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Sant'Agostino "De Trinitade"

Il De Trinitate (Sulla Trinità) è un trattato in quindici libri di Agostino d'Ippona, considerato il suo capolavoro dogmatico. Infatti l'opera a quel tempo chiuse per sempre tutte le speculazioni e le incertezze che riguardavano la Trinità ovvero Dio stesso.

Il De Trinitate (Sulla Trinità) è un trattato in quindici libri di Agostino d'Ippona, considerato il suo capolavoro dogmatico. Infatti l'opera a quel tempo chiuse per sempre tutte le speculazioni e le incertezze che riguardavano la Trinità ovvero Dio stesso.

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immagini all’interno, tuttavia si rappresenta delle cose esteriori. Nessuno infatti potrebbe<br />

far uso, anche onestamente, di questi beni, se la memoria non conservasse le immagini<br />

degli oggetti percepiti; e se la parte più nobile della volontà non abita in una regione più<br />

alta e più interiore e, se quella stessa parte della volontà che è in contatto, all’esterno,<br />

con i corpi, o all’interno, con le loro immagini, non mette in rapporto tutto ciò che in essi<br />

si trova ad una vita migliore e più vera, e non si riposa in quel fine intuendo il quale<br />

giudica come vadano compiute queste cose, che altro facciamo noi se non ciò che ci<br />

proibisce di fare l’Apostolo, che dice: Non vogliate conformarvi a questo secolo 8?<br />

Pertanto non è questa trinità l’immagine di Dio 9, perché si produce nell’anima attraverso<br />

il senso del corpo, avendo cioè origine dalla creatura più imperfetta, la creatura corporea,<br />

alla quale l’anima è superiore. Ma tuttavia la dissomiglianza non è assoluta: che cosa c’è<br />

infatti che, secondo il suo genere e la sua natura, non abbia una rassomiglianza con Dio,<br />

se Dio ha fatto ogni cosa molto buona 10, precisamente perché Egli è bontà somma?<br />

Dunque, in quanto ogni essere è buono, possiede, sebbene molto imperfetta, una certa<br />

rassomiglianza con il sommo Bene; e, se è naturale, essa è retta e ordinata; se invece<br />

viziosa, essa è turpe e perversa. Infatti, perfino nei loro peccati, le anime, con una libertà<br />

orgogliosa, pervertita e, per così dire, servile, non cercano altro che una certa<br />

rassomiglianza con Dio 11. Così nemmeno i nostri primi genitori avrebbero potuto<br />

consentire al peccato se non fosse stato loro detto: Sarete come dèi 12. Certamente non<br />

tutto ciò che nelle creature è, in qualche modo, simile a Dio, si ha da chiamare anche<br />

immagine di Lui; ma quella sola alla quale Egli solo è superiore. Perché l’immagine che è<br />

espressione diretta di Lui è quella tra la quale e Lui stesso non si interpone alcuna<br />

creatura.<br />

Le relazioni fra i tre elementi della prima trinità<br />

5. 9. Di quella visione dunque - cioè di quella forma che si produce nel senso del soggetto<br />

che vede - è, in qualche modo, come genitrice la forma del corpo da cui ha origine. Ma<br />

questa non è tuttavia la sua vera genitrice e perciò nemmeno quella è la vera sua prole,<br />

infatti non è totalmente generata da essa, perché concorre qualcosa d’altro, oltre<br />

all’oggetto, perché la visione si formi da esso, e cioè il senso del soggetto che vede. Ecco<br />

perché amare l’oggetto è follia 13. La volontà che unisce l’uno all’altro, come il generante<br />

al generato, è dunque più spirituale di ciascuno di essi. Infatti il corpo percepito non è<br />

affatto spirituale. La visione invece, prodotta dal senso, possiede in sé un elemento<br />

spirituale, perché senza l’anima non potrebbe aver luogo. Ma essa non è totalmente<br />

spirituale, perché, ciò che è informato, è il senso corporeo. La volontà che unisce l’uno<br />

all’altro è dunque manifestamente, come ho detto, più spirituale, e perciò essa è, in<br />

questa trinità, come il primo annuncio della persona dello Spirito. Ma essa è più prossima<br />

al senso informato che al corpo che informa. Infatti il senso appartiene all’essere animato<br />

(animantis) e la volontà appartiene all’anima (animae), non alle pietre o a qualche altro<br />

corpo percepito. Dunque non procede da quello che in qualche modo si può considerare<br />

come padre, ma nemmeno da questa, che si può considerare in qualche modo come<br />

prole, intendo dalla visione o forma che si trova nel senso. Infatti, prima che la visione si<br />

producesse, la volontà esisteva già, essa che applica il senso, perché ne sia informato, al<br />

corpo da percepire: ma non c’era ancora la compiacenza. Come avrebbe potuto infatti<br />

essere oggetto di compiacenza, ciò che ancora non era stato visto? La compiacenza è la<br />

volontà in riposo. Perciò non possiamo affermare né che la volontà è in qualche modo la<br />

prole della visione, perché esisteva già prima della visione, né che essa ne è in qualche<br />

modo la genitrice, perché la visione non dalla volontà ma dal corpo percepito trae la sua<br />

forma ed espressione.<br />

Il fine vero della volontà<br />

6. 10. Forse possiamo dire a ragione che, almeno in questo caso preciso, la visione è il<br />

fine e il riposo della volontà. Infatti non perché vede ciò che voleva vedere, ne consegue<br />

che non voglia null’altro. Non è dunque nel modo più assoluto la volontà umana, che non<br />

ha per fine se non la beatitudine 14, ma, in questo caso preciso, è la volontà divenuta<br />

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