<br />
1990, p. 248, alle Rane è sotteso “un serissimo scopo civile”: “salvare la pólij con la resurrezione <strong>di</strong> un<br />
grande poeta “maestro <strong>di</strong> verità”, e costui non può che essere Eschilo, specie per il “nostalgico”<br />
Aristofane”.<br />
22<br />
Cfr. 595-608b2.<br />
23<br />
Per un’ analisi dettagliata <strong>di</strong> questi passi, cfr. Murray 1996.<br />
24<br />
Cfr. 376e-398b9.<br />
25<br />
Su questi argomenti cfr. ad es. Gill, 1993, pp. 38-87, Finkelberg, op. cit., pp.181-189; Pratt, op. cit.,<br />
pp. 146-156.<br />
26<br />
Come si è visto le ra<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> questo pensiero affondano in una fase anteriore. Su questi argomenti cfr.<br />
ad es. Pratt, op. cit., pp. 136-146.<br />
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