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Sant'Agostino "De Trinitade"

Il De Trinitate (Sulla Trinità) è un trattato in quindici libri di Agostino d'Ippona, considerato il suo capolavoro dogmatico. Infatti l'opera a quel tempo chiuse per sempre tutte le speculazioni e le incertezze che riguardavano la Trinità ovvero Dio stesso.

Il De Trinitate (Sulla Trinità) è un trattato in quindici libri di Agostino d'Ippona, considerato il suo capolavoro dogmatico. Infatti l'opera a quel tempo chiuse per sempre tutte le speculazioni e le incertezze che riguardavano la Trinità ovvero Dio stesso.

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L’immagine di Dio va trovata nell’anima immortale dell’uomo, in cui è immortalmente<br />

impressa<br />

4. 6. Non dunque quella trinità, che ora non esiste, sarà immagine di Dio; nemmeno<br />

questa, che un giorno non esisterà più, ma è nell’anima umana, razionale ed intelligente,<br />

che bisogna trovare l’immagine del Creatore, immortalmente incisa nella sua immortalità.<br />

Infatti, come è in un certo senso che si parla di immortalità dell’anima, perché anche<br />

l’anima può morire, quando è priva della vita beata, che si deve chiamare veramente vita<br />

dell’anima, ma si dice immortale perché, qualunque sia la sua vita, fosse pure la più<br />

miserabile, non cessa mai di vivere, così benché la ragione o l’intelligenza sia talvolta in<br />

essa assopita, talvolta appaia grande, talvolta piccola, tuttavia giammai l’anima umana<br />

cessa di essere razionale e intelligente. Perciò se essa è stata fatta ad immagine di Dio 26 ,<br />

nel senso che può far uso della ragione e dell’intelligenza per comprendere e vedere Dio,<br />

è evidente che, dal momento in cui ha incominciato ad esistere una così grande e<br />

meravigliosa natura, sia che questa immagine sia talmente logorata da non esistere quasi<br />

più, sia che sia ottenebrata e sfigurata, sia che sia chiara e bella, non cessa di essere.<br />

Finalmente è compassionando la deformazione della sua dignità che la Scrittura dice:<br />

Benché l’uomo cammini nell’immagine, tuttavia si agita invano; egli accumula senza<br />

sapere per chi raccoglie 27 . La Scrittura non attribuirebbe così la vanità all’immagine di<br />

Dio, se non vedesse che ha perduto la sua forma. Questa deformazione tuttavia non<br />

giunge al punto da far scomparire l’immagine, come lo mostra sufficientemente la<br />

Scrittura dicendo: Benché l’uomo cammini nell’immagine 28 . Per questo si può, senza<br />

falsarne il senso, enunciare questa frase invertendo le proposizioni; invece di dire:<br />

Sebbene l’uomo cammini nell’immagine, tuttavia si agita invano, si può dire: "Benché<br />

l’uomo si inquieti invano, tuttavia cammina nell’immagine". Infatti, sebbene la sua natura<br />

sia grande, tuttavia ha potuto essere viziata, perché non è la natura suprema e, benché<br />

abbia potuto essere viziata, in quanto non è la natura suprema, tuttavia in quanto è<br />

capace e può essere partecipe della natura suprema, è una natura grande. Cerchiamo<br />

dunque in questa immagine di Dio una specie di trinità nel suo genere con l’aiuto di Colui<br />

che ci ha fatti a sua immagine 29 . Perché non possiamo in un modo diverso proseguire<br />

questa ricerca in maniera salutare, né scoprire qualche verità in conformità alla sapienza<br />

che deriva da lui. Ma se il lettore conserva nella sua memoria e ricorda ciò che abbiamo<br />

detto dell’anima umana e dello spirito nei libri precedenti, soprattutto nel libro X, o se<br />

rileggerà con diligenza i passi in cui queste riflessioni sono state espresse, non desidererà<br />

qui un discorso troppo prolisso su un argomento tanto importante.<br />

4. 7. Abbiamo dunque detto, tra le altre cose, nel libro X, che lo spirito dell’uomo conosce<br />

se stesso 30 . Infatti non c’è nulla che lo spirito conosca altrettanto bene come ciò che gli è<br />

presente e nulla è più presente allo spirito che lo spirito a se stesso. Abbiamo portato<br />

altri argomenti, per quanto ci sembrava necessario, per stabilire questa verità con la più<br />

grande certezza.<br />

Lo spirito del fanciullo ha coscienza di sé?<br />

5. Che si deve dunque dire dello spirito del bambino, ancora così piccolo e ancora<br />

immerso in una così grande ignoranza delle cose, che lo spirito dell’uomo, che possiede<br />

qualche conoscenza, freme di fronte alle tenebre di questo spirito? Bisogna credere che<br />

anch’esso conosce se stesso ma che, troppo attento agli oggetti delle sensazioni corporee<br />

che incomincia a sentire con un piacere tanto più grande, quanto è più nuovo, se non può<br />

ignorare se stesso, non può tuttavia pensare se stesso? Con quanta avidità esso si porti<br />

verso gli oggetti sensibili che sono all’esterno, si può congetturare anche da questo solo<br />

fatto: esso desidera così vivamente di captare la luce che, se qualcuno per poca cautela,<br />

o ignorando ciò che a causa di questo possa accadere, ponga di notte una luce sulla culla<br />

ove giace un bambino, in un posto verso cui il bambino, dalla sua culla, possa volgere gli<br />

occhi senza poter piegare il collo, il bambino non ne staccherà lo sguardo, e ne abbiamo<br />

conosciuti alcuni che in questo modo sono diventati strabici, conservando i loro occhi<br />

quella conformazione che l’abitudine ha in qualche modo fissato in essi, quand’erano<br />

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