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Sant'Agostino "De Trinitade"

Il De Trinitate (Sulla Trinità) è un trattato in quindici libri di Agostino d'Ippona, considerato il suo capolavoro dogmatico. Infatti l'opera a quel tempo chiuse per sempre tutte le speculazioni e le incertezze che riguardavano la Trinità ovvero Dio stesso.

Il De Trinitate (Sulla Trinità) è un trattato in quindici libri di Agostino d'Ippona, considerato il suo capolavoro dogmatico. Infatti l'opera a quel tempo chiuse per sempre tutte le speculazioni e le incertezze che riguardavano la Trinità ovvero Dio stesso.

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desiderio di vedere, sia che possa farlo, sia che non lo possa. Dunque questi tre<br />

elementi: il corpo che è veduto, la visione stessa, l’attenzione che unisce l’uno all’altra,<br />

sono manifestamente distinti, non soltanto per le loro proprietà rispettive, ma anche per<br />

la differenza di natura.<br />

L’oggetto visibile imprime negli occhi la sua immagine<br />

2. 3. In questo processo, sebbene il senso non provenga dal corpo veduto, ma dal corpo<br />

del soggetto dotato di sensazione e di vita - il corpo con il quale l’anima, in una maniera<br />

che le è propria, è in una misteriosa consonanza -, tuttavia è il corpo veduto che genera<br />

la visione, cioè è esso che informa il senso, cosicché non c’è più soltanto il senso, che<br />

anche nell’oscurità può restare intatto, finché gli occhi rimangono incolumi, ma c’è anche<br />

il senso informato, che si chiama visione. Dunque la visione è generata dall’oggetto<br />

visibile ma non da esso solo: occorre che ci sia anche uno che vede. Perciò la visione è<br />

generata dall’oggetto visibile e dal soggetto che vede; al soggetto che vede<br />

appartengono il senso della vista e l’attenzione con cui guarda e vede, mentre<br />

l’informazione del senso, che è chiamata visione, è impressa soltanto dal corpo veduto,<br />

cioè, da un oggetto visibile; se si toglie questa non rimane alcuna forma, che era<br />

inerente al senso mentre era presente l’oggetto veduto, ma rimane il senso che esisteva<br />

anche prima che percepisse cosa alcuna. Così l’acqua conserva il vestigio di un corpo<br />

fintantoché le è presente il corpo che pone in essa la sua impronta, ma se lo si toglie,<br />

non vi rimane traccia, sebbene rimanga l’acqua, che esisteva anche prima che ricevesse<br />

la forma di quel corpo. Perciò non possiamo dire che l’oggetto visibile generi il senso:<br />

genera tuttavia la forma che è come una sua somiglianza e che si produce nel senso<br />

quando, con la vista, percepiamo qualcosa. Ma non è lo stesso senso che ci permette di<br />

distinguere la forma del corpo che vediamo e la forma da essa prodotta nel senso del<br />

soggetto che vede, perché è così intima la loro unione, che non lascia luogo ad alcuna<br />

distinzione. È invece attraverso la ragione che possiamo concludere che la sensazione<br />

sarebbe del tutto impossibile se non si producesse nel nostro senso una certa similitudine<br />

del corpo percepito. Infatti, quando si applica alla cera un sigillo, non si può dire che non<br />

vi si produca alcuna immagine, per il motivo che essa non si può discernere, se non dopo<br />

la separazione. Ma perché la cera, una volta separata dal sigillo, conserva un’impronta<br />

visibile, ci persuadiamo facilmente che esisteva già nella cera l’impronta impressa dal<br />

sigillo, anche prima che esso ne fosse separato. Ma se applichiamo un sigillo ad un<br />

elemento liquido, una volta che lo si è tolto, non vi resta alcuna immagine; nondimeno la<br />

ragione non dovrebbe non comprendere che la forma del sigillo, da esso impressa,<br />

esisteva nel liquido, prima che si togliesse l’anello. Questa forma si deve distinguere da<br />

quella che è nell’anello; essa ne è il prodotto, essa che non esisterà più una volta tolto<br />

l’anello, benché rimanga nell’anello la forma che ha prodotto l’altra. Così del senso della<br />

vista non si può dire che non possiede l’immagine del corpo veduto, fintantoché lo<br />

percepisce, per il fatto che una volta che si toglie il corpo, l’immagine non resta. Con<br />

questo paragone si può, sebbene con molta difficoltà, convincere gli spiriti più tardi che si<br />

forma nel nostro senso un’immagine dell’oggetto visibile, quando lo vediamo, e che<br />

questa forma è la visione.<br />

Il fatto è spiegato con un esempio<br />

2. 4. Ma coloro che, per caso, hanno fatto l’esperienza che ricorderò, non proveranno<br />

tanta fatica in questa ricerca. Molto spesso, quando, per un certo tempo, abbiamo tenuto<br />

gli occhi fissi su qualche luce e poi li chiudiamo, crediamo di vedere passare davanti al<br />

nostro sguardo dei colori brillanti e vari che si succedono gli uni agli altri e che, sempre<br />

meno risplendenti, finiscono con lo scomparire del tutto. Bisogna ben comprendere che<br />

essi sono come tenue vestigio di quella forma impressa nel senso, al momento in cui il<br />

corpo luminoso si offriva alla vista e che a poco a poco, quasi gradualmente, variando,<br />

scompare. Se noi, per caso, contemplavamo le inferriate delle finestre di uno stabile,<br />

esse ci sono apparse spesso con determinati colori; è chiaro che questa affezione si era<br />

impressa nel nostro senso per opera dell’oggetto che contemplavamo. Essa esisteva<br />

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