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Sant'Agostino "De Trinitade"

Il De Trinitate (Sulla Trinità) è un trattato in quindici libri di Agostino d'Ippona, considerato il suo capolavoro dogmatico. Infatti l'opera a quel tempo chiuse per sempre tutte le speculazioni e le incertezze che riguardavano la Trinità ovvero Dio stesso.

Il De Trinitate (Sulla Trinità) è un trattato in quindici libri di Agostino d'Ippona, considerato il suo capolavoro dogmatico. Infatti l'opera a quel tempo chiuse per sempre tutte le speculazioni e le incertezze che riguardavano la Trinità ovvero Dio stesso.

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solo prima che fosse mandato come fatto ma prima dell’esistenza di tutte le cose, noi<br />

ammettiamo l’uguaglianza fra chi lo inviò e lui stesso del quale dichiariamo l’inferiorità in<br />

quanto mandato. Come mai allora prima di questa pienezza dei tempi, quando conveniva<br />

che fosse mandato, prima della sua missione, ha potuto mostrarsi ai Patriarchi in alcune<br />

visioni angeliche di cui essi erano favoriti 143 , se nemmeno quando fu mandato poté<br />

essere visto nella sua uguaglianza con il Padre? Per quale motivo infatti dice a Filippo che<br />

lo vedeva di certo nella sua carne (come del resto gli altri, inclusi quelli stessi che lo<br />

crocifissero): Da così tanto tempo sono con voi e non mi conoscete ancora? Filippo, chi<br />

ha visto me ha visto il Padre 144 , se non perché lo si vedeva e non lo si vedeva? Era<br />

visibile in quanto come mandato era stato fatto, invisibile in quanto Creatore che tutto<br />

aveva fatto. E perché disse anche: Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, egli mi<br />

ama; e chi ama me, sarà amato dal Padre. Ed io lo amerò e manifesterò me stesso a lui<br />

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, mentre era manifesto agli occhi degli uomini, se non intendeva porgere come oggetto<br />

alla nostra fede la carne assunta dal Verbo nella pienezza dei tempi e riservare il Verbo<br />

stesso, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose, come oggetto di<br />

contemplazione nell’eternità al nostro spirito, dopo che sarà stato purificato dalla fede?<br />

Il Figlio consustanziale al Padre e mandato da lui<br />

20. 27. Se dunque il Figlio si dice mandato dal Padre perché questi è Padre e quello è<br />

Figlio, niente ci impedisce di credere che il Figlio sia uguale e consustanziale al Padre e<br />

che tuttavia il Figlio sia stato mandato dal Padre. Non perché l’uno sia superiore e l’altro<br />

inferiore, ma perché l’uno è Padre e l’altro è Figlio, l’uno genitore e l’altro generato, l’uno<br />

dal quale è colui che viene mandato, l’altro che è da colui che manda. Infatti è il Figlio<br />

che ha origine dal Padre, non il Padre dal Figlio. Conseguentemente possiamo capire che<br />

la missione del Figlio non si identifica semplicemente con l’incarnazione del Verbo 146 , ma<br />

è il principio che ha determinato l’incarnazione del Verbo e il compimento da parte di lui,<br />

personalmente presente, degli eventi che sono stati registrati. In altre parole la missione<br />

non è solo dell’uomo assunto dal Verbo, ma altresì del Verbo che è stato mandato a farsi<br />

uomo. Perché la sua missione non presuppone una differenza di potere o di sostanza o di<br />

altro nei riguardi del Padre ma presuppone l’origine del Figlio dal Padre, non del Padre dal<br />

Figlio. Infatti il Verbo è il Figlio del Padre ed è detto anche Sapienza del Padre. Che<br />

meraviglia dunque se il Figlio è mandato non perché è ineguale al Padre ma perché è una<br />

emanazione pura della luce di Dio onnipotente 147 ? Qui ciò che emana e ciò da cui emana<br />

sono di una sola ed identica sostanza. Non è un’emanazione come quella dell’acqua che<br />

scaturisce dalle aperture naturali della terra o della roccia, ma come quella della luce<br />

dalla luce. Quando si dice: Splendore della luce eterna 148 , che altro si intende significare<br />

se non che è luce della luce eterna? Lo splendore della luce che altro è se non luce? È di<br />

conseguenza coeterno alla luce dalla quale è luce. Tuttavia la Scrittura ha preferito<br />

l’espressione: Splendore della luce all’altra: "Luce della luce", affinché nessuno credesse<br />

più oscura la luce che emana di quella da cui emana. Invece sentendola chiamare suo<br />

splendore è più facile pensare che l’una deve all’altra il suo chiarore, piuttosto che<br />

credere che questa brilla meno dell’altra. Ma poiché non v’era da temere che qualcuno<br />

ritenesse inferiore la luce generatrice (nessun eretico ha mai osato affermare questo né è<br />

da credere che qualcuno oserà farlo), la Scrittura previene l’idea che la luce emanata sia<br />

più oscura della luce generatrice; ha eliminato tale congettura dicendo: è lo splendore di<br />

essa, cioè della luce eterna, e così dimostra la sua uguaglianza. Infatti, inferiore, ne<br />

sarebbe l’ombra, non lo splendore; se fosse invece maggiore, non ne emanerebbe perché<br />

non potrebbe superare la luce dalla quale è generata. Dunque, poiché da essa emana,<br />

non le è superiore, ma poiché non ne è l’ombra, ma lo splendore, non le è inferiore:<br />

perciò è uguale. Né deve metterci in imbarazzo l’espressione: una emanazione pura della<br />

luce di Dio onnipotente, come se essa non fosse onnipotente, ma emanazione<br />

dell’Onnipotente. Infatti il testo aggiunge subito: Essendo unica essa può tutto 149 . Ora chi<br />

è onnipotente, se non Colui che può tutto? Essa è dunque mandata da Colui dalla quale<br />

emana. Sotto questa forma infatti anche la implora colui che l’amava e la desiderava:<br />

Mandala, dice, dai santi cieli, mandala dal trono della tua gloria, perché mi assista e<br />

condivida le mie fatiche 150 . Cioè: mi insegni a lavorare per evitarmi le pene del lavoro,<br />

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