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Una lingua che combatte - DSpace@Unipr

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Ritornando all’immagine della provocazione <strong>che</strong> viene dall’esistenza,<br />

alcuni reagiscono immediatamente e scrivono, mentre a me, in generale,<br />

questo non succede perché ho bisogno di una lunga elaborazione per<br />

approfondire o dilatare quel fatto particolare <strong>che</strong> mi ha indotto a scrivere,<br />

coinvolgendo altri fatti o altri aspetti dell’esistenza <strong>che</strong> costituiscono la<br />

giustificazione ultima dello scrivere. 38<br />

In questo modo il poeta, con dantesco verbo, ficca lo viso a fondo, dalla recensione del<br />

reale arriva alla sua interpretazione:<br />

Succede persino questo, <strong>che</strong> di colpo un fatto dell’esistenza, un<br />

determinato momento, un fatto davanti al quale vi trovate improvvisamente,<br />

getti una luce retrospettiva su quello <strong>che</strong> era una cosa oscura e lo illumini. 39<br />

La poesia si conferma dunque quale momento di comunicazione ed illuminazione tra<br />

dimensioni e luoghi intermittenti, tesa a colmare la distanza tra essere e non essere,<br />

evento personale e storia, afasia e parola. La parola poetica «comunicativa e<br />

interrogativa» 40 non è contemplazione intellettualistica, ma gesto, nel senso più fisico<br />

del termine, inteso a definire un percorso della coscienza:<br />

Il fine, se c’è, dipende dall’intensità di questa comunicazione, da quel<br />

tanto per cui quella comunicazione può colpire nell’intimo di qualcuno e<br />

quindi agire; il fine è negli altri, non è in me <strong>che</strong> scrivo. Il fine nasce da una<br />

constatazione a posteriori, quando uno riesce a trovare analogie e<br />

concordanze tra cose da lui lette tanti anni prima ed aspetti della sua<br />

esperienza presente. Il fine, in sostanza, è quello di parlare, cioè fare in modo<br />

<strong>che</strong> quello <strong>che</strong> si dice parli agli altri in modi diversi a seconda dei tempi. 41<br />

Attraverso il gesto poetico si può giungere a una visione più completa e responsabile di<br />

sé e delle cose del mondo. La poesia non è il fine di questo processo conoscitivo: essa è,<br />

piuttosto, il mezzo attraverso cui il mondo (o meglio, la nostra esperienza del mondo) si<br />

rende intelligibile a noi stessi. 42 La poesia fa emergere una realtà profonda dalla realtà<br />

quotidiana, attraverso delle illuminazioni <strong>che</strong> non hanno nulla di orfico, ma sono come<br />

una nuova consapevolezza, nata dall’incontro, nella parola poetica, di un nostro io<br />

38 Ibidem.<br />

39 Ivi, p. 54.<br />

40 Pier Vincenzo Mengaldo, La tradizione del Novecento. Seconda serie, Torino, Einaudi, 2003, p. 16.<br />

41 Vittorio Sereni in AA.VV., Sulla poesia. Conversazioni nelle scuole, cit., pp. 56-57.<br />

42 Si legga Pier Vincenzo Mengaldo, La tradizione del Novecento. Seconda serie, cit., p. 16: «C’è da un lato la<br />

tendenza di chi si richiama a un filone orfico-sapienziale e attraverso la poesia intende affermare niente meno <strong>che</strong> una<br />

verità in qual<strong>che</strong> modo trascendentale […]. Dall’altro c’è quella di coloro <strong>che</strong> praticano invece una poesia<br />

esistenziale, e si accontentano di partecipare un’esperienza».<br />

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