Sant'Agostino "De Trinitade"
Il De Trinitate (Sulla Trinità) è un trattato in quindici libri di Agostino d'Ippona, considerato il suo capolavoro dogmatico. Infatti l'opera a quel tempo chiuse per sempre tutte le speculazioni e le incertezze che riguardavano la Trinità ovvero Dio stesso.
Il De Trinitate (Sulla Trinità) è un trattato in quindici libri di Agostino d'Ippona, considerato il suo capolavoro dogmatico. Infatti l'opera a quel tempo chiuse per sempre tutte le speculazioni e le incertezze che riguardavano la Trinità ovvero Dio stesso.
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produce nel senso di colui che vede. In tutti questi momenti tuttavia la volontà non<br />
appare che come elemento di unione di due elementi che sono, in qualche modo, in<br />
rapporto di generante e generato, e perciò da qualunque fonte proceda non si può<br />
chiamare né generante né generata.<br />
L’immaginazione<br />
10. 17. Ma se non ci ricordiamo che di ciò che abbiamo percepito, né pensiamo se non<br />
ciò che ricordiamo, perché molto spesso pensiamo cose false, mentre non sono falsi i<br />
nostri ricordi di ciò che abbiamo percepito? Il motivo va ricercato nel fatto che la volontà,<br />
che ha la funzione di unire e separare le realtà di questo genere, come mi sono sforzato<br />
di dimostrare per quanto ho potuto, conduce a suo piacimento lo sguardo di chi pensa,<br />
per informarlo attraverso i ricordi latenti della memoria e, al fine di fargli pensare delle<br />
cose che non sono nella memoria a partire da quelle che vi si trovano, lo spinge a<br />
prendere un elemento di qui, un altro di là. Questi elementi riuniti in una sola visione<br />
costituiscono un tutto che si giudica falso, perché o non esiste al di fuori, nella natura<br />
delle cose corporee, o non è espressione del ricordo latente nella memoria, dato che non<br />
ci ricordiamo di aver percepito qualcosa di simile. Chi infatti ha mai visto un cigno nero?<br />
Dunque non c’è nessuno che ricorda un cigno nero, ma chi non può pensarlo? È facile<br />
infatti rivestire quella figura, che conosciamo per averla vista, di colore nero, che noi<br />
abbiamo ugualmente visto in altri corpi; e, poiché abbiamo visto l’uno e l’altro, dell’uno e<br />
dell’altro abbiamo il ricordo. Non ho il ricordo di un uccello quadrupede, perché non l’ho<br />
mai visto, ma mi è molto facile farmene una rappresentazione immaginaria, quando alla<br />
forma di un volatile, quale l’ho vista, aggiungo altri due piedi, quali ne ho ugualmente<br />
visti 20. Perciò, quando pensiamo unite delle caratteristiche che ricordiamo di aver<br />
percepito separate, ci sembra di non pensare qualcosa che corrisponda al ricordo della<br />
nostra memoria; e tuttavia, facendo questo, agiamo sotto la guida della memoria, dalla<br />
quale attingiamo tutti gli elementi che, ad arbitrio, congiungiamo in maniera molteplice e<br />
varia. Così non pensiamo nemmeno dei corpi con dimensioni che non abbiamo mai visto,<br />
senza l’aiuto della memoria. Infatti quanto grande è lo spazio che può abbracciare lo<br />
sguardo, sviluppandosi nella grandezza dell’universo, altrettanto estendiamo le<br />
dimensioni dei corpi, quando li pensiamo più grandi possibile. La ragione va oltre, ma<br />
l’immaginazione non la segue, come quando la ragione proclama l’infinità del numero che<br />
nessuna visione di chi pensa le cose corporee può attingere. La stessa ragione ci insegna<br />
che sono divisibili all’infinito anche i corpuscoli più piccoli; tuttavia quando giungiamo a<br />
quei corpi così sottili e minuti di cui ci ricordiamo per averli visti, non possiamo<br />
immaginare particelle più piccole e più esigue, sebbene la ragione prosegua la sua opera<br />
di divisione. Così gli oggetti corporei che pensiamo, non possono essere che quelli di cui<br />
ci ricordiamo o quelli formati a partire da questi di cui ci ricordiamo.<br />
Numero, peso e misura<br />
11. 18. Ma poiché possono essere pensati numerose volte dei ricordi che sono impressi<br />
una sola volta nella memoria, sembra che la misura appartenga alla memoria, il numero<br />
invece alla visione. Perché, sebbene la moltitudine di tali visioni sia innumerevole,<br />
ciascuna di esse tuttavia trova nella memoria un limite insuperabile che la misura. La<br />
misura appare dunque nella memoria, nelle visioni il numero; così c’è nei corpi visibili<br />
una certa misura su cui si regola, un gran numero di volte, il senso di coloro che li<br />
vedono, e un solo oggetto informa lo sguardo di molti che lo guardano, cosicché anche<br />
un solo uomo, perché ha due occhi, può vedere molto spesso una duplice immagine di<br />
uno stesso oggetto, come sopra abbiamo mostrato. In questi oggetti dunque che danno<br />
origine alla visione, vi è una specie di misura, invece nelle visioni stesse il numero. A sua<br />
volta la volontà che congiunge, ordina questi elementi e li unisce in una certa unità, e<br />
che, riposandovisi, non fissa il desiderio di percepire e di pensare se non sugli oggetti da<br />
cui prendono forma le visioni, è simile al peso. Perciò anche in tutti gli altri esseri si<br />
incontrano questi tre attributi: misura, numero e peso 21. Per il momento ho dimostrato,<br />
come ho potuto, e con gli argomenti che ho potuto trovare, che la volontà che unisce<br />
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