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Sant'Agostino "De Trinitade"

Il De Trinitate (Sulla Trinità) è un trattato in quindici libri di Agostino d'Ippona, considerato il suo capolavoro dogmatico. Infatti l'opera a quel tempo chiuse per sempre tutte le speculazioni e le incertezze che riguardavano la Trinità ovvero Dio stesso.

Il De Trinitate (Sulla Trinità) è un trattato in quindici libri di Agostino d'Ippona, considerato il suo capolavoro dogmatico. Infatti l'opera a quel tempo chiuse per sempre tutte le speculazioni e le incertezze che riguardavano la Trinità ovvero Dio stesso.

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Soluzione del problema: il Figlio è sapienza da sapienza come luce da luce<br />

1. 2. Questa discussione è nata dall’affermazione della Scrittura: Cristo è la forza di Dio e<br />

la sapienza di Dio 7. Il nostro modo di esprimerci è per questo fatto come chiuso nella<br />

morsa di precise alternative, quando intendiamo esprimere l’ineffabile: o negare che<br />

Cristo sia la forza di Dio e la sapienza di Dio, e così metterci in opposizione con<br />

l’affermazione dell’Apostolo, ciò che costituisce un’impudenza e un’empietà; oppure<br />

ammettere che Cristo è la forza di Dio e la sapienza di Dio, ma senza affermare che il<br />

Padre sia padre della sua forza e della sua sapienza, cosa non meno empia, perché allora<br />

egli non sarebbe padre nemmeno di Cristo, poiché Cristo è la forza di Dio e la sapienza di<br />

Dio; o riconoscere che il Padre non è potente per la sua forza, né sapiente per la sua<br />

sapienza (ma chi oserà dirlo?); ovvero pensare che nel Padre essere ed essere sapiente<br />

siano cose diverse in modo che sia diverso ciò per cui egli è e ciò per cui è sapiente,<br />

come si pensa comunemente dell’anima che è talvolta insensata, altra volta sapiente alla<br />

maniera di una sostanza mutevole e non sommamente e perfettamente semplice; oppure<br />

ammettere che il Padre non è una realtà assoluta e che non solo in quanto è Padre, ma in<br />

quanto semplicemente esiste è relativo al Figlio. Come allora il Figlio è della stessa<br />

essenza del Padre, se questi in senso assoluto non è essenza, né in sé esiste in alcun<br />

modo, essendo per lui l’esistenza stessa relativa al Figlio? Al contrario, invece: il Figlio è<br />

tanto più di una medesima essenza con il Padre, perché il Padre e il Figlio sono una sola e<br />

medesima essenza. Il Padre non esiste in senso assoluto, ma relativamente al Figlio<br />

come essenza che egli ha generato e per la quale egli è tutto ciò che è. Nessuno dei due,<br />

dunque, è per se stesso e ciascuno dei due si dice relativamente all’altro, oppure solo per<br />

il Padre è vero che non soltanto la sua paternità, ma semplicemente tutto ciò che si<br />

predica di lui, gli si attribuisce relativamente al Figlio, mentre questi avrebbe anche<br />

attributi assoluti? Se fosse così, quali gli attributi assoluti? Forse la stessa essenza? Ma il<br />

Figlio è l’essenza del Padre, come egli è la forza e la sapienza del Padre, come è il Verbo<br />

e l’Immagine del Padre 8. Se, al contrario, il Figlio è detto essenza in senso assoluto,<br />

allora il Padre non è l’essenza, ma il genitore dell’essenza ed egli non esiste di per se<br />

stesso, ma per quella stessa essenza che ha generato, alla stessa maniera che è grande<br />

per quella stessa grandezza che ha generato. Allora però il Figlio sarebbe chiamato in<br />

senso assoluto anche grandezza, e dunque forza, sapienza, Verbo ed Immagine. Ma che<br />

cosa vi è di più assurdo che parlare di una immagine assoluta? Se Immagine e Verbo non<br />

sono la stessa cosa che forza e sapienza, perché i primi due termini hanno un significato<br />

relativo, i secondi due assoluto, senza rapporto ad un’altra cosa, il Padre non inizia ad<br />

essere sapiente per la sapienza che ha generato, perché non si può affermare che il<br />

Padre dica relazione alla sapienza, mentre questa non direbbe relazione a lui. Infatti tutti<br />

i termini correlativi si predicano scambievolmente. Non resta altra alternativa che anche<br />

per la sua essenza il Figlio si dica relativamente al Padre e si giunge così a questo senso<br />

del tutto inaspettato che l’essenza non è essenza o, almeno, che quando si parla di<br />

essenza è la relazione e non l’essenza che si designa. Come quando, per esempio, si dice<br />

"padrone" non si indica l’essenza, ma la relazione in rapporto allo "schiavo"; al contrario<br />

quando si dice "uomo", o qualcosa di simile, il cui significato è assoluto, non relativo,<br />

allora si designa l’essenza. Quando perciò un uomo si dice "padrone", essenza è l’uomo<br />

stesso, padrone s’intende quindi relativamente: uomo infatti ha senso assoluto, padrone<br />

senso relativo allo schiavo. Ora, per tornare al nostro problema, se l’essenza stessa si<br />

prende in un senso relativo, la stessa essenza non è più essenza. Inoltre ogni essenza<br />

designata in senso relativo è pure qualcosa indipendentemente dalla relazione. Per<br />

esempio, nelle espressioni "uomo padrone", "uomo schiavo", "cavallo da tiro", "moneta<br />

caparra": "uomo", "cavallo", "moneta" sono termini assoluti, sono sostanze od essenze;<br />

invece "padrone", "schiavo", "da tiro", "caparra" sono termini che hanno un senso<br />

relativo. Ma se non ci fosse l’uomo, cioè una sostanza, non ci sarebbe alcuno che potesse<br />

venir chiamato "padrone" in senso relativo; se il cavallo non fosse un’essenza, non vi<br />

sarebbe nulla che si possa chiamare "da tiro" in senso relativo; così pure se la moneta<br />

non fosse una sostanza non potrebbe chiamarsi nemmeno "caparra" in senso relativo.<br />

Perciò anche il Padre, se non è nulla di assoluto, non può essere nemmeno alcunché di<br />

relativo 9. Non succede qui come per il colore che è relativo all’oggetto colorato. Non<br />

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