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Sant'Agostino "De Trinitade"

Il De Trinitate (Sulla Trinità) è un trattato in quindici libri di Agostino d'Ippona, considerato il suo capolavoro dogmatico. Infatti l'opera a quel tempo chiuse per sempre tutte le speculazioni e le incertezze che riguardavano la Trinità ovvero Dio stesso.

Il De Trinitate (Sulla Trinità) è un trattato in quindici libri di Agostino d'Ippona, considerato il suo capolavoro dogmatico. Infatti l'opera a quel tempo chiuse per sempre tutte le speculazioni e le incertezze che riguardavano la Trinità ovvero Dio stesso.

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nell’incertezza, senza dubbio non vive come vuole. Sebbene per il suo coraggio sia pronto<br />

ad affrontare e sopportare serenamente ogni avversità che gli possa accadere, preferisce<br />

non soffrirla e, se può, la evita. È pronto all’una e all’altra eventualità nel senso che, per<br />

quanto dipende da lui, desidera questo, evita quello, ma se gli accade ciò che evita, lo<br />

sopporta di buon grado, perché il suo desiderio non ha potuto realizzarsi 37 . Perciò<br />

sopporta per non lasciarsi opprimere, ma non vorrebbe essere pressato da tali avversità.<br />

In quale senso vive egli dunque come vuole? Forse perché vuole essere forte nel<br />

sopportare ciò che non voleva che gli accadesse? Ma allora vuole ciò che può, perché non<br />

può ciò che vuole. Questa è tutta la beatitudine - non si sa se ridicola, o piuttosto degna<br />

di compassione - dei mortali orgogliosi, che si gloriano di vivere come vogliono, perché<br />

volontariamente sopportano con pazienza i mali che non vogliono che loro accadano. È<br />

questo, si dice, il saggio consiglio di Terenzio:<br />

Poiché non può realizzarsi ciò che vuoi, desidera ciò che puoi 38 .<br />

Espressione bella, chi lo nega? Ma è un consiglio dato ad un infelice, perché non fosse<br />

maggiormente infelice. Però, a chi è beato, come tutti vogliono essere, non è né giusto,<br />

né vero dire: Non può realizzarsi ciò che tu vuoi. Se infatti è felice, tutto ciò che vuole<br />

può realizzarsi, perché non vuole ciò che non può realizzarsi. Ma questa condizione non è<br />

propria di questa vita mortale, essa si realizzerà solo quando si accederà alla vita<br />

caratterizzata dall’immortalità. Se questa fosse del tutto inaccessibile all’uomo, vana<br />

sarebbe pure la ricerca della beatitudine, perché senza immortalità non vi può essere<br />

beatitudine.<br />

Non c’è beatitudine senza immortalità<br />

8. 11. Poiché dunque tutti gli uomini vogliono essere beati 39 , se lo vogliono veramente,<br />

vogliono di certo essere anche immortali; diversamente infatti non possono essere beati.<br />

Finalmente se li si interroga anche circa l’immortalità, come circa la beatitudine,<br />

rispondono tutti che la vogliono. Ma si cerca, anzi ci si foggia, in questa vita una<br />

parvenza di beatitudine, beatitudine più di nome che di fatto, mentre si dispera<br />

dell’immortalità, senza la quale non può esistere vera beatitudine. Vive felice, come<br />

abbiamo detto e fermamente stabilito nelle pagine precedenti, colui che vive bene e non<br />

vuole nulla di male. Ma non è cosa colpevole per nessuno volere l’immortalità, se la<br />

natura umana è capace di riceverla come un dono di Dio; se non ne è capace, non è<br />

nemmeno capace di beatitudine. Infatti, perché l’uomo viva felice, occorre che viva.<br />

Consideriamo un morente: perde la vita, come potrebbe conservare la vita beata?<br />

Quando perde la vita, senza dubbio ciò accade contro il suo volere, o con il suo consenso<br />

o lasciandolo indifferente. Se accade contro il suo volere, come può essere felice questa<br />

vita che egli vuole, ma che non può conservare? Se nessuno è beato quando non ha ciò<br />

che vuole, quanto meno sarà beato colui che si vede privato contro la sua volontà, non<br />

degli onori, non dei beni, non di qualsiasi altra cosa, ma della stessa vita beata, perché<br />

non c’è più vita per lui? Per questo, sebbene non gli resti più alcuna coscienza che lo<br />

renda infelice (la vita beata non scompare se non perché tutta la vita scompare), tuttavia<br />

questo uomo è infelice, fino a quando ha coscienza, perché vede finire, contro la sua<br />

volontà, ciò per cui ama le altre cose e ciò che ama più delle altre cose. Non è dunque<br />

compatibile che la vita sia insieme beata e che la si perda contro la propria volontà,<br />

perché nessuno è felice quando gli accade qualcosa contro la sua volontà; dunque quanto<br />

è più infelice perdendo la vita contro la sua volontà di quello che non sarebbe<br />

sopportando la vita presente contro la sua volontà? Se invece la perde di buon grado,<br />

anche in questo caso come poteva essere felice quella vita di cui, chi la possedeva, ha<br />

voluto l’annientamento? Resta la terza ipotesi: l’uomo sarebbe felice nell’indifferenza,<br />

cioè perderebbe la vita beata quando, per la morte, perdesse totalmente la vita, senza<br />

ripugnarvi e senza desiderarlo, con il cuore preparato ed indifferente a vivere come a<br />

morire. Ma non è nemmeno beata quella vita che non è degna dell’amore di colui che<br />

rende beato. Come è beata la vita che colui che è beato non ama? O come si ama ciò di<br />

cui si accetta con indifferenza il rigoglio o l’annientamento? A meno che, forse, le virtù,<br />

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