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Visualizza/apri - ART - Università degli Studi di Roma Tor Vergata

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appresenterebbe così colui che ha acquisito le fattezze <strong>di</strong> un eroe, e il<br />

cui me<strong>di</strong>um per raggiungerle consiste nell’ assidua frequentazione col<br />

maestro e nell’ esercitazione nei suoi insegnamenti.<br />

proverbiale <strong>di</strong> tale locuzione cfr. Tsirimbas, 1950, pp. 53-54). Oltre ad Eustazio, Commentarii ad<br />

Homeri Odysseam, vol. II, p. 69, esso viene citato da Zenobio, III, 43, anteriore <strong>di</strong> quattro secoli ad<br />

Aristeneto, che chiosa: pì tÏn Ômoia kaì paraplÔsia pascóntwn. Il proverbio doveva dunque<br />

esistere ben prima <strong>di</strong> Aristeneto, sebbene esso non si incontri mai prima <strong>di</strong> questo autore. E Aristeneto,<br />

unico autore in cui tale proverbio è testimoniato, lo utilizza proprio in un contesto erotico, intendendo<br />

con zugón il giogo <strong>di</strong> Eros, cui fa esplicitamente riferimento poco prima <strong>di</strong> citare il proverbio: MÕ<br />

toínun Þtim£s+j, ð déspoina, tòn mòn te kaì sòn despÒthn # Erwta (...). Kaì sù gàr ke…n_<br />

douleÚeij, k¢gè te kaì sù tòn aÙtòn ›lkomen zugÒn. Se la massima tòn aÙtòn ›lkomen zugÒn era<br />

già esistente all’ epoca <strong>di</strong> Teocrito, il poeta alessandrino sarebbe quanto mai giustificato per l’ omissione<br />

del termine zugón (il quale peraltro non si trova omesso altrove; su ciò cfr. Gow, op. cit., II, p. 235) ben<br />

sapendo che il lettore avrebbe comunque colto il proverbio che si celava <strong>di</strong>etro l’ espressione aØtòn d'<br />

e%u ›lkwn. Molto interessante mi sembra in proposito la testimonianza <strong>di</strong> Eronda, VI, 12; a seguito della<br />

lamentela <strong>di</strong> Corittò <strong>di</strong> avere cattivi servitori, Metro risponde: f…lh Koritto‹, ta#ut’ æmoì zugòn<br />

tr…beij. Eronda riporta con ogni verosimiglianza una variante del proverbio ægÎ dè kaì sù taÙtòn<br />

›lkomen zugÒn; ciò <strong>di</strong>mostrerebbe che in epoca alessandrina esso era già <strong>di</strong>ffuso. Peraltro Di Gregorio,<br />

2004, pp. 153-154, non manifesta alcun dubbio sul fatto che la locuzione erondea rappresenti una<br />

variazione del proverbio sopra citato, e giustifica la sostituzione <strong>di</strong> ›lkw con tr…bw con un fine enfatico<br />

da parte <strong>di</strong> Eronda, e con il suo vezzo <strong>di</strong> “servirsi <strong>di</strong> termini nuovi al posto <strong>di</strong> quelli comuni onde dare<br />

maggiore colorito all’espressione”. Se si accetta questa ipotesi interpretativa, si dovrà congetturare che<br />

Teocrito potesse avere in mente il proverbio, e che se anche esso avesse un senso generico, come vuole<br />

Zenobio, egli vi alludesse in senso erotico (peraltro un’ eco <strong>di</strong> questo proverbio sembrerebbe poter venir<br />

ravvisata nella testimonianza <strong>di</strong> Julian., Or. 8, 244 c: filhqeìj tò legÒmenon ‡sJ zugù, che<br />

paleserebbe un suo impiego proprio in senso erotico). La con<strong>di</strong>visione <strong>di</strong> una medesima con<strong>di</strong>zione,<br />

significato questo suggerito dai paremiografi, verrebbe cioè ad assumere un significato erotico. Va<br />

peraltro osservato che anche l’avverbio e%u - e%u ›lkwn - sembra contribuire alla possibilità <strong>di</strong> una<br />

duplice lettura della parte iniziale del v. 15; infatti, se da un lato sembrerebbe confermare il significato<br />

<strong>di</strong> ›lkw nel senso voluto da Platone, in quanto suggerirebbe l’idea <strong>di</strong> “scrupolosità, <strong>di</strong>ligenza, impegno,<br />

costanza” nell’esercitazione, da un altro potrebbe tuttavia significare l’idea <strong>di</strong> “armonia” nel trascinare il<br />

giogo, come suggerisce lo scolio che chiosa e%u con kalîj. In sintesi, accogliendo quest’ ipotesi<br />

esegetica si postulerebbe che sebbene Teocrito in modo esplicito faccia riferimento all’ esercitazione del<br />

giovane, alluda in modo implicito al rapporto omoerotico tra Eracle ed Ila. Facendo salva l’allusione<br />

erotica, si potrebbe allora concludere che nella trasformazione <strong>di</strong> Ila in “vero uomo” acquisterebbe peso<br />

anche un’esperienza <strong>di</strong> tipo amoroso, cosicché l’aggettivo ¢laqinÒj verrebbe allusivamente ad in<strong>di</strong>care<br />

la summa <strong>di</strong> un’esperienza al contempo etica ed erotica. L’ ¢laqinòj ¢nÔr delineato da Teocrito<br />

rappresenterebbe pertanto colui che ha acquisito le fattezze <strong>di</strong> un eroe, ma al contempo – alluderebbe<br />

Teocrito – la completa formazione <strong>di</strong> Ila avrebbe anche una matrice erotica; essa avverrebbe cioè anche<br />

tramite l’ experiri amorem.<br />

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