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Una lingua che combatte - DSpace@Unipr

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d’aride cose,<br />

di remi infranti, di reti strappate.<br />

E il vento <strong>che</strong> illumina le vigne<br />

già volge ai giorni fermi queste plaghe<br />

da una dubbiosa brulicante estate.<br />

134<br />

(Settembre, in Frontiera)<br />

La frontiera è lo spazio dello spaesamento, in cui la continuità temporale si incrina,<br />

lasciando intravedere un interstizio, una discontinuità tra l’essere e la realtà: la<br />

«spiaggia / d’aride cose» significa l’inaridirsi di un mondo <strong>che</strong> non può essere salvato.<br />

In questo primo Sereni non c’è ancora la Storia, c’è però la memoria, <strong>che</strong> lascia su tutto<br />

una patina quasi elegiaca, di rimpianto per una stagione della vita <strong>che</strong> non potrà più<br />

tornare, e <strong>che</strong> a tratti l’innesto del futuro scarta, in uno squilibrio, in una prospettiva<br />

sghemba, come un sussulto <strong>che</strong> sta alla parola poetica registrare.<br />

3.2.2. Recensione e interpretazione della realtà<br />

Il tema della conoscenza nella poesia di Vittorio Sereni tende a formarsi al di là della<br />

pagina scritta, a contatto con un pensiero magmatico: come scaturendo da un grumo<br />

originario di vita, i segni poetici conferiscono al pensiero e alle immagini lo sbalzo luce-<br />

ombra di una nuova ed inquieta traccia semantica.<br />

Nella Frontiera esistenziale della prima raccolta poetica di Sereni, l’esigenza della<br />

verità e della conoscenza è garantita dalla relazione tra l’io e il mondo e da<br />

un’osservazione fenomenica attenta ai dati sensibili. Il contatto con gli elementi naturali<br />

determina la sostanza stessa di questi versi, <strong>che</strong> ancora tengono ai margini la Storia. 31<br />

Nelle raccolte successive, invece, l’istanza conoscitiva trae origine dall’esperienza<br />

cruciale della prigionia e della guerra, trascendendo il vissuto biografico nella duplice<br />

direzione (linea tesa e spirale) dell’interiorità e della scrittura, dell’immaginazione e del<br />

31 Così Giovanni Raboni, Prefazione a Vittorio Sereni, Diario d’Algeria, cit., p. VIII: «basta aguzzare un po’ la<br />

vista, spingersi con un po’ più di sagacia e d’ardimento sotto la liscia superficie dei testi per accorgersi <strong>che</strong><br />

quell’ansia teneramente malinconica, quel vasto, struggente trepidare, quell’attesa di un “tacito evento” il cui fascino<br />

e il cui strazio derivano in qual<strong>che</strong> misura dalla sua stessa indicibilità sono già, se non storia, intrinsecamente diario;<br />

ma perché non storia, in fondo, se solo ci si decida ad ammettere, come a me sembra intimamente inevitabile, <strong>che</strong><br />

oltre alla storia di ciò <strong>che</strong> succede esiste an<strong>che</strong> la storia di ciò <strong>che</strong> non succede, <strong>che</strong> non può ancora e forse non potrà<br />

mai succedere, la storia […] di una generazione senza drammi, senza sofferenze e senza speranze <strong>che</strong> aspetta,<br />

ignorandolo ma in qual<strong>che</strong> modo presentendolo, di conquistare in un dramma futuro il diritto di soffrire e di<br />

sperare?».

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