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Visualizza/apri - ART - Università degli Studi di Roma Tor Vergata

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Gli aggettivi neutri plurali ¢lhqéa e yeudéa, qui posti in<br />

contrapposizione come nel caso dei sostantivi ¢lhqeíh e yeàdoj del<br />

passo precedente, si riferiscono alle accuse mosse da Bitinna a<br />

Gastrone. Come suggerisce Di Gregorio 305 è necessario così<br />

sottintendere dopo il v. 36 una proposizione che funga da soggetto,<br />

quale: § kathgore‹j mou. Altri ritengono invece che si debba intendere<br />

come soggetto del v. 36 la proposizione relativa introdotta da Bitinna al<br />

v. 37: § d’ a÷tòj e%ipaj ¥rti tÍ „d…= gláss+, per mezzo della quale la<br />

donna sarcasticamente rinfaccia a Gastrone la sua precedente<br />

confessione, v. 26. A prescindere da ciò che si voglia intendere dopo il<br />

v. 36, l’ aggettivo ÞlhqÔj viene dunque impiegato in questo passo,<br />

come spesso avviene, per contrassegnare la veri<strong>di</strong>cità <strong>di</strong> un atto <strong>di</strong><br />

parola e la sua corrispondenza con i fatti. La compresenza <strong>di</strong> due<br />

opzioni opposte e alternative al v. 36: e‡t’ œst’ ¢lhqéa ... e‡te kaì<br />

yeudéa, per classificare il contenuto <strong>di</strong> un enunciato – le imputazioni<br />

<strong>di</strong> Bitinna – è emblematica dell’ ambiguità dell’ altalenante<br />

atteggiamento verbale <strong>di</strong> Gastrone, che nell’ arco <strong>di</strong> pochi versi, a<br />

scopo apologetico, <strong>di</strong>chiara le accuse <strong>di</strong> Bitinna prima false,<br />

definendole prof£sij, poi vere confessandole, poi ancora<br />

smentendole 306 .<br />

305 Op. cit. II, p. 96. Cfr. Headlam, op. cit., p. 223; Nairn, op. cit., p. 62; Chini 1924, p. 71. Altri<br />

ritengono invece che il v. 36 rappresenti il complemento oggetto <strong>di</strong> ælégxasa al v. 35; cfr. Cataudella,<br />

op. cit., p. 71; Miralles 1970, p. 115; Puccioni 1950, p. 101.<br />

306 Nel suo estremo tentativo <strong>di</strong> aver salva la vita Gastrone sembra appellarsi a qualche <strong>di</strong>ritto, a lui<br />

precluso dalla con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> schiavo, avvalendosi ai vv. 35-36 del linguaggio tecnico giuri<strong>di</strong>co. L’<br />

œlegcoj tÖj Þlhqeíaj, “la prova della veri<strong>di</strong>cità delle accuse” veniva infatti invocata in tribunale: cfr.<br />

ad es. Dem. 18,13, 15; 22, 21-22.<br />

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