Sant'Agostino "De Trinitade"
Il De Trinitate (Sulla Trinità) è un trattato in quindici libri di Agostino d'Ippona, considerato il suo capolavoro dogmatico. Infatti l'opera a quel tempo chiuse per sempre tutte le speculazioni e le incertezze che riguardavano la Trinità ovvero Dio stesso.
Il De Trinitate (Sulla Trinità) è un trattato in quindici libri di Agostino d'Ippona, considerato il suo capolavoro dogmatico. Infatti l'opera a quel tempo chiuse per sempre tutte le speculazioni e le incertezze che riguardavano la Trinità ovvero Dio stesso.
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memoria: tuttavia tutte quelle visioni di coloro che pensano hanno certo come punto di<br />
partenza queste cose che sono presenti nella memoria, ma si moltiplicano e si<br />
diversificano in maniera innumerevole e veramente infinita. Io ricordo un sole solo,<br />
perché non ne ho visto che uno, come è in realtà, ma, se lo voglio, ne immagino due, o<br />
tre, o quanti ne voglio, ma il mio sguardo che ne pensa molti è informato ad opera della<br />
stessa memoria che me ne fa ricordare uno solo. Le dimensioni del sole che ricordo, sono<br />
identiche a quelle di quel sole che ho visto. Perché se me lo ricordo maggiore o minore di<br />
quello che ho visto, non mi ricordo più ciò che ho visto, e dunque non me ne ricordo. Ma<br />
poiché me ne ricordo, lo ricordo con le dimensioni identiche alle dimensioni di quello che<br />
ho visto, ma posso a mio piacimento rappresentarmelo sia maggiore che minore. Ed<br />
ancora, lo ricordo come l’ho visto, ma me lo rappresento in movimento come mi piace,<br />
immobile dove mi piace, veniente dal luogo che voglio, dirigentesi verso il luogo che<br />
voglio. Rappresentarmelo anche quadrato è in mio potere, sebbene lo ricordi rotondo e<br />
posso rappresentarmelo con qualsiasi colore, benché non abbia mai visto un sole verde, e<br />
perciò non me lo possa ricordare così. Ciò che vale per il sole, si può affermare per le<br />
altre cose. Ora, poiché queste forme delle cose sono corporee e sensibili, l’anima erra<br />
quando ritiene che esse esistano esteriormente nella stessa maniera in cui essa se le<br />
rappresenta interiormente, sia quando sono scomparse all’esterno, e sono ancora<br />
conservate nella memoria, sia anche quando ce ne formiamo un’immagine diversa da<br />
quella che ricordiamo, basandoci non sulla fedeltà del ricordo ma sul gioco della<br />
rappresentazione.<br />
8. 14. Si potrebbe obiettare che molto spesso crediamo a coloro che ci narrano delle cose<br />
vere, che essi stessi hanno percepito con i loro sensi. Poiché il semplice udire la<br />
narrazione di queste cose provoca in noi la rappresentazione, non sembra che lo sguardo<br />
dell’anima faccia ritorno sulla memoria per produrre le visioni della rappresentazione.<br />
Non è infatti secondo i nostri ricordi che le pensiamo, ma secondo la narrazione di un<br />
altro; allora sembra che qui non si realizzi quella trinità di elementi, che esiste quando la<br />
forma latente nella memoria e la visione di colui che ricorda sono uniti da un terzo<br />
elemento: la volontà. Infatti non ciò che era latente nella mia memoria, ma ciò che odo,<br />
penso, quando mi si narra qualcosa. Non parlo qui delle parole che sento pronunciare,<br />
perché qualcuno non creda che io sia uscito dal mio argomento per alludere alla trinità<br />
che si realizza esteriormente nelle cose sensibili e nei sensi; no, ciò a cui penso sono le<br />
immagini corporee che colui che narra suggerisce con le sue parole, con i suoni;<br />
immagini che penso, evidentemente, non basandomi sui miei ricordi, ma su ciò che odo<br />
raccontare. Tuttavia, nemmeno in questo caso, se si considera la cosa con maggior<br />
diligenza, si superano i limiti della memoria. Infatti non potrei nemmeno comprendere<br />
colui che narra, se le cose di cui parla, supponendo anche che le udissi per la prima volta<br />
unite in una stessa narrazione, non rispondessero tuttavia, prese singolarmente, ad un<br />
ricordo generico. Colui che, per esempio, mi parla nella sua narrazione di un monte<br />
spoglio di foreste o popolato di ulivi, lo narra a me che ho nella memoria le immagini dei<br />
monti, delle foreste e degli ulivi; se me le fossi dimenticate non comprenderei<br />
assolutamente che cosa dice e perciò non potrei pensare ciò che dice nella sua<br />
narrazione. Così chiunque pensi delle cose corporee, sia che lui stesso si crei l’immagine<br />
di qualche oggetto, sia che oda o legga la narrazione di cose passate o l’annuncio di cose<br />
future 19, ricorre alla sua memoria per trovarvi la misura e la regola di tutte le forme che<br />
il suo pensiero contempla. Infatti nessuno può assolutamente pensare né un colore, né<br />
una forma corporea che non ha mai visto, né un suono che mai ha udito, né un sapore<br />
che non ha mai gustato, né un odore che non ha mai sentito, né un contatto corporeo<br />
che non ha mai provato. Se dunque nessuno può pensare qualcosa di corporeo senza<br />
averlo sentito, perché lo stesso ricordo di un oggetto corporeo suppone la percezione<br />
sensibile, ne consegue che, come i corpi lo sono della percezione, la memoria è la misura<br />
del pensiero. Infatti il corpo riceve la forma dal corpo che sentiamo e dal senso la riceve<br />
la memoria; dalla memoria poi lo sguardo di colui che pensa.<br />
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