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Sant'Agostino "De Trinitade"

Il De Trinitate (Sulla Trinità) è un trattato in quindici libri di Agostino d'Ippona, considerato il suo capolavoro dogmatico. Infatti l'opera a quel tempo chiuse per sempre tutte le speculazioni e le incertezze che riguardavano la Trinità ovvero Dio stesso.

Il De Trinitate (Sulla Trinità) è un trattato in quindici libri di Agostino d'Ippona, considerato il suo capolavoro dogmatico. Infatti l'opera a quel tempo chiuse per sempre tutte le speculazioni e le incertezze che riguardavano la Trinità ovvero Dio stesso.

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quelle sensibili al corpo, queste intelligibili allo spirito, e benché noi stessi non siamo<br />

anime sensibili, cioè corporee, ma intelligibili, perché siamo vita; tuttavia, come ho detto,<br />

la nostra familiarità con i corpi è divenuta così grande e la nostra attenzione, per uno<br />

strano scivolamento verso questi corpi, si proietta talmente all’esterno che, una volta che<br />

sia tolta dall’incertezza del mondo corporeo, per fissarsi, con una conoscenza molto più<br />

certa e stabile, nello spirito, fugge di nuovo verso i corpi e cerca la sua quiete là donde<br />

ha tratto origine la sua debolezza. Occorre adattarsi a questa infermità in modo che,<br />

quando ci sforziamo di discernere in modo più accessibile le realtà interiori spirituali e<br />

proporle con maggior facilità, prendiamo delle analogie dalle realtà esterne e corporee.<br />

Dunque l’uomo esteriore, dotato di sensi corporei, percepisce i corpi con i sensi. Questa<br />

sensibilità corporea, come è facile vedere, si suddivide in cinque sensi: la vista, l’udito,<br />

l’olfatto, il gusto, il tatto. Sarebbe troppo lungo, e superfluo d’altra parte, interrogare<br />

ciascuno di questi cinque sensi circa l’oggetto della nostra ricerca. Ciò che infatti ci rivela<br />

uno di essi, vale anche per gli altri. Pertanto ricorriamo di preferenza alla testimonianza<br />

della vista. Questo infatti è il senso corporeo più nobile e il più vicino, sebbene sia di<br />

tutt’altro ordine, alla visione dello spirito.<br />

Primo vestigio: trinità della visione<br />

2. 2. Quando dunque vediamo un corpo, dobbiamo considerare e distinguere, cosa del<br />

resto assai facile, tre elementi. Anzitutto la cosa stessa che vediamo, sia una pietra, sia<br />

una fiamma o qualsiasi altro oggetto che si può vedere con gli occhi, realtà che<br />

certamente poteva già esistere anche prima che noi la vedessimo. In secondo luogo la<br />

visione, che non esisteva prima che la presenza dell’oggetto provocasse la sensazione. In<br />

terzo luogo ciò che tiene lo sguardo centrato sull’oggetto percepito, per il tempo in cui lo<br />

percepiamo, cioè l’attenzione dell’anima. Tra questi tre elementi dunque non solo esiste<br />

una manifesta distinzione, ma essi sono di natura differente. Il primo, il corpo visibile, è<br />

di tutt’altra natura che il senso della vista il cui incontro con l’oggetto produce la visione;<br />

e come il senso la stessa visione, la quale che altro è se non il senso in quanto informato<br />

dall’oggetto sentito? Sebbene, una volta tolto l’oggetto visibile, la visione non sussista più<br />

e una visione sia impossibile, se non c’è un corpo visibile, tuttavia il corpo che informa il<br />

senso della vista, quando questo stesso corpo è veduto, e la forma che questo corpo<br />

imprime nel senso, forma che è chiamata visione, non appartengono affatto alla stessa<br />

sostanza. Il corpo può sussistere indipendente dalla vista, a parte, nella sua propria<br />

natura; invece il senso che era già nel vivente, anche prima che esso vedesse ciò che<br />

poteva vedere, per il suo incontro con qualche oggetto visibile, o la visione prodotta nel<br />

senso per azione del corpo visibile, quando questo è già in contatto con il senso ed è<br />

percepito; il senso dunque o la visione, cioè il senso non informato dall’esterno o il senso<br />

informato dall’esterno appartiene alla natura dell’essere vivente, che è tutt’altra dal corpo<br />

percepito con la vista; perché questo oggetto informa il senso non perché esista come<br />

senso, ma perché abbia origine la visione. Infatti, se il senso non esistesse in noi anche<br />

prima che gli sia presentato l’oggetto visibile, non differiremmo dai ciechi quando,<br />

nell’oscurità o con gli occhi chiusi, non vediamo nulla. Ora noi differiamo da essi in questo<br />

che, anche quando non vediamo, abbiamo la facoltà di vedere, facoltà chiamata senso,<br />

mentre essi non l’hanno e non per altro sono chiamati ciechi, se non perché ne sono<br />

privi. Così pure l’attenzione dell’anima che tiene fisso il senso sull’oggetto che vediamo e<br />

che unisce l’uno all’altro, differisce per natura non soltanto dall’oggetto percepito (in<br />

quanto questa è anima, quello è corpo), ma anche dallo stesso senso e dalla visione,<br />

perché questa attenzione appartiene solo all’anima, mentre il senso della vista non per<br />

altro si chiama senso corporeo se non in quanto precisamente gli occhi stessi sono organi<br />

del corpo; e benché un corpo senza vita non senta, l’anima tuttavia, unita al corpo, sente<br />

per mezzo di uno strumento corporeo chiamato senso. Questo senso, allorché qualcuno<br />

diviene cieco, si estingue, per effetto di una sofferenza fisica, ma l’anima rimane la stessa<br />

e la sua attenzione, dopo la perdita della vista, non dispone più di un senso corporeo;<br />

essa non può più vedere congiungendo il senso all’oggetto esterno, né fissare lo sguardo<br />

sull’oggetto veduto. Tuttavia con gli stessi suoi sforzi testimonia che la perdita del senso<br />

non ha potuto né distruggerla né diminuirla. Infatti rimane in essa intatto un certo<br />

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