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Sant'Agostino "De Trinitade"

Il De Trinitate (Sulla Trinità) è un trattato in quindici libri di Agostino d'Ippona, considerato il suo capolavoro dogmatico. Infatti l'opera a quel tempo chiuse per sempre tutte le speculazioni e le incertezze che riguardavano la Trinità ovvero Dio stesso.

Il De Trinitate (Sulla Trinità) è un trattato in quindici libri di Agostino d'Ippona, considerato il suo capolavoro dogmatico. Infatti l'opera a quel tempo chiuse per sempre tutte le speculazioni e le incertezze che riguardavano la Trinità ovvero Dio stesso.

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Gli dèi diano una migliore sorte a quelli che li onorano, e questo errore ai loro nemici!<br />

Essi sbranavano a denti nudi le membra disfatte 65 .<br />

Dato che si trattava di un male fisico, perché lo chiama errore, se non in quanto quel<br />

male consisteva nel fatto che gli animali sbranavano ciò che aspiravano a salvare, le loro<br />

membra, mentre ogni animale tende, in conformità alla sua natura, a conservarsi come<br />

meglio può 66 ? Ma quando lo spirito ama Dio, e di conseguenza, come ho detto, si ricorda<br />

di lui e lo comprende, è giusto che gli si comandi di amare il suo prossimo come ama se<br />

stesso. Infatti esso non si ama più con amore colpevole, ma con rettitudine, quando ama<br />

Dio, per partecipazione del quale non solo esso è immagine, ma anche sorge rinnovato<br />

dalla vecchiaia, bello dalla sua deformità, beato dall’infelicità. Sebbene infatti si ami a tal<br />

punto da preferire, nell’alternativa, di perdere tutti i beni che, inferiori ad esso, suscitano<br />

il suo amore, piuttosto che perire, tuttavia abbandonando Colui che gli è superiore, e<br />

verso il quale solo deve volgersi per conservare la sua fortezza e godere di lui come della<br />

sua luce - Colui a cui si indirizza il canto di questo Salmo: Volgendomi verso di te<br />

conserverò la mia forza 67 ; e quello di quest’altro: Avvicinatevi a lui e sarete illuminati 68 -,<br />

esso è divenuto così debole e tenebroso che, allontanandosi anche da sé è trascinato<br />

miseramente verso le realtà, che non sono ciò che esso è ed alle quali esso è superiore,<br />

da amori che esso non ha la forza di vincere, da sviamenti da cui non sa come risalire.<br />

Perciò già pentendosi, per la misericordia di Dio, esso grida nei Salmi: La mia forza mi ha<br />

abbandonato, e la luce dei miei occhi non è più con me 69 .<br />

Sebbene deformata l’immagine sussiste<br />

14. 19. Tuttavia, nonostante questi così grandi mali dovuti alla sua debolezza ed ai suoi<br />

sviamenti, lo spirito non ha potuto perdere la memoria, l’intelligenza e l’amore di sé, che<br />

gli sono connaturali. Per questo, come sopra ho ricordato 70 , il Salmista ha potuto dire:<br />

Benché l’uomo cammini nell’immagine, si agita invano. Ammassa e non sa per chi<br />

raccolga 71 . Perché infatti ammassa, se non in quanto la sua forza lo ha abbandonato 72 ,<br />

quella forza grazie alla quale, possedendo Dio, non mancava di nulla? E perché ignora<br />

per chi raccolga, se non perché non è più con lui la luce dei suoi occhi? E perciò non vede<br />

ciò che la verità dice: Insensato! Questa notte stessa ti verrà richiesta la vita; e quello<br />

che hai preparato per chi sarà? 73 . Tuttavia, poiché anche tale uomo cammina<br />

nell’immagine e il suo spirito possiede la memoria, l’intelligenza e l’amore di sé, se gli si<br />

mostrasse che non può possedere tutti e due i beni e gli si concedesse di sceglierne uno,<br />

perdendo come contropartita l’altro - o la ricchezza che ha ammassato, o lo spirito -, chi<br />

sarebbe così pazzo da preferire di conservare le ricchezze, invece dello spirito? Infatti le<br />

ricchezze possono, molto spesso, rovinare lo spirito; e lo spirito non pervertito dalle<br />

ricchezze può vivere, senza ricchezze, con più felicità e libertà. Chi d’altra parte potrà<br />

possedere delle ricchezze, se non per mezzo dello spirito? Se infatti un fanciullo appena<br />

nato, sebbene molto ricco per nascita, essendo padrone di tutto ciò che gli appartiene di<br />

diritto, non possiede nulla fino a quando il suo spirito non si sveglia, come può qualcuno,<br />

che non possiede più lo spirito, possedere ancora qualcosa? Ma perché parlare dei tesori<br />

e dire che qualsiasi uomo, se gli si concede la scelta, preferisce esserne privato piuttosto<br />

che essere privato dello spirito, dato che nessuno li antepone, nessuno neppure li<br />

equipara agli occhi del corpo, che danno non ad alcuni uomini privilegiati il possesso<br />

dell’oro, ma a tutti gli uomini il possesso del cielo? Con gli occhi del corpo infatti ciascuno<br />

possiede ciò che contempla con piacere. Chi dunque, se non può conservare l’uno e l’altro<br />

bene insieme, e sia costretto a perderne uno, non preferirà gli occhi alle ricchezze? E<br />

tuttavia se, con una nuova alternativa, gli si domanda se preferisca perdere gli occhi<br />

piuttosto che lo spirito, qual è l’uomo che non veda con il suo spirito che egli preferisce<br />

perdere gli occhi piuttosto che lo spirito? Infatti lo spirito senza gli occhi di carne è uno<br />

spirito umano, ma gli occhi di carne senza lo spirito sono occhi di bestia. Ora chi non<br />

preferirebbe essere uomo, anche se cieco nella carne, piuttosto che una bestia dotata di<br />

vista?<br />

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