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Una lingua che combatte - DSpace@Unipr

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maggiormente i contraccolpi a livello formale e contenutistico. La frizione tra passato e<br />

presente, tra la storia e la vita, produce una forte discontinuità an<strong>che</strong> nel tessuto logico<br />

del discorso.<br />

An<strong>che</strong> per Caproni la riflessione sulla traduzione si riflette nella scrittura poetica tout<br />

court: tradurre non è un’operazione meramente tecnica, e in questo senso si scontra con<br />

l’«assoluta intraducibilità» della poesia, <strong>che</strong> non si lascia «ridurre in termini logici». 39<br />

Per l’autore livornese tradurre significa portare alla luce delle sollecitazioni interne, «dei<br />

bouts d’existence»: 40 insomma, capovolgendo Fortini, nulla deve essere inventato, ma la<br />

parola poetica si configura come segno residuale di un testo originale, il palinsesto da<br />

cui fare emergere ciò <strong>che</strong> noi leggiamo sulla pagina. Scrittura e traduzione trovano il<br />

loro punto di coincidenza nel segno della perdita: la Res amissa da cui parte una ricerca<br />

del bene perduto nel tentativo di riappropriarsene. Questa ricerca si confronta con<br />

l’impossibilità di recuperare ciò <strong>che</strong> è venuto a mancare, quindi la realtà delle parole<br />

non coincide con quella delle cose. A questo punto non solo la poesia non è traducibile,<br />

ma non è nean<strong>che</strong> scrivibile, per cui nominare significa nullificare:<br />

Nel ’46-’47 dissi appunto <strong>che</strong> le parole dissolvono l’oggetto, come<br />

Blanchot poi nel ’53 disse <strong>che</strong> il nome vanifica la cosa. La letteratura crea<br />

una seconda realtà <strong>che</strong> nasconde la prima. […] C’era insomma questa<br />

ossessione di poter afferrare il reale, <strong>che</strong> poi rimane inafferrabile. Ormai sono<br />

arrivato alla convinzione ferma <strong>che</strong> proprio l’irrealtà è il vero reale. 41<br />

Allora nascono quelle allegorie di un io <strong>che</strong> cerca di far fronte alla frammentarietà della<br />

realtà ma non si riconosce più. Il presente di una Waste land percorsa da lampi e<br />

fantasmi, frutto, an<strong>che</strong>, della catastrofe ecologica, alberga nei versi di Caproni a partire<br />

almeno dal teatro apocalittico del Muro della terra, in cui si assiste ad una progressiva<br />

riduzione del soggetto, fino al non-personaggio dell’Idrometra, ossia alla<br />

disumanizzazione come ridefinizione del tipo di verità verso la quale può tendere la<br />

poesia:<br />

Il mondo delle sembianze<br />

39<br />

Giorgio Caproni, <strong>Una</strong> straziata allegria, intervista rilasciata a Domenico Astengo, «Corriere del Ticino»,11<br />

febbraio 1989.<br />

40<br />

Cfr. Giorgio Caproni, Divagazioni sul tradurre, in La scatola nera, cit., p. 62: «Ogni poeta vero […] più <strong>che</strong><br />

inventare scopre, desta e mette in luce in noi dei bouts d’existence. E così an<strong>che</strong> nell’atto della traduzione – non<br />

sembri un paradosso – chi scopre non è il traduttore, ma il poeta <strong>che</strong> vien tradotto, il quale, investendo il traduttore<br />

del suo potere, suscita in lui, e in lui rende diurno, ciò <strong>che</strong> già era in lui ma dormiente, notturno, e quindi ignorato».<br />

41<br />

Giorgio Caproni, «Antologia», intervista radiofonica del 17 gennaio 1988, ora in Daniela Baroncini, Caproni e<br />

la poesia del nulla, Pisa, Pacini, 2002, p. 191.<br />

192

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