Sant'Agostino "De Trinitade"
Il De Trinitate (Sulla Trinità) è un trattato in quindici libri di Agostino d'Ippona, considerato il suo capolavoro dogmatico. Infatti l'opera a quel tempo chiuse per sempre tutte le speculazioni e le incertezze che riguardavano la Trinità ovvero Dio stesso.
Il De Trinitate (Sulla Trinità) è un trattato in quindici libri di Agostino d'Ippona, considerato il suo capolavoro dogmatico. Infatti l'opera a quel tempo chiuse per sempre tutte le speculazioni e le incertezze che riguardavano la Trinità ovvero Dio stesso.
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volontà. Non sarebbe prenderlo in giro rispondere: "Ti inganni" a qualcuno che dicesse:<br />
"Voglio essere felice"? E se egli dice: "So che voglio questo e so di saper questo", può<br />
aggiungere una terza certezza alle due prime, cioè che egli sa queste due verità e poi<br />
una quarta: che sa di sapere queste due verità e così continuare all’infinito. Così se<br />
qualcuno dice: "Non voglio sbagliare", non sarà forse vero che, sia che sbagli, sia che non<br />
sbagli, in ogni caso è vero che non vuole sbagliare? Chi avrà l’impudenza di dirgli: "Forse<br />
ti inganni"? perché è fuori dubbio che, sebbene si inganni su tutte le altre cose, non si<br />
inganna su questa: che non vuole ingannarsi. E se dice che sa questa verità, aumenta il<br />
numero delle sue conoscenze, quanto vuole, sino ad ottenere un numero infinito. Infatti<br />
colui che dice: "Non voglio ingannarmi e so che non lo voglio e so di sapere questo" può<br />
già, sebbene sia difficile esprimerlo, mostrare che vi è là la fonte di un numero infinito.<br />
Esistono altri esempi che hanno grande forza contro gli Accademici, che pretendono che<br />
l’uomo non possa sapere nulla. Ma bisogna usare moderazione, tanto più che questo non<br />
costituisce l’oggetto dell’indagine del presente lavoro. Abbiamo scritto tre libri su questo<br />
argomento subito dopo la nostra conversazione. Chi potrà e vorrà leggerli e, avendoli<br />
letti, li avrà compresi, non si lascerà scuotere certamente da alcuno dei numerosi<br />
argomenti che essi hanno escogitato contro la possibilità di attingere la verità. Ci sono<br />
infatti due specie di conoscenze: quelle che l’anima percepisce per mezzo dei sensi del<br />
corpo e quelle che essa percepisce da sé: quei filosofi hanno detto molte chiacchiere<br />
contro il valore della conoscenza dei sensi, ma alcune conoscenze di cose vere che<br />
l’anima percepisce da sé con la più grande certezza (come è quella per cui afferma: "So<br />
di vivere" e di cui ho parlato) non hanno potuto in alcun modo revocarle in dubbio. Ma sia<br />
lungi da noi il dubitare della verità delle cose che si attingono per mezzo dei sensi del<br />
corpo; è per mezzo di essi che abbiamo conosciuto il cielo e la terra e quelle cose che<br />
essi contengono e che ci sono note nella misura in cui il nostro ed il loro Creatore ha<br />
voluto farcele conoscere. Sia pure lungi da noi il negare la scienza che abbiamo appreso<br />
per testimonianza degli altri, altrimenti noi non sappiamo che c’è un Oceano, non<br />
sappiamo che ci sono dei territori e delle città che la loro rinomanza ha reso molto<br />
celebri, non sappiamo che sono esistiti degli uomini e le loro opere che la lettura degli<br />
storici ci fa conoscere; non sappiamo le notizie che ogni giorno ci pervengono da tutte le<br />
parti e sono confermate da prove concordanti e costanti; infine non sappiamo dove e da<br />
chi siamo nati, perché noi accettiamo tutte queste conoscenze basandoci sulle<br />
testimonianze degli altri. Se è dunque il colmo dell’assurdità affermare questo, dobbiamo<br />
confessare che non solo i nostri sensi corporei, ma anche quelli degli altri hanno<br />
arricchito il nostro sapere di numerose conoscenze.<br />
Differenze tra la nostra scienza e quella divina, tra il nostro verbo e il Verbo divino<br />
12. 22. Dunque tutte queste conoscenze che l’anima umana acquisisce da sé, e per<br />
mezzo dei sensi del corpo e per testimonianza degli altri, le tiene riposte nel tesoro della<br />
sua memoria; sono esse che generano un verbo vero, quando diciamo ciò che sappiamo,<br />
verbo che precede ogni parola che risuona e ogni pensiero della parola che risuona.<br />
Allora infatti il verbo è perfettamente simile alla cosa conosciuta da cui nasce e di cui è<br />
immagine, perché dalla visione della scienza procede la visione del pensiero, che è un<br />
verbo non appartenente a nessuna lingua, verbo vero da una cosa vera, che non<br />
possiede niente di proprio ma riceve tutto da quella scienza da cui ha origine. Poco<br />
importa il momento in cui colui che dice ciò che sa lo ha appreso; a volte, appena lo<br />
apprende, lo dice; l’importante è che il verbo sia vero, cioè che abbia tratto la sua origine<br />
da cose conosciute.<br />
13. Ma sarà forse che Dio Padre, dal quale è nato il Verbo, Dio da Dio; forse che dunque<br />
Dio Padre, in quella sapienza che è lui stesso per se stesso, ha acquisito alcune<br />
conoscenze per mezzo dei sensi del suo corpo, altre da sé? Chi potrebbe dir questo, se<br />
pensa Dio non come un animale ragionevole, ma come superiore all’anima razionale 148 ,<br />
per quanto almeno Dio può essere pensato dagli uomini che lo pongono al di sopra di<br />
tutti gli animali e di tutte le anime, benché lo vedano solo attraverso uno specchio e in<br />
enigma 149 , per congettura, non ancora a faccia a faccia, come egli è 150 ? Forse che Dio<br />
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