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Sant'Agostino "De Trinitade"

Il De Trinitate (Sulla Trinità) è un trattato in quindici libri di Agostino d'Ippona, considerato il suo capolavoro dogmatico. Infatti l'opera a quel tempo chiuse per sempre tutte le speculazioni e le incertezze che riguardavano la Trinità ovvero Dio stesso.

Il De Trinitate (Sulla Trinità) è un trattato in quindici libri di Agostino d'Ippona, considerato il suo capolavoro dogmatico. Infatti l'opera a quel tempo chiuse per sempre tutte le speculazioni e le incertezze che riguardavano la Trinità ovvero Dio stesso.

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incapaci di irrobustire le ali della virtù per volare, hanno come effetto di aumentare, per<br />

sommergere, il peso dei vizi dell’anima, che si inabissa tanto più in basso, quanto più in<br />

alto crede di essere giunta. Perciò come fecero i Magi, divinamente istruiti, che una stella<br />

condusse ad adorare l’umiltà del Signore, così anche noi dobbiamo ritornare alla patria<br />

non per dove siamo venuti ma per un’altra strada 103 , quella che ci ha insegnato il re<br />

umile e che il re superbo, nemico del re umile, non può intercettare. Anche a noi infatti,<br />

per farci adorare il Cristo umile, i cieli hanno narrato la gloria di Dio, diffondendosi la loro<br />

voce per tutta la terra e le loro parole fino ai confini del mondo 104 . In Adamo il peccato ci<br />

ha aperto un cammino di morte: Per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel<br />

mondo e a causa del peccato la morte, e così passò in tutti gli uomini, nel quale tutti<br />

hanno peccato 105 . Il mediatore di questa via è stato il diavolo che ci ha spinto al peccato<br />

e precipitato nella morte 106 . Certo egli per perpetrare la nostra duplice morte ha avuto<br />

soltanto bisogno della sua unica morte. Egli morì a causa dell’empietà nello spirito ma<br />

non morì nel corpo; però ha spinto noi all’empietà e a causa di essa ha fatto sì che<br />

meritassimo di giungere alla morte del corpo. Una cosa abbiamo dunque desiderato per<br />

questa cattiva suggestione, l’altra ci ha perseguito per giusta condanna; ecco perché è<br />

stato scritto: Dio non ha fatto la morte 107 , perché egli non fu causa della morte e tuttavia<br />

è per suo castigo che il peccatore fu condannato ad una morte legittima. Nello stesso<br />

modo il giudice condanna il reo al supplizio, tuttavia causa del supplizio non è la giustizia<br />

del giudice ma il merito del crimine. Dove dunque il mediatore della morte del corpo ci ha<br />

condotto e dove egli non è arrivato, cioè proprio alla morte del corpo, il Signore Dio<br />

nostro ha posto la medicina della nostra guarigione, che non fu concessa al diavolo per<br />

occulta e assolutamente impenetrabile disposizione dell’alta giustizia divina. Come la<br />

morte venne da un solo uomo, così pure da un solo uomo doveva venire la risurrezione<br />

dei morti 108 . Poiché gli uomini si affannavano ad evitare ciò che non potevano evitare, la<br />

morte del corpo più che la morte dello spirito, ossia il castigo più che la causa del castigo<br />

(perché di non peccare non ci si preoccupa affatto o ci si preoccupa poco; di non morire<br />

invece, sebbene sia una cosa irrealizzabile, ci si preoccupa disperatamente) il Mediatore<br />

della vita, insegnandoci a non temere la morte, inevitabile nell’attuale condizione umana,<br />

ma piuttosto l’empietà da cui ci si può guardare con la fede, ci è venuto incontro verso il<br />

fine cui tendiamo, ma non per la strada per cui camminavamo. Noi infatti siamo giunti<br />

alla morte per il peccato, lui per la giustizia. Perciò mentre la nostra morte è pena del<br />

peccato, la sua morte diviene ostia per il peccato 109 .<br />

Cristo morì perché lo volle<br />

13. 16. Per questo motivo, se l’anima si ha da anteporre al corpo, se la morte dell’anima<br />

consiste nell’essere abbandonata da Dio mentre la morte del corpo consiste nell’essere<br />

abbandonato dall’anima, e se infine nella morte del corpo la pena consiste nel fatto che lo<br />

spirito lasci forzatamente il corpo in quanto ha lasciato volontariamente Dio, sicché,<br />

avendo abbandonato Dio per sua volontà abbandoni il corpo anche contro la sua volontà<br />

e per propria volontà non possa abbandonarlo se non facendo violenza a se stesso con il<br />

suicidio, l’anima del Mediatore ha provato che non era la pena del peccato che lo<br />

conduceva alla morte del corpo, perché egli non lo ha abbandonato contro la sua volontà<br />

ma perché lo ha voluto, quando lo ha voluto, come lo ha voluto. Essendo composto in<br />

unità con il Verbo di Dio, ha potuto dire: Ho il potere di lasciare la mia vita e di<br />

riprenderla. Nessuno me la toglie ma sono io che la lascio e la riprendo 110 . E di questo<br />

rimasero sommamente stupiti, come narra il Vangelo, coloro che erano presenti quando,<br />

subito dopo quel grido (che è figura del nostro peccato), spirò 111 . Infatti coloro che<br />

venivano crocifissi, morivano dopo una lunga agonia, come testimoniano i due ladroni ai<br />

quali furono rotte le gambe per affrettarne la morte e poterli deporre dalla croce prima<br />

del sabato. Quanto a Cristo, parve straordinario trovarlo già morto 112 . Anche Pilato,<br />

secondo il testo, ne fu meravigliato, quando gli fu chiesto il corpo del Signore per<br />

seppellirlo 113 .<br />

Vittoria di Cristo sul diavolo<br />

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