Sant'Agostino "De Trinitade"
Il De Trinitate (Sulla Trinità) è un trattato in quindici libri di Agostino d'Ippona, considerato il suo capolavoro dogmatico. Infatti l'opera a quel tempo chiuse per sempre tutte le speculazioni e le incertezze che riguardavano la Trinità ovvero Dio stesso.
Il De Trinitate (Sulla Trinità) è un trattato in quindici libri di Agostino d'Ippona, considerato il suo capolavoro dogmatico. Infatti l'opera a quel tempo chiuse per sempre tutte le speculazioni e le incertezze che riguardavano la Trinità ovvero Dio stesso.
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nei loro luoghi o regioni, sia che si tratti dell’origine nell’uomo stesso di qualcosa che non<br />
esisteva, origine dovuta all’insegnamento altrui o alla riflessione personale, come la fede,<br />
che abbiamo raccomandato con tanta insistenza nel libro XIII 41 , come le virtù, che, se<br />
sono autentiche, ci permettono di vivere bene in questa vita mortale per vivere felici<br />
nella vita immortale che ci è promessa da Dio. Queste realtà, ed altre simili, si ordinano<br />
nel tempo, ed era per noi più facile discernervi la trinità della memoria, della visione e<br />
dell’amore. Infatti alcune di esse precedono la conoscenza che se ne acquisisce. Sono<br />
infatti conoscibili anche prima che vengano conosciute e generino in coloro che le<br />
apprendono la conoscenza che essi acquisiscono. Sono cose che s’incontrano in luoghi<br />
determinati o che sono passate nel tempo, sebbene in quest’ultimo caso non si tratti<br />
delle cose stesse, ma dei loro segni che, visti ed ascoltati, fanno conoscere che queste<br />
cose esistettero e sono passate. Questi segni si trovano in luoghi determinati, come le<br />
tombe ed altri monumenti simili, o negli scritti degni di fede, come ogni storia composta<br />
da autori seri e autorevoli, o nelle anime di coloro che li conoscono già; conosciuti da<br />
questi, sono per il fatto stesso conoscibili da altri, al sapere dei quali questi segni<br />
preesistono e possono venire da essi conosciuti per l’insegnamento di coloro ai quali sono<br />
noti. Tutte queste cose, quando si apprendono, costituiscono una specie di trinità,<br />
formata dalla loro configurazione esteriore conoscibile prima di venir conosciuta, a cui<br />
viene ad aggiungersi la conoscenza di colui che le apprende (conoscenza che comincia ad<br />
esistere nel momento in cui le si apprende) e, come terzo elemento, la volontà che<br />
unisce quei primi due. Una volta che questi oggetti sono stati conosciuti, si produce<br />
nell’anima stessa, quando se ne evoca il ricordo, una seconda trinità, già più interiore:<br />
trinità formata dalle immagini impresse nella memoria, al momento in cui furono appresi,<br />
dall’informazione del pensiero quando ad essi si volge lo sguardo di chi ricorda, e dalla<br />
volontà, che, terzo elemento, unisce quei due. Quanto alle conoscenze che hanno origine<br />
nell’anima in cui non esistevano, come la fede o altre realtà simili, sebbene sembrino<br />
avventizie, perché vengono introdotte nell’anima con l’insegnamento, non sono tuttavia<br />
realtà situate al di fuori o che si svolgono all’esterno, come le cose che sono oggetto di<br />
fede; ma iniziano ad esistere esclusivamente all’interno dell’anima. La fede infatti non è<br />
ciò che è creduto, ma ciò con cui si crede: l’oggetto della fede è creduto, la fede è vista.<br />
Tuttavia, in quanto incomincia ad esistere nell’anima, che era già un’anima prima che la<br />
fede incominciasse ad esistere in essa, sembra un qualcosa di avventizio e sarà<br />
annoverata tra le cose del passato, quando, sostituendosi ad essa la visione, cesserà di<br />
esistere. Ma ora la sua presenza nell’anima forma una trinità, perché è conservata,<br />
contemplata, amata; allora per mezzo del vestigio che lascerà di sé nella memoria<br />
scomparendo, formerà un’altra trinità, come è già stato detto prima 42 .<br />
Scompariranno le virtù nella vita futura?<br />
9. 12. Poiché le virtù che in questa vita mortale ci permettono di vivere bene hanno<br />
incominciato ad esistere nell’anima, che, pur essendo prima priva di esse, era tuttavia<br />
un’anima, ci si può chiedere se cesseranno di esistere una volta che ci avranno condotto<br />
alla vita eterna. Certuni hanno pensato che cesseranno di esistere e, almeno per tre di<br />
esse: la prudenza, la fortezza e la temperanza, la loro opinione non è senza fondamento.<br />
Ma la giustizia è immortale e, invece di scomparire, sarà allora che raggiungerà in noi la<br />
sua perfezione 43 . Il grande maestro dell’eloquenza, Tullio 44 , le considera tuttavia tutte e<br />
quattro, quando ne discute nel suo dialogo "Ortensio": Se, egli dice, quando avremo<br />
emigrato da questa vita, ci fosse concesso di condurre una vita immortale nelle isole dei<br />
beati, come raccontano le favole, a che ci servirebbe l’eloquenza, dato che non ci<br />
sarebbero dei giudizi, o le stesse virtù? Non avremmo bisogno della fortezza perché non<br />
ci sarebbero più difficoltà e rischi; né della giustizia, perché non ci sarebbe più alcun<br />
bene altrui che susciti la nostra cupidigia; né della temperanza, per dominare le passioni<br />
inesistenti; non avremmo nemmeno bisogno della prudenza, perché non avremmo da<br />
compiere nessuna scelta tra il bene ed il male. La sola conoscenza della natura e la<br />
scienza ci renderebbero beati, esse che costituiscono l’unico bene della vita stessa degli<br />
dèi. Da ciò si può comprendere che il resto appartiene alla necessità, questo solo alla<br />
volontà 45 . Così quel grande oratore, celebrando i meriti della filosofia, raccogliendo gli<br />
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