Visualizza/apri - ART - Università degli Studi di Roma Tor Vergata
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avverbiale s£fa 464 , sinonimo <strong>di</strong> ÞlhqÔj utilizzato anche a seguito dei<br />
verba <strong>di</strong>cen<strong>di</strong>.<br />
Si constata così che le forme avverbiali <strong>degli</strong> aggettivi nhmertÔj e<br />
¢trek»j congiunte ai verba sentien<strong>di</strong> sostituiscono l’ uso dell’ omerico<br />
s£fa, scartato da Apollonio. Tuttavia, se nhmertÔj prende il posto <strong>di</strong><br />
s£fa esclusivamente in virtù <strong>di</strong> uno stretto legame sinonimico tra i due<br />
lessemi, nell’ impiego <strong>di</strong> ¢trek»j in unione a un verbo che in<strong>di</strong>ca un<br />
processo mentale, si deve rilevare la eco dello sviluppo semantico che<br />
questo termine conobbe nella letteratura successiva a Omero 465 .<br />
Contrariamente a nhmertÔj, che scompare fino ad Apollonio, ¢trek»j<br />
continua a venire utilizzato, e il suo significato si specializza in quello<br />
<strong>di</strong> “esatto”. Tale valore, pur essendo attestato già in Omero, coesisteva<br />
in questo autore con quello più generico <strong>di</strong> “vero”, sebbene anche in<br />
Omero il “vero” in<strong>di</strong>cato da ¢trek»j in<strong>di</strong>chi l’ antitesi non tanto della<br />
menzogna, quanto dell’ errore 466 .<br />
In virtù <strong>di</strong> tale scarto semantico, nella letteratura successiva il lessema<br />
venne applicato ad un’ ampia serie <strong>di</strong> contesti, spesso contemplanti<br />
termini relativi alla sfera della “percezione intellettiva 467 ”.<br />
In tal modo, poiché l’ avverbio traduce qui l’ idea <strong>di</strong> un’ interpretazione<br />
“esatta” della realtà, che avviene tramite la valutazione <strong>di</strong> un dato<br />
empirico – l’ assenza <strong>degli</strong> uomini all’ interno delle mura della città –<br />
Apollonio risulta con<strong>di</strong>zionato dal valore assunto dal vocabolo nella<br />
letteratura successiva a Omero.<br />
464<br />
Cfr. ad es. Il. XII, 228-29: ïdé c’ Øpokrínaito qeoprÒpoj, Öj s£fa qumù / e„deíh ter£wn (...),<br />
ove esso viene applicato alle conoscenze dell’ indovino, e dunque alla sua capacità <strong>di</strong> profetizzare il<br />
“vero”. Cfr. anche Od. I, 200-202, in cui Atena nelle sembianze <strong>di</strong> Mente, re dei Tafi, osserva: aÙtàr<br />
nàn toi ægÎ manteúsomai, Ìj ænì qumù / Þq£natoi b£llousi kaì Ìj teléesqai ð@iw, / oÜte ti<br />
m£ntij În oÜt’ o„wnîn s£fa e„dÍj.<br />
465<br />
Così come avviene per t»tumoj.<br />
466<br />
Cfr. Levet, op. cit., pp. 124-140;<br />
467<br />
Cfr. Pind. Pyth. 8, 7; Herodot. I, 172; II, 28, 145; 154; 167; IV, 16, 81, 152; V, 54, 93; VI, 1; VII, 54,<br />
130, 208, 214, 218; Eur. Hyp. 1115; A.P. 5, 267; 11, 218; 12, 177; interessante è la testimonianza <strong>di</strong><br />
Pindaro, Nem. 3, 41, che applica l’ aggettivo al sostantivo poÚj: yefhnòj ¢n¾r ¥llot’ ¥lla pnéwn<br />
o‡ pot’ ¢trekéi} katéba podí.<br />
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